INTERVISTE
Simone Sarasso
Intanto parlaci di te e di cosa hai fatto prima di approdare a Marsilio.
Mi sono laureato in filosofia nel 2003, e puoi immaginare la valanga di offerte di lavoro che mi sono piovute addosso. Per tre mesi ho mandato una pletora di curricula a circa duecento case editrici. Risposte poche, lavori offerti: meno di zero. Allora mi sono rotto e ho cambiato strategia. Invece del solito curriculum ho scritto una lettera un po' sopra le righe in cui dicevo sostanzialmente: "Voi stampate i libri. Io ne leggo un sacco. Avrete bisogno di qualcuno che valuti gli inediti. O al limite di un temperamatite, di una donna delle pulizie...". L'ho rispedita agli stessi indirizzi e qualcosa ne è uscito. Tante risposte questa volta, un lavoro in un'agenzia di stampa milanese e un contatto con l'editore Effequ (quello che mi insegnato il mestiere di scrivere). Ho iniziato come iniziano i non professionisti, con cose semplici. Prima un racconto in una raccolta a tema (Turkemar), poi un altro, ed infine un romanzo, Confine di Stato. Il libro è uscito in un'edizione a limitata diffusione (è lo scotto che paga la piccola editoria con la grande distribuzione). E poi è successo il miracolo...
Chissà come Valerio Evangelisti ha letto Confine di Stato, ne ha parlato con Jacopo De Michelis e lui mi ha fatto un'offerta: un contratto per Confine e per i due romanzi successivi. Credo di essermi sentito come si sente un calciatore esordiente che viene acquistato da una squadra di serie A.
Prima "Turkemar", racconto su Buscaglione, ora questo ponderoso libro su accadimenti politici degli anni '50 e '60. Ma sei fissato coi "bei" tempi andati?
Sì. È un'insieme di bisogni.
Ha a che fare con un'esigenza stilistica: scrivendo sulla falsariga della Storia, non parto mai da zero, evito il terrore della pagina bianca.
C'entra col mio gusto in fatto di letteratura: quando scrivo penso a cosa mi piacerebbe leggere. Penso che mi annoierei a leggere un romanzo autobiografico su di me (a chi fregherebbe delle mie vicissitudini per trovare un lavoro o delle ragazze che avevo al liceo?). Per cui evito di guardarmi l'ombelico e cerco di raccontare storie. Più o meno realistiche.
Infine c'entra con quello che mi piace: a scuola la storia contemporanea era una di quelle cose che mi facevano saltare sulla sedia. La sentivo "a portata di mano". Volevo saperne di più. E così, studia, studia, alla fine ho raccolto un sacco di materiale. Era ora di farlo fruttare.
Ho un dubbio: ma non è che "romanzando" avvenimenti politici di un certo rilievo si rischia di sminuire le valenze anche ideologiche dei fatti? O pensi che la "lente" del noir sia la chiave giusta per l'interpretazione della Storia?
Credo che il tipo di letteratura nera che si fa oggi nel nostro paese abbia una grande valenza socio-politica. In fin dei conti, se scrivo quel che scrivo e se sono andato a leggermi le duecento pagine della relazione della Commissione Stragi è grazie ai libri di Lucarelli, dei Wu Ming, di Genna. E nessuno di questi era un saggio.
Per cui sì, sono convinto che il noir storico à la Ellroy possa stimolare la conoscenza della storia nel lettore. Pur senza avere pretese documentarie. E anche quest'ultimo punto mi sembra fondamentale: di mestiere non facciamo gli storici, ma i novelists. È bene non dimenticarselo.
Sulle avvertenze all'edizione si legge: "Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie al cento per cento. In esse compaiono personaggi e circostanze riferiti a un periodo della storia d'Italia, ma da intendersi come pura elaborazione di fantasia". Mi sembra una sorta di precauzionale, asettica, distanziazione. In realtà tu parli del delitto Montesi, della morte di Mattei e della strage di Piazza Fontana. Non vorrei che facendo così, per un giovane che legge il tuo libro, il delitto di Ester Conti del 1953 rimanga tale senza una vera riconoscibilità storica.
Qui torna in gioco la componente di fiction. E in quest'ansa, di solito, s'innesta il misunderstanding riguardo al genere cui Confine di Stato fa riferimento. Io non racconto la storia del delitto Montesi, né quella di Piazza Fontana o dell'omicidio Mattei. Per il semplice fatto che i documenti dicono che quelle tre storie non sono andate come le racconto io. Le tre vicende giudiziarie sui tre Misteri Italiani del mio libro sono concluse. Concluse con tre sentenze di piena assoluzione degli imputati. Per la legge italiana nessuno è colpevole per Piazza Fontana. Né, tanto meno per la morte di Mattei e quella di Wilma Montesi.
