CLASSICI
Alfredo Ronci
Un caso editoriale mai rientrato: 'Il cacciatore ricoperto di campanelli' di Giuseppe Lo Presti.
(...) Non credo che per diventare scrittori si debba indulgere nella frequentazione di scrittori e di ambienti intellettuali, e voglio sottolineare che diffido degli scrittori inclini alla debolezza dello scoutismo, sia pure perché stipendiati apposta da una casa editrice...
Così scriveva Aldo Busi presentando Il cacciatore ricoperto di campanelli di Giuseppe Lo Presti. Un piccolo romanzo uscito alla chetichella per gli Oscar Originals nel 1990 e diventato – forse grazie anche alla prefazione e all'interessamento dello scrittore bresciano – un piccolo caso editoriale.
Tanto 'caso' che in più di vent'anni nessuno si è preso la briga di ripubblicarlo (in verità qualche tentativo c'è stato, ma poi abortito) e negli ambienti delle 'rarità' ha ormai raggiunto quotazione ragguardevoli.
Ma cos'ha di tanto speciale da renderlo così unico? Busi dice: una grammatica deficitaria e una propensione alla lamentazione esistenziale, nefandezze che si possono scontare solo con la morte.
Ed aveva ragione nella sua lucidità profetica: Lo Presti morì, non ancora quarantenne, nel 1995 dopo essere stato più volte in carcere per rapina e perché ritenuto terrorista di destra.
Ancora Busi: la formula terrorismo di destra non mi ha mai incuriosito più di tanto. C'era un testo, mi bastava, e lo scrittore uomo mi interessa tanto di meno della sua capacità di scrivere e, visto che lo deve pur fare da qualche parte, che lo faccia in prigione a Prato non lo pregiudica di meno che lo stesse facendo al Grand Hotel et de Milan.
L'unicità del romanzo è intuibile anche dalle stesse parole dell'autore: Ho pensato molti libri, ma non ne ho mai scritti, neanche uno. Questo sarà l'unico, servirà mai?
Servì a lui per poco tempo, in quei rari periodi in cui era fuori dal carcere, e servì anche al provinciale ambiente editoriale che all'improvviso si trovò di fronte ad un inusuale e scorticante racconto di uno scrittore preda delle sue ossessioni.
I critici nostrani tirarono fuori di tutto, scomodando l'empireo letterario: da Celine a Dostoevskij. Ritrovando ne Il cacciatore una costruzione estetica dal ritmo decisamente linguistico, una tavolozza di sfumature tendenti al grigio con sbandamenti nero-seppia, un'etica volutamente border-line che assume in alcuni tratti una confessione al limite della criminalità (di nuovo Busi: C'è stato uno scambio di lettere e il sentore precedentemente avvertito di avere a che fare con un criminale, forse con un assassino nonché ingenuo idealista...).
Idealismo certo portato alle estreme conseguenze ed esplicitato sin dall'inizio con quelle parole che sono nello stesso tempo una premessa, ma anche un sorta di sigillo esistenziale: In questo racconto troverete l'angoscia fisica e psicologica di un Uomo che scopriva lentamente le meraviglie del suo animo destinandolo alla totale incomprensione.
Di sicuro c'è nella testa del protagonista un'attitudine persino intellettualmente brillante all'indulgenza e allo stesso modo alla dannazione: disturba ne Il cacciatore il continuo piagnisteo dell'incomunicabilità e nello stesso tempo affascina quel carattere portato alla sfrontatezza assoluta che può preludere a qualsiasi esito.
Il romanzo è – in poche parole – circoscritto a tre punti focali: il protagonista, la madre e lo psicoterapeuta (chiamato Dottor A). Dove il secondo, la genitrice appunto, riscontra nei comportamenti quasi adolescenziali del figlio, addirittura vere e proprie dislocazioni mentali (può essere sintomo di malattia l'aver distrutto volutamente un vaso orientale solo per attirare proustianamente l'attenzione di una madre?). Il Dottor A si trova ad affrontare una personalità in apparenza scissa, ma lucida soprattutto nella sua capacità affabulatoria: In realtà, sono vecchio come il mondo. Ma se le piacciono le cifre, sappia che avrò trent'anni soltanto tra qualche mese. Un terzo di anno che non si è ancora vissuto, rappresenta molto per un uomo come me...
