CLASSICI
Alfredo Ronci
Un tragitto che vale una vita: 'Viaggio di fortuna' di Francesco Flora.
Un libriccino sepolto ormai nella polvere del tempo: bellissimo perché lucido nella sua sostanza ideologica e soprattutto perché essenziale.