Nel mio libro i colpevoli ci sono. Eccome. E alcune delle manovre che compiono (penso in particolare alle porcate dei ministri Dc nella prima parte della storia) sono storiograficamente discutibili (anche agli occhi dei peggiori complottardi).
Detto questo si giustifica il disclaimer. Non è bieco rifiuto di responsabilità o un meschino tentativo di nascondersi dietro a un dito. È la linea di demarcazione tra Storia e fiction, uno dei capisaldi del mio mestiere.
Nella speranza, questo sì, che la mia fiction scateni un interesse per la Storia vera.
Ester Conti può restare un personaggio da romanzo. Per conto mio non c'è nulla di male.
Ma se qualcuno leggendo di lei pensasse a Wilma Montesi e gli venisse voglia di saperne di più sul suo caso, allora sarei davvero felice. Avrei fatto bene il mio mestiere senza tentare di rubarlo ad uno storico.
Pasolini ci lasciò incompiuto "Petrolio" sorta di gigantesco romanzo sugli intrallazzi del potere democristiano. Negli ultimi tempi si vocifera che sia stato anche una delle cause del suo assassinio. Nello scrivere "Confine di Stato" hai pensato a quel libro?
No, nel modo più assoluto. E casca il velo sulla mia "istruzione settoriale". I miei gusti letterari sono orientati al noir degli ultimi dieci anni. E gioco forza leggo solo questo genere di roba. È più un discorso da fanatico quindicenne di fumetti americani che da "giovane romanziere esordiente", ma tant'è.
Pasolini non l'ho mai letto (sento già i fischi e lo sdegno degli intellettuali per bene...). Non parla la mia lingua. Mea culpa?
La vera fonte di ispirazione per Confine è stato l'immenso Romanzo criminale di De Cataldo, figurati...
Tu che sei giovane quando hai sentito parlare per la prima volta della strage di Piazza Fontana?
Probabilmente a scuola. Ma non devo aver prestato troppa attenzione. Mi ricordo, invece, della puntata di Blu Notte di Lucarelli. Lo vedi cosa intendo dire? Letteratura (e tv) di un certo genere possono davvero stimolare qualcuno sotto i trent'anni a studiare la storia del paese.
Ma è vero che "Confine di Stato" è il primo di una trilogia?
Assolutamente sì. Non vi libererete di me così in fretta. Il secondo volume sarà ambientato negli anni Settanta. Il terzo e ultimo tratterà il periodo dal 1980 a Tangentopoli.
Insisto sulla tua giovane età. C'è qualche tuo collega-coetaneo che ammiri e qualcuno che detesti? Lo so, fare dei nomi soprattutto in quest'ultimo caso è antipatico, ma per favore sbilanciati, perché noi Orchi abbiamo la puzza sotto il naso.
Ho dei maestri, degli scrittori di riferimento. Giuseppe Genna sopra ogni altro. Poi Valerio Evangelisti, i Wu Ming e Carlo Lucarelli. Questo per quanto riguarda il suolo patrio. Tra gli autori stranieri mi sento di fare solo due nomi: James Ellroy e Garth Ennis. Anche se il secondo è un comics writer e non uno scrittore tout court, le sue parole sono state fondamentali durante la mia formazione.
Più difficile è dire chi detesto. Nella fattispecie perché non detesto nessuno: semplicemente non leggo determinati autori. Non ho mai letto i sudamericani né i classici, mi ha lasciato piuttosto indifferente l'ondata di scrittura giovanilistica post Jack Frusciante (benché adori Enrico Brizzi: persona meravigliosa) e ho felicemente sorvolato sulla letteratura "newyorchese" degli ultimi dieci anni. Questo vuol dire che detesto gli autori che hanno scritto libri del genere? No.
Vuol dire semplicemente che sono un autore pigro, non troppo colto, che difficilmente legge cose che esulano dal proprio ambito (leggi: noir, giallo e thriller). Tutto qua.
Fai il maestro di sostegno in un asilo. In tempi come questi dove si straparla di violenza sui bambini e si richiede non la pena a chi commette un reato, ma di arrestare la pedofilia (come se si potesse arrestare la masturbazione, per fare un esempio-confronto), tu che hai da dirci?
Ben poco. Qualche tempo fa, durante il baillamme intorno ai DICO, Daria Bignardi fu intervistata da non so più quale quotidiano. Le chiesero, dal momento che lei stessa è madre, un parere sulle adozioni gay. Daria ci pensò un attimo e poi, candidamente, rispose: "Non lo so, davvero. Non è che perché una è madre debba necessariamente avere un parere in merito,"
Se mi chiedete di pedofilia, finisco per rispondervi allo stesso modo. Lavoro nell'ambiente, è vero, ma non ho un parere in merito. E non è uno degli argomenti su cui rifletto volentieri.
