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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

Adriano Angelini

Timothy, un talento nei talenti dell'underground romano. "Some page quarters" suona american indie d'autore.

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E' bello poter parlare in maniera positiva della musica italiana. Soprattutto quando è romana e viene eseguita in lingua inglese, soprattutto quando si lega alla grande tradizione del rock d'autore, a metà fra le classical ballads dei cantautori americani e l'indie degli anni novanta. Timothy, al secolo Tiziano Russo, bassista di quella grandiosa band romana che sono i Dolcevena, sforma il suo primo lavoro individuale, interamente auto-prodotto, auto-distribuito e auto-realizzato, con una raffinatissima veste grafica in cartonato bianco. Il suono di Timothy è ipnotico e dolcissimo. Chitarra e voce con qualche sonorità di tastiera in sottofondo. Qualche accelerata di distorsione o batteria. E poi tanto tanto stile. I primi due pezzi che aprono questo album, Some page quarters, sono due perle: "The game we're in" e "Satisfying". Siamo davvero oltre oceano con la voce di Tiziano/Timothy elegantissima e calibrata su accordi melodiosi e scanzonati, menestrello leggero che non imita nessuno anche se volendo potrebbe ricordare tanti.

Si passa alla più ruggente e meno convincente "Apples fall" come una parentesi per giungere al vero capolavoro dell'album, "I hate sundays" (anche io, se non ci fosse il campionato di calcio), un'altra flebile e leggiadra ballata con un bellissimo e semplicissimo testo, I couldn't wait myself but nothing is going to change/because today it's sunday, dice il ritornello. Viene da canticchiarla con le lacrime di gioia agli occhi. Si passa a "No way out", intenso arpeggio ad accompagnare un'altra ballata incalzante e leggermente grunge; siamo dalle parti dei primissimi vagiti alice in chains, magari unplugged. Bella. Matura, come un frutto approdato troppo tardi su tavole di un mercato italiano non più imbandite ad accogliere certe prelibatezze. Si arpeggia di nuovo con "The right side" e si risale di tono con "Fakebook" ma quando si sale il livello non sempre si tiene alto. "The covering dust" prova a rendersi intensa con un crescendo à la Radiohead degli albori con risultati apprezzabili e un'atmosfera urban ed elettrica. Però è con "Pretentious try" che Timothy ci regala un'altra chicca squisita. Probabilmente il pezzo più riuscito a livello di fruizione e immediatezza. Un bel singolo da sparare a tutto volume e con un bel testo auto ironico. Strimpella il ritornello: Bricks are falling down on me/ I built this wall to sit on top just let me see/all the others fell on above/ but now I'm buried under my pretentious try. Si chiude con un'altra dolcezza, una sorta di ninna nanna acida, "Untitled yet". L'album nel complesso dura poco più di mezzora. Spesa bene e soprattutto in compagnia di un vero talento. Che meriterebbe ben più di una più che dignitosa auto-produzione/promozione (chissà se vale ricordare che tutta la scena indie americana degli anni'80, dagli Husker du ai Fugazi era auto-prodotta, almeno agli inizi; forse no visto che qui siamo in Italia, fra le mani di Iva Zanicchi, Caterina Caselli e Mara Maionchi, e Ligabue). Il disco potete acquistarlo tramite il suo myspace all'indirizzo che trovate sotto dove potete ascoltare Pretentious try, No way out e Satisfying.





Timothy

Some page quarters

Autoprodotto



www.myspace.com/iltimothy





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