Il protagonista, pur convinto della sua pochissima aderenza al mondo, ha necessità di scoprire il limite delle sue possibilità. Senza tema di irragionevolezza: Avevo tre strade, Dottore: il sapere, l'amore e l'azione. Il sapere è troppo poco, troppo magro; lei è abbastanza informato! Me ne sono nutrito fino alla nausea, sono sempre gli stessi piatti. L'amore... ho fatto fiasco, Dottore, lo confesso senza vergogna e senza rimpianto. Anche se mia madre non mi avesse tagliato la strada, avrei fatto fiasco ugualmente... Resta l'azione. Ammetta che non devo dichiararmi sconfitto prima di aver esaurito le mie forze.
Questo libro non va raccontato, va soltanto letto nella sua continua ed inarrestabile discesa negli inferi: dove l'Uomo (maiuscolo, perché il protagonista sembra rappresentare se stesso come forma comune di aggregazione per i perdenti) è paradossalmente incline agli altri, ma l'inclinazione nasconde una tremenda minaccia. Fascinatoria, come può essere il Male.
Ebbene, io amo gli uomini perché non posso amare altro, e poi mi sono accorto fin troppo bene che essi valgono molto di più dei vostri cani e delle porcellane cinesi. Attento, Dottore, non confonda con l'amore cristiano. Il mio è terribile. E' l'amore del rospo con i moscerini. Tutti quelli che si mostrano devono essere presi. La mia forza non ha più limiti... Da principio ho tentato di adescarli con la lingua, non ci sono cascati. Li avrò col veleno. L'essenziale, Dottore, è averli...
Dunque 'cacciatore' perché è un predatore che non agisce nell'oscurità, ma davanti a tutti, come se volesse rivelarsi, dunque ricoperto di campanelli, per farsi annunciare. L'annunciazione che decreta la nascita di uomo nuovo (superuomo?). In fondo come Hannibal Lecter...
L'edizione da noi considerata è:
Giuseppe Lo Presti
Il cacciatore ricoperto di campanelli
Oscar Originals Mondadori 1990.
Così scriveva Aldo Busi presentando Il cacciatore ricoperto di campanelli di Giuseppe Lo Presti. Un piccolo romanzo uscito alla chetichella per gli Oscar Originals nel 1990 e diventato – forse grazie anche alla prefazione e all'interessamento dello scrittore bresciano – un piccolo caso editoriale.
Tanto 'caso' che in più di vent'anni nessuno si è preso la briga di ripubblicarlo (in verità qualche tentativo c'è stato, ma poi abortito) e negli ambienti delle 'rarità' ha ormai raggiunto quotazione ragguardevoli.
Ma cos'ha di tanto speciale da renderlo così unico? Busi dice: una grammatica deficitaria e una propensione alla lamentazione esistenziale, nefandezze che si possono scontare solo con la morte.
Ed aveva ragione nella sua lucidità profetica: Lo Presti morì, non ancora quarantenne, nel 1995 dopo essere stato più volte in carcere per rapina e perché ritenuto terrorista di destra.
Ancora Busi: la formula terrorismo di destra non mi ha mai incuriosito più di tanto. C'era un testo, mi bastava, e lo scrittore uomo mi interessa tanto di meno della sua capacità di scrivere e, visto che lo deve pur fare da qualche parte, che lo faccia in prigione a Prato non lo pregiudica di meno che lo stesse facendo al Grand Hotel et de Milan.
L'unicità del romanzo è intuibile anche dalle stesse parole dell'autore: Ho pensato molti libri, ma non ne ho mai scritti, neanche uno. Questo sarà l'unico, servirà mai?
Servì a lui per poco tempo, in quei rari periodi in cui era fuori dal carcere, e servì anche al provinciale ambiente editoriale che all'improvviso si trovò di fronte ad un inusuale e scorticante racconto di uno scrittore preda delle sue ossessioni.
