CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Un dylaniano poco dylaniano: 'We live on Cliffs' di Adam Haworth Stephens.
Ci mancavano pure i settant'anni di Dylan (se volete divertirvi con qualche curiosità o suggerimento sull'uomo cercate il pezzo che ha scritto Bertoncelli su del rock.it). Non per altro: se i tuoi beniamini ormai veleggiano tutti oltre i settanta appunto qualcosa vorrà pur dire. E sulla nostra strada se ne incontrano sempre più spesso.
Ma non siamo nostalgici (anche se l'attualità insiste ancora sui Doors, perché è in uscita When you're strange, il documentario sulla band californiana che esce a 40 anni dalla morte di Morrison), e tiriamo avanti, pur sapendo, senza malizia, che qualche figlioccio di siffatti vecchi imbacucchiti lo becchiamo a bazzicar vecchi lidi e vecchie storie.
Metti Adam Haworth Stephens: giovine, ma già alle spalle una bella attività come leader e cantante del gruppo californiano Two Gallants, decide di far tutto da solo (per modo di dire e vedremo perché) e sforna questo sfiziosissimo We live on Cliffs.
Quando attacca il primo pezzo 'Praises in yor name' sfido chiunque a dire che non ricorda il vecchio Dylan, non tanto dal punto di vista musicale, ma da quello vocale. Dicendo di più: Stephens ha una splendida ed irregolare voce.
Le sue scelte sono significativamente eterogenee: quando scrive non si limita solo alla più triste disperazione e alla considerazione di un mondo sbagliato, nell'affascinante 'The cities that you've burned', per esempio, apre le porte ad una tenue speranza se non addirittura alla redenzione (si pensa che il paese è solo uno stato d'animo...). Lui vive anche di passione, come nell'amore 'sconsiderato' di 'Second mine' o in quello particolarmente difficile di 'Angeline' (il brano più bello?).
La musica è speculare ai testi, nel senso che non si sofferma su uno stile o su un'impostazione pre-definita: pur essendo sostanzialmente un menestrello, si pone dylaniamente in 'Praises in your name', ma diventa un po' Wilco nell'attacco di 'Southern lights', gigioneggia col rock un po' duro e da fm americana in 'Helderwoods', s'impenna alla Greenwich Village in ' With vengeance come', osa addirittura accenni caraibici in 'Angeline' e chiude il disco con un riuscito bluegrass 'Everyday I fall'.
Si diceva prima che tenta la strada solista, ma pur suonando chitarra e piano si fa produrre da Joe Chicarelli che ha nel suo palmares un Grammy Award e poi è spalleggiato da un manipolo di collaborati tra i quali spicca Petra Haden, figlia del grande contrabbassista Charlie e già voce dei That Dog.
Insomma concludendo (come avrebbe detto il povero Mike) Adam Haworth Stephens è un nome da seguire. Io sul suo rock-indie ci scommetto qualcosa.
Adam Haworth Stephens
We live on Cliffs
Saddle Creek - 2011
Ma non siamo nostalgici (anche se l'attualità insiste ancora sui Doors, perché è in uscita When you're strange, il documentario sulla band californiana che esce a 40 anni dalla morte di Morrison), e tiriamo avanti, pur sapendo, senza malizia, che qualche figlioccio di siffatti vecchi imbacucchiti lo becchiamo a bazzicar vecchi lidi e vecchie storie.
Metti Adam Haworth Stephens: giovine, ma già alle spalle una bella attività come leader e cantante del gruppo californiano Two Gallants, decide di far tutto da solo (per modo di dire e vedremo perché) e sforna questo sfiziosissimo We live on Cliffs.
Quando attacca il primo pezzo 'Praises in yor name' sfido chiunque a dire che non ricorda il vecchio Dylan, non tanto dal punto di vista musicale, ma da quello vocale. Dicendo di più: Stephens ha una splendida ed irregolare voce.
Le sue scelte sono significativamente eterogenee: quando scrive non si limita solo alla più triste disperazione e alla considerazione di un mondo sbagliato, nell'affascinante 'The cities that you've burned', per esempio, apre le porte ad una tenue speranza se non addirittura alla redenzione (si pensa che il paese è solo uno stato d'animo...). Lui vive anche di passione, come nell'amore 'sconsiderato' di 'Second mine' o in quello particolarmente difficile di 'Angeline' (il brano più bello?).
La musica è speculare ai testi, nel senso che non si sofferma su uno stile o su un'impostazione pre-definita: pur essendo sostanzialmente un menestrello, si pone dylaniamente in 'Praises in your name', ma diventa un po' Wilco nell'attacco di 'Southern lights', gigioneggia col rock un po' duro e da fm americana in 'Helderwoods', s'impenna alla Greenwich Village in ' With vengeance come', osa addirittura accenni caraibici in 'Angeline' e chiude il disco con un riuscito bluegrass 'Everyday I fall'.
Si diceva prima che tenta la strada solista, ma pur suonando chitarra e piano si fa produrre da Joe Chicarelli che ha nel suo palmares un Grammy Award e poi è spalleggiato da un manipolo di collaborati tra i quali spicca Petra Haden, figlia del grande contrabbassista Charlie e già voce dei That Dog.
Insomma concludendo (come avrebbe detto il povero Mike) Adam Haworth Stephens è un nome da seguire. Io sul suo rock-indie ci scommetto qualcosa.
Adam Haworth Stephens
We live on Cliffs
Saddle Creek - 2011
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