Mi sono laureato in filosofia nel 2003, e puoi immaginare la valanga di offerte di lavoro che mi sono piovute addosso. Per tre mesi ho mandato una pletora di curricula a circa duecento case editrici. Risposte poche, lavori offerti: meno di zero. Allora mi sono rotto e ho cambiato strategia. Invece del solito curriculum ho scritto una lettera un po' sopra le righe in cui dicevo sostanzialmente: "Voi stampate i libri. Io ne leggo un sacco. Avrete bisogno di qualcuno che valuti gli inediti. O al limite di un temperamatite, di una donna delle pulizie...". L'ho rispedita agli stessi indirizzi e qualcosa ne è uscito. Tante risposte questa volta, un lavoro in un'agenzia di stampa milanese e un contatto con l'editore Effequ (quello che mi insegnato il mestiere di scrivere). Ho iniziato come iniziano i non professionisti, con cose semplici. Prima un racconto in una raccolta a tema (Turkemar), poi un altro, ed infine un romanzo, Confine di Stato. Il libro è uscito in un'edizione a limitata diffusione (è lo scotto che paga la piccola editoria con la grande distribuzione). E poi è successo il miracolo...
Chissà come Valerio Evangelisti ha letto Confine di Stato, ne ha parlato con Jacopo De Michelis e lui mi ha fatto un'offerta: un contratto per Confine e per i due romanzi successivi. Credo di essermi sentito come si sente un calciatore esordiente che viene acquistato da una squadra di serie A.
Prima "Turkemar", racconto su Buscaglione, ora questo ponderoso libro su accadimenti politici degli anni '50 e '60. Ma sei fissato coi "bei" tempi andati?
Sì. È un'insieme di bisogni.
Ha a che fare con un'esigenza stilistica: scrivendo sulla falsariga della Storia, non parto mai da zero, evito il terrore della pagina bianca.
C'entra col mio gusto in fatto di letteratura: quando scrivo penso a cosa mi piacerebbe leggere. Penso che mi annoierei a leggere un romanzo autobiografico su di me (a chi fregherebbe delle mie vicissitudini per trovare un lavoro o delle ragazze che avevo al liceo?). Per cui evito di guardarmi l'ombelico e cerco di raccontare storie. Più o meno realistiche.
Infine c'entra con quello che mi piace: a scuola la storia contemporanea era una di quelle cose che mi facevano saltare sulla sedia. La sentivo "a portata di mano". Volevo saperne di più. E così, studia, studia, alla fine ho raccolto un sacco di materiale. Era ora di farlo fruttare.
Ho un dubbio: ma non è che "romanzando" avvenimenti politici di un certo rilievo si rischia di sminuire le valenze anche ideologiche dei fatti? O pensi che la "lente" del noir sia la chiave giusta per l'interpretazione della Storia?
Credo che il tipo di letteratura nera che si fa oggi nel nostro paese abbia una grande valenza socio-politica. In fin dei conti, se scrivo quel che scrivo e se sono andato a leggermi le duecento pagine della relazione della Commissione Stragi è grazie ai libri di Lucarelli, dei Wu Ming, di Genna. E nessuno di questi era un saggio.
Per cui sì, sono convinto che il noir storico à la Ellroy possa stimolare la conoscenza della storia nel lettore. Pur senza avere pretese documentarie. E anche quest'ultimo punto mi sembra fondamentale: di mestiere non facciamo gli storici, ma i novelists. È bene non dimenticarselo.
Sulle avvertenze all'edizione si legge: "Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie al cento per cento. In esse compaiono personaggi e circostanze riferiti a un periodo della storia d'Italia, ma da intendersi come pura elaborazione di fantasia". Mi sembra una sorta di precauzionale, asettica, distanziazione. In realtà tu parli del delitto Montesi, della morte di Mattei e della strage di Piazza Fontana. Non vorrei che facendo così, per un giovane che legge il tuo libro, il delitto di Ester Conti del 1953 rimanga tale senza una vera riconoscibilità storica.
Qui torna in gioco la componente di fiction. E in quest'ansa, di solito, s'innesta il misunderstanding riguardo al genere cui Confine di Stato fa riferimento. Io non racconto la storia del delitto Montesi, né quella di Piazza Fontana o dell'omicidio Mattei. Per il semplice fatto che i documenti dicono che quelle tre storie non sono andate come le racconto io. Le tre vicende giudiziarie sui tre Misteri Italiani del mio libro sono concluse. Concluse con tre sentenze di piena assoluzione degli imputati. Per la legge italiana nessuno è colpevole per Piazza Fontana. Né, tanto meno per la morte di Mattei e quella di Wilma Montesi.