I critici nostrani tirarono fuori di tutto, scomodando l'empireo letterario: da Celine a Dostoevskij. Ritrovando ne Il cacciatore una costruzione estetica dal ritmo decisamente linguistico, una tavolozza di sfumature tendenti al grigio con sbandamenti nero-seppia, un'etica volutamente border-line che assume in alcuni tratti una confessione al limite della criminalità (di nuovo Busi: C'è stato uno scambio di lettere e il sentore precedentemente avvertito di avere a che fare con un criminale, forse con un assassino nonché ingenuo idealista...).
Idealismo certo portato alle estreme conseguenze ed esplicitato sin dall'inizio con quelle parole che sono nello stesso tempo una premessa, ma anche un sorta di sigillo esistenziale: In questo racconto troverete l'angoscia fisica e psicologica di un Uomo che scopriva lentamente le meraviglie del suo animo destinandolo alla totale incomprensione.
Di sicuro c'è nella testa del protagonista un'attitudine persino intellettualmente brillante all'indulgenza e allo stesso modo alla dannazione: disturba ne Il cacciatore il continuo piagnisteo dell'incomunicabilità e nello stesso tempo affascina quel carattere portato alla sfrontatezza assoluta che può preludere a qualsiasi esito.
Il romanzo è – in poche parole – circoscritto a tre punti focali: il protagonista, la madre e lo psicoterapeuta (chiamato Dottor A). Dove il secondo, la genitrice appunto, riscontra nei comportamenti quasi adolescenziali del figlio, addirittura vere e proprie dislocazioni mentali (può essere sintomo di malattia l'aver distrutto volutamente un vaso orientale solo per attirare proustianamente l'attenzione di una madre?). Il Dottor A si trova ad affrontare una personalità in apparenza scissa, ma lucida soprattutto nella sua capacità affabulatoria: In realtà, sono vecchio come il mondo. Ma se le piacciono le cifre, sappia che avrò trent'anni soltanto tra qualche mese. Un terzo di anno che non si è ancora vissuto, rappresenta molto per un uomo come me...
Il protagonista, pur convinto della sua pochissima aderenza al mondo, ha necessità di scoprire il limite delle sue possibilità. Senza tema di irragionevolezza: Avevo tre strade, Dottore: il sapere, l'amore e l'azione. Il sapere è troppo poco, troppo magro; lei è abbastanza informato! Me ne sono nutrito fino alla nausea, sono sempre gli stessi piatti. L'amore... ho fatto fiasco, Dottore, lo confesso senza vergogna e senza rimpianto. Anche se mia madre non mi avesse tagliato la strada, avrei fatto fiasco ugualmente... Resta l'azione. Ammetta che non devo dichiararmi sconfitto prima di aver esaurito le mie forze.
Questo libro non va raccontato, va soltanto letto nella sua continua ed inarrestabile discesa negli inferi: dove l'Uomo (maiuscolo, perché il protagonista sembra rappresentare se stesso come forma comune di aggregazione per i perdenti) è paradossalmente incline agli altri, ma l'inclinazione nasconde una tremenda minaccia. Fascinatoria, come può essere il Male.
Ebbene, io amo gli uomini perché non posso amare altro, e poi mi sono accorto fin troppo bene che essi valgono molto di più dei vostri cani e delle porcellane cinesi. Attento, Dottore, non confonda con l'amore cristiano. Il mio è terribile. E' l'amore del rospo con i moscerini. Tutti quelli che si mostrano devono essere presi. La mia forza non ha più limiti... Da principio ho tentato di adescarli con la lingua, non ci sono cascati. Li avrò col veleno. L'essenziale, Dottore, è averli...
Dunque 'cacciatore' perché è un predatore che non agisce nell'oscurità, ma davanti a tutti, come se volesse rivelarsi, dunque ricoperto di campanelli, per farsi annunciare. L'annunciazione che decreta la nascita di uomo nuovo (superuomo?). In fondo come Hannibal Lecter...
L'edizione da noi considerata è:
Giuseppe Lo Presti
Il cacciatore ricoperto di campanelli
Oscar Originals Mondadori 1990.
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