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CLASSICI

Alfredo Ronci

Un tragico regime da ridere: 'Le rose del ventennio' di Gian Carlo Fusco.

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Sul finire degli anni Quaranta, Gian Carlo Fusco, dopo aver combattuto in Albania e dopo aver fatto la Resistenza, si stabilì a Viareggio. Per vivere dirigeva il Kursal Garden, uno dei locali più eleganti della Versilia. Dove si esibiva anche in qualità di presentatore e ballerino di boogie-woogie. Erano suoi compagni di lavoro, oltre a Mario Carotenuto, due esordienti che avrebbero fatto carriera: Fred Buscaglione e Katina Ranieri. Certe sere, dopo lo spettacolo, Fusco intratteneva un gruppetto d'amici, raccontando episodi paradossali per quanto autentici, vissuti al fronte o rievocando figure e casi del 'ventennio' fascista. Fra quegli amici vi era Manlio Cancogni. E fu lui che consigliò al Fusco di scrivere le sue storie, così come le raccontava.
E queste, una volta realizzate, furono proposte a Mario Pannunzio, che allora dirigeva uno dei settimanali più in vista e selettivi del momento: Il Mondo. I racconti, che apparvero nel giro di pochi mesi, quasi uno dopo l'altro, ottennero subito l'apprezzamento dell'ambiente editoriale tanto che, qualche anno dopo, Giulio Einaudi li raccolse in un libro col titolo di Le rose del ventennio.
Sarebbe troppo facile dire che un'opera del genere è pervasa da una sottile ironia: per quanto vero, limiterebbe la sagacia e le stesse intenzioni dell'autore che vide sì nelle 'avventure' raccontate lo specchio di un sistema da irridere, ma anche e soprattutto una struttura marcescente incapace di affrontare le urgenze.
Un ventennio 'ridanciano' per sua stessa natura: difficile allora scorgerne il dileggio del Fusco se non pronti a valutare anche il tragico inevitabile.
Gli otto racconti che compongono il libro non sono dunque un'esplosione di comicità, sono una rappresentazione al vetriolo di una struttura essa stessa caricaturale.
'L'ora della nascita'è una figurazione quasi conviviale dell'incontro che precede la marcia su Roma. 'Le rose del ventennio', il racconto che da il titolo al volume, ha come protagoniste le donne del fascio, ma non quelle vicine ai posti di comando o le 'first lady' da cerimoniale, ma le popolane, quelle più incantate dall'ardore e dal fascino dell'Uomo della Provvidenza (Fra le più gagliarde e combattive c'erano due sorelle liguri, le Baschetto, una delle quali si era fatta gli orecchini con due denti sputati da una manganellata...).
'Il quarto ordine del Vittoriale' è uno straordinario resoconto di un incontro tra un ufficiale commissario, ammiratore sfegatato di D'Annunzio, e lo stesso Vate (Qualche tempo dopo, tornato alla Spezia, il maggiore disse agli amici, con qualche riluttanza, che la figura di D'Annunzio gli aveva subito rammentato, con quella testa pulita e lucida, certi flaconi di profumo con tappo metallico). Nel quale, discettando di politica, il poeta arriva a persino a dire sul fascismo che con la m... non si fabbrica!
'Tomislavo senza regno' è la cronaca delle vicissitudini di Tomislao appunto, cioè il duca Aimone di Savoia che, improvvisamente, per ordini superiori, si trova ad essere re di Croazia: ma il cui regno mai s'espresse a causa dell'incombenza dell'imminente tragedia bellica.
'La guerra con gioia' è il ritratto sconsolante dei gerarchi fascisti che vengono spediti sul fronte alpino di guerra con l'Albania per controllare la situazione, ma si contraddistinguono, Starace tra tutti, per fellonia ed indifferenza.
Gli ultimi tre racconti del libro costituiscono una sorta di trilogia 'greca': narrano delle disgrazie della conquista della Grecia. Il primo 'La marcia indietro' è una sorta di contraltare al primo racconto sulla marcia 'in avanti' di Roma. Nel secondo 'La sua battaglia' compare addirittura Mussolini che una volta raggiunto il territorio di guerra licenzia un generale che aveva confessato che le cose non andavano per il verso giusto (Il duce prese il grosso binocolo che il solito caposquadra di fiducia gli porgeva e si avvicinò alle finestre. Puntò. Riabbassò e regolò. Ripuntò. Mosse il binocolo in lenta panoramica. "Molta neve" disse, sempre guardando. "Molta" soggiunse il generale Nasci. "Sciabile?" chiese Mussolini).
Ne 'I ragazzi di Cucarasi' un tenente, ex ardito, stanco di attendere sul confine greco, decide in proprio di creare un super-gruppo, ma poi davanti alla stringente necessità di un attacco, si rivela vigliacco e codardo.
Si capisce, dalle note ai racconti de Le rose del ventennio, che il grottesco è dell'autorità (ma l'autore avrebbe potuto fare lo stesso strame del popolo, perché non si è profondamente ridicoli senza l'assenso folcloristico di questo): fu forse questo ad impedire al libro di avere il successo che meritava? Perché nonostante l'interesse diretto di Einaudi, l'opera di Fusco, anche se rappresentò per l'autore l'inizio di una carriera letteraria e giornalistica, ebbe una diffusione relativamente modesta.
Che la 'nuova' Repubblica, nata dalle 'ceneri'del vecchio regime, aveva ancora parecchi scheletri nell'armadio per poter ridere di se stessa?


L'edizione da noi considerata è:

Gian Carlo Fusco
Le rose del ventennio
Rizzoli - 1974



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