Nel mio libro i colpevoli ci sono. Eccome. E alcune delle manovre che compiono (penso in particolare alle porcate dei ministri Dc nella prima parte della storia) sono storiograficamente discutibili (anche agli occhi dei peggiori complottardi).
Detto questo si giustifica il disclaimer. Non è bieco rifiuto di responsabilità o un meschino tentativo di nascondersi dietro a un dito. È la linea di demarcazione tra Storia e fiction, uno dei capisaldi del mio mestiere.
Nella speranza, questo sì, che la mia fiction scateni un interesse per la Storia vera.
Ester Conti può restare un personaggio da romanzo. Per conto mio non c'è nulla di male.
Ma se qualcuno leggendo di lei pensasse a Wilma Montesi e gli venisse voglia di saperne di più sul suo caso, allora sarei davvero felice. Avrei fatto bene il mio mestiere senza tentare di rubarlo ad uno storico.
Pasolini ci lasciò incompiuto "Petrolio" sorta di gigantesco romanzo sugli intrallazzi del potere democristiano. Negli ultimi tempi si vocifera che sia stato anche una delle cause del suo assassinio. Nello scrivere "Confine di Stato" hai pensato a quel libro?
No, nel modo più assoluto. E casca il velo sulla mia "istruzione settoriale". I miei gusti letterari sono orientati al noir degli ultimi dieci anni. E gioco forza leggo solo questo genere di roba. È più un discorso da fanatico quindicenne di fumetti americani che da "giovane romanziere esordiente", ma tant'è.
Pasolini non l'ho mai letto (sento già i fischi e lo sdegno degli intellettuali per bene...). Non parla la mia lingua. Mea culpa?
La vera fonte di ispirazione per Confine è stato l'immenso Romanzo criminale di De Cataldo, figurati...
Tu che sei giovane quando hai sentito parlare per la prima volta della strage di Piazza Fontana?
Probabilmente a scuola. Ma non devo aver prestato troppa attenzione. Mi ricordo, invece, della puntata di Blu Notte di Lucarelli. Lo vedi cosa intendo dire? Letteratura (e tv) di un certo genere possono davvero stimolare qualcuno sotto i trent'anni a studiare la storia del paese.
Ma è vero che "Confine di Stato" è il primo di una trilogia?
Assolutamente sì. Non vi libererete di me così in fretta. Il secondo volume sarà ambientato negli anni Settanta. Il terzo e ultimo tratterà il periodo dal 1980 a Tangentopoli.
Insisto sulla tua giovane età. C'è qualche tuo collega-coetaneo che ammiri e qualcuno che detesti? Lo so, fare dei nomi soprattutto in quest'ultimo caso è antipatico, ma per favore sbilanciati, perché noi Orchi abbiamo la puzza sotto il naso.
Ho dei maestri, degli scrittori di riferimento. Giuseppe Genna sopra ogni altro. Poi Valerio Evangelisti, i Wu Ming e Carlo Lucarelli. Questo per quanto riguarda il suolo patrio. Tra gli autori stranieri mi sento di fare solo due nomi: James Ellroy e Garth Ennis. Anche se il secondo è un comics writer e non uno scrittore tout court, le sue parole sono state fondamentali durante la mia formazione.
Più difficile è dire chi detesto. Nella fattispecie perché non detesto nessuno: semplicemente non leggo determinati autori. Non ho mai letto i sudamericani né i classici, mi ha lasciato piuttosto indifferente l'ondata di scrittura giovanilistica post Jack Frusciante (benché adori Enrico Brizzi: persona meravigliosa) e ho felicemente sorvolato sulla letteratura "newyorchese" degli ultimi dieci anni. Questo vuol dire che detesto gli autori che hanno scritto libri del genere? No.
Vuol dire semplicemente che sono un autore pigro, non troppo colto, che difficilmente legge cose che esulano dal proprio ambito (leggi: noir, giallo e thriller). Tutto qua.
Fai il maestro di sostegno in un asilo. In tempi come questi dove si straparla di violenza sui bambini e si richiede non la pena a chi commette un reato, ma di arrestare la pedofilia (come se si potesse arrestare la masturbazione, per fare un esempio-confronto), tu che hai da dirci?
Ben poco. Qualche tempo fa, durante il baillamme intorno ai DICO, Daria Bignardi fu intervistata da non so più quale quotidiano. Le chiesero, dal momento che lei stessa è madre, un parere sulle adozioni gay. Daria ci pensò un attimo e poi, candidamente, rispose: "Non lo so, davvero. Non è che perché una è madre debba necessariamente avere un parere in merito,"
Se mi chiedete di pedofilia, finisco per rispondervi allo stesso modo. Lavoro nell'ambiente, è vero, ma non ho un parere in merito. E non è uno degli argomenti su cui rifletto volentieri.
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