CLASSICI
Alfredo Ronci
Un libro che non finisce mai di far discutere: 'Deviazione' di Luce D'Eramo.
Ricordo ancora con sgomento quando, in occasione della nuova edizione del libro, una nota informativa Mondadori scriveva che era in libreria la ristampa di Deiezione.
Chissà, ma mi viene da pensare ad un clamoroso lapsus dettato dall'esalazione che questo romanzo ha sempre emesso. A Roma si direbbe, cambiando totalmente espressione: un cagnaccio.
Verrebbe voglia, tutt'oggi, di dividersi nella valutazione, ed odiarlo, come nello stesso tempo amarlo.
L'odio nasce da un'idea che sottosta a tutta la vicenda e che io riassumerei nella domanda: ma è necessario avere l'insolenza di San Tommaso per rendersi conto del dolore del mondo?
Facciamo un attimo di chiarezza raccontando la storia di Luce. L'8 settembre del '44 fugge da casa, volontaria per la Germania, come semplice operaia, coi ritratti di Mussolini e Hitler nello zaino e si fa assumere in un campo per liberi lavoratori nel tentativo di capire e vedere coi propri occhi le atrocità di cui ha sentito sempre più parlare. Sembra sapere il fatto suo: di origine borghese e di famiglia benestante, con un padre fascista ed una madre filo hitleriana (Lei non aveva mai dubitato che le dicerie sui Lager nazisti fossero calunnie), di fronte al primo prigioniero che le fa notare l'efferata crudeltà dei 'volenterosi carnefici di Hitler' (espressione rubata allo straordinario bestseller di Daniel Jonah Goldhagen) scrive senza esitare: Rimango silenziosa a riflettere: non riesco ad essere disgustata.
Nonostante la sua esperienza nei campi per volontari, diversi dai campi di lavoro (che erano quelli dove venivano internati i deportati in seguito ai rastrellamenti, gli ostaggi, i familiari dei detenuti politici, dei partigiani e dei disertori, e ovviamente diversissimi dai campi di concentramento), l'atteggiamento della ragazza è recidivo. A chi continuamente le fa notare come il regime fascista sia simile a quello nazista, comunque si sente di ragionare: "Devo pur riflettere", rispose Lucia colta di sorpresa "devo trovare un criterio di valutazione che non mi salti alla prima verifica. Qui ho potuto vedere le cose dall'altra parte, ma lì? Non ne so niente".
L'indignazione che sale nel lettore (l'odio nei confronti del romanzo, e quindi dell'autrice, di cui si diceva prima) non può essere l'unica forma di valutazione dell'opera, ma il quesito principale torna ancor più pressante: ma c'è davvero bisogno della 'prova' visiva per valutare lo stato di salute di un 'regime' o au contraire la sua deriva sanguinaria? Non è forse vero che chi è attento, respira qualcosa?
La protagonista non si da per vinta: "Fino adesso ho sputato sentenze su cose che non sapevo" ribatteva Lucia. "Perciò voglio giudicare solo quello che conosco, arrabattandomi coi valori che ho, cioè che vado scoprendo". "E quali sarebbero questi valori?". "La solidarietà per esempio, che è diversa dalla coralità fascista".
Che per quanto giudizio brillante è ancora esente da qualsivoglia condanna. Dunque il fascismo per Lucia è espressione di coralità non di disfacimento dei valori che lei stessa cerca e tra i quali inserisce la solidarietà. E quest'ultima, paradossalmente, sarà la sua condanna: durante un'azione di salvataggio di persone sepolte sotto un bombardamento, un'intera parete le crolla addosso. Sarà l'inizio di una lunga e dolorosissima peregrinazione in vari ospedali che la porterà alla paralisi e successivamente all'uso di una sedia a rotelle.
Ma Deviazione (mi sono spesso domandato, durante la lettura, deviazione da cosa: dalla sua esistenza, che la protagonista ha reso difficile nonostante la possibilità di viverla 'serenamente'? O dall'idea preconcetta, alla base del romanzo, che solo gli occhi possono capire la tragedia del mondo?) è anche un romanzo d'amore. Non solo per l'aspetto 'volontaristico' della protagonista che, nonostante i suoi limiti, si trova a fare i conti con un'umanità formicolante di vita, ma per il valore assoluto da dare alla memoria.
Deviazione non ha una struttura narrativa semplice (il libro all'inizio riporta una mappa sui viaggi e la fuga della protagonista): Luce D'Eramo racconta le vicende man mano che i ricordi si riaffacciano e la consequenzialità temporale dunque perde la sua 'logica'. Il romanzo potrebbe essere una sorta di gioco della campana: per guadagnare il senso di tutto bisogna spostarsi in continuazione e persino 'allungarsi'.
E' senza dubbio l'enorme fascino di questo romanzo urticante. Colmo di certezze che si sgretolano, di dubbi invadenti e di improvvise illuminazioni. Come quando la protagonista riflette, con una saggezza cresciuta nella sofferenza, sulla psicologia della sottomissione: La cosa più certa è che, mentre nel mondo di fuori cercavano di dare un'immagine impeccabile di sé, nei K-lager i nazisti facevano di tutto per essere detestati, in modo da attirare i reclusi più sprovveduti e da suscitare nei più combattivi una tale ripugnanza morale che si schifassero di sporcarsi a lottare contro i propri aguzzini. E così li fregavano. Infatti l'odio per i nazisti diventava una passione esclusiva che non accumunava socialmente gli internati.
Di fronte ad una considerazione così lucida e nello stesso tempo agghiacciante del potere della violenza alla protagonista si può perdonare l'errore iniziale del non voler 'sentire' piuttosto che quello del voler vedere.
Ma lei alla fine ha visto la Luce. Nel suo caso 'nomen omen'.
