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Il Paradiso degli Orchi
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DE FALSU CREDITU

Papagorgio da Tolmezzo

Storia di fra' Michele minorato

AlRé, Pag. XXXIII+353 Euro 31,00
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Com'è noto, e com'è valido ancor oggi, nessuna parte di un documento legale dev'esser lasciata vuota. Avveniva sicché in antico, quando avanzava spazio, ch'esso venisse riempito di mano del notaro o del leguleio, con brani di fantasia, poemi, massime o storie edificanti. E' così che s'ebbe possibile il ricupero di tanta scuola siciliana, o, per fare altro esempio, dei cortesi roveretani, asolani e cornetani.

E bene: quest'antica cronica medievale occupa proprio le pagine - dalla trentaduesima alla sessantacinquesima versus - d'un importante raccolta di strumenti legali, tra cui quella "bolla arcoriana" sulla quale ancora s'accapigliano gli studiosi: ess'è il Codex Pinocolum lineato (e la Nostra storia vi compare epitetata "versione del Grillo"), manoscritto databile fra il 1179 e il 1202 - ma si ritrova, con qualche variante e correzione d'altra mano, nel codice detto Vaticano Italicano 666-96 (la cosiddetta "versione di Nonantola"), come accenno nella mia prefazione, e come ricorda anche, nel suo esaustivo intervento, Graziadeo Pascoli, che reca pure un'approfondita disamina della lingua del documento, un volgare con infessure di latino curiale. Il che indicherebbe che l'Autore - Papagorgio è uno pseudonimo (vedi l'accluso saggio di Ponentino Ponentini che ricostruisce l'avventura filologica attraverso la quale si è venuti a conoscenza dell'anonimicità dello scrivente) - sia stato un ecclesiastico con mansioni legali. Corrado Pettenicco, nel lavoro che qui si ripubblica assieme ai suddetti e agli altri che verrò via via citando, e alla trascrizione, alla traduzione in italiano corrente, e all'anastatica del documento, sostiene con buoni argomenti cronologici e stilistici di dover identificare l'Autore in Paperon De' Paperoni, vescovo di Bologna e già protonotario apostolico. Pascoli e Ponentini adiscono questa tesi, mentre nel suo scritto - pubblicato nella Rivista Filo-Logica (LXXXVIII, 35) - PietroPaolo Fita-Vinzi, accortamente (e con qualche acribia) applicando la critica dei generi, attribuisce il testo al genere della parodia, e lo ascrive alla penna del poeta e giullare Folcacchiero De' Folcacchieri, che aveva, tra l'altro, seguito le lezioni del giurisprudente Marsilio nell'ateneo felsineo. Infine, Mariagrazia Graziamaria ritiene, esaminando le strutture discorsive sottese al testo e la sua intentio, di dover attribuire la "storia" a Pitigliano da Boccione, poi uditore di camera e quindi cancelliere del Datario, all'epoca assistente di Paperone e amico di Folcacchiero - anzi, forse cugino, secondo quanto si legge nella seconda "stanza" della ballatetta-giustiniana Orch'io m'aginòcchio a front'atténe del Morando Morandi. E il cerchio si chiude, come nota Jeroen Maasdammer nella postfazione - mantenendo aperta tuttavia la possibilità che il "Minorato" sia di mano dell'ecclesiastico Felino Foscarari, oppure, ma sarebbe paradossale a questo punto, proprio da un Papagorgio da Tolmezzo, che avrebbe spacciato il suo nome per uno pseudonimo (nella Biblioteca Marciana si conserva, (fondo Borche, palinsesto Tiburtino 3, CCCVII, 1744) intitolato a questo nome, un Liber sui, un diario della propria vita, dato per apocrifo dal Bacchalaureanten, dalla Barbel Tureck e dalla nostra Pia Incarta De' Parati).

Ma torniamo alla "storia". In essa si narra, in sintesi, della vita di Michele da Guidonia, dai suoi dodici anni (in analogia polemica - e iconoclasta - col De Jesu puero duodenni, di san Bernardo) ai ventinove, quando venne bruciato sul rogo per aver sostenuto l'eretica tesi dell'inconsistenza storica e teologica dell'istituzione papale. Argomentava Michele che Gesù, indicando Pietro come pietra della chiesa a venire, altro non facesse ciò che, nell'italicano del documento, viene chiamato un bestìcio - diremmo noi un, bisticcio, un gioco di parole. Come non poteva il Figlio dell'Uomo, riflette il frate ("minoràtto" perché resosi "eunuco per il regno dei cieli" a ventisei anni), non sapere che proprio Simone l'avrebbe tradito? Che cioè chiamava "pietra" il più volubile e incerto degli apostoli? Era evidente che il Cristo in quel luogo compìva una "hilaritade", caso di quel sottile umorismo di cui sono esempi gli scontri del Nazareno (per alcuni, Nazirèo) con i Farisei e il sinedrio. Inoltre, il far politica è pensare come gli uomini, non come Dio, e si contraddice Matteo XVI, 23 - che proprio a Pietro è diretto: "tu mi sei di scandalo". Scandaloso, dunque, ovvero etimologicamente d'intralcio, d'impedimento, di trappola, è adulterare il divino col terreno, lo spirituale col temporale.

Non si stupisca, dunque, e del seguito popolare che in quei tempi di Millennio suscitò la predicazione del buon frate dell'ordine dei vallisti, e della condanna come eresiarca ed eretico che subì. Né si giudichi quell'epoca tant'aliena da più recenti stagioni: nulla azzera le distanze temporali come l'umano tornaconto, l'umana malafede, l'umana scempiaggine. Insomma, l'essere umani.







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