L'edizione da noi considerata è:
Luce D'eramo
Deviazione
Mondadori – prima edizione 1979
Chissà, ma mi viene da pensare ad un clamoroso lapsus dettato dall'esalazione che questo romanzo ha sempre emesso. A Roma si direbbe, cambiando totalmente espressione: un cagnaccio.
Verrebbe voglia, tutt'oggi, di dividersi nella valutazione, ed odiarlo, come nello stesso tempo amarlo.
L'odio nasce da un'idea che sottosta a tutta la vicenda e che io riassumerei nella domanda: ma è necessario avere l'insolenza di San Tommaso per rendersi conto del dolore del mondo?
Facciamo un attimo di chiarezza raccontando la storia di Luce. L'8 settembre del '44 fugge da casa, volontaria per la Germania, come semplice operaia, coi ritratti di Mussolini e Hitler nello zaino e si fa assumere in un campo per liberi lavoratori nel tentativo di capire e vedere coi propri occhi le atrocità di cui ha sentito sempre più parlare. Sembra sapere il fatto suo: di origine borghese e di famiglia benestante, con un padre fascista ed una madre filo hitleriana (Lei non aveva mai dubitato che le dicerie sui Lager nazisti fossero calunnie), di fronte al primo prigioniero che le fa notare l'efferata crudeltà dei 'volenterosi carnefici di Hitler' (espressione rubata allo straordinario bestseller di Daniel Jonah Goldhagen) scrive senza esitare: Rimango silenziosa a riflettere: non riesco ad essere disgustata.
Nonostante la sua esperienza nei campi per volontari, diversi dai campi di lavoro (che erano quelli dove venivano internati i deportati in seguito ai rastrellamenti, gli ostaggi, i familiari dei detenuti politici, dei partigiani e dei disertori, e ovviamente diversissimi dai campi di concentramento), l'atteggiamento della ragazza è recidivo. A chi continuamente le fa notare come il regime fascista sia simile a quello nazista, comunque si sente di ragionare: "Devo pur riflettere", rispose Lucia colta di sorpresa "devo trovare un criterio di valutazione che non mi salti alla prima verifica. Qui ho potuto vedere le cose dall'altra parte, ma lì? Non ne so niente".
L'indignazione che sale nel lettore (l'odio nei confronti del romanzo, e quindi dell'autrice, di cui si diceva prima) non può essere l'unica forma di valutazione dell'opera, ma il quesito principale torna ancor più pressante: ma c'è davvero bisogno della 'prova' visiva per valutare lo stato di salute di un 'regime' o au contraire la sua deriva sanguinaria? Non è forse vero che chi è attento, respira qualcosa?
La protagonista non si da per vinta: "Fino adesso ho sputato sentenze su cose che non sapevo" ribatteva Lucia. "Perciò voglio giudicare solo quello che conosco, arrabattandomi coi valori che ho, cioè che vado scoprendo". "E quali sarebbero questi valori?". "La solidarietà per esempio, che è diversa dalla coralità fascista".
Che per quanto giudizio brillante è ancora esente da qualsivoglia condanna. Dunque il fascismo per Lucia è espressione di coralità non di disfacimento dei valori che lei stessa cerca e tra i quali inserisce la solidarietà. E quest'ultima, paradossalmente, sarà la sua condanna: durante un'azione di salvataggio di persone sepolte sotto un bombardamento, un'intera parete le crolla addosso. Sarà l'inizio di una lunga e dolorosissima peregrinazione in vari ospedali che la porterà alla paralisi e successivamente all'uso di una sedia a rotelle.
Ma Deviazione (mi sono spesso domandato, durante la lettura, deviazione da cosa: dalla sua esistenza, che la protagonista ha reso difficile nonostante la possibilità di viverla 'serenamente'? O dall'idea preconcetta, alla base del romanzo, che solo gli occhi possono capire la tragedia del mondo?) è anche un romanzo d'amore. Non solo per l'aspetto 'volontaristico' della protagonista che, nonostante i suoi limiti, si trova a fare i conti con un'umanità formicolante di vita, ma per il valore assoluto da dare alla memoria.
Deviazione non ha una struttura narrativa semplice (il libro all'inizio riporta una mappa sui viaggi e la fuga della protagonista): Luce D'Eramo racconta le vicende man mano che i ricordi si riaffacciano e la consequenzialità temporale dunque perde la sua 'logica'. Il romanzo potrebbe essere una sorta di gioco della campana: per guadagnare il senso di tutto bisogna spostarsi in continuazione e persino 'allungarsi'.
E' senza dubbio l'enorme fascino di questo romanzo urticante. Colmo di certezze che si sgretolano, di dubbi invadenti e di improvvise illuminazioni. Come quando la protagonista riflette, con una saggezza cresciuta nella sofferenza, sulla psicologia della sottomissione: La cosa più certa è che, mentre nel mondo di fuori cercavano di dare un'immagine impeccabile di sé, nei K-lager i nazisti facevano di tutto per essere detestati, in modo da attirare i reclusi più sprovveduti e da suscitare nei più combattivi una tale ripugnanza morale che si schifassero di sporcarsi a lottare contro i propri aguzzini. E così li fregavano. Infatti l'odio per i nazisti diventava una passione esclusiva che non accumunava socialmente gli internati.
Di fronte ad una considerazione così lucida e nello stesso tempo agghiacciante del potere della violenza alla protagonista si può perdonare l'errore iniziale del non voler 'sentire' piuttosto che quello del voler vedere.
Ma lei alla fine ha visto la Luce. Nel suo caso 'nomen omen'.
L'edizione da noi considerata è:
Luce D'eramo
Deviazione
Mondadori – prima edizione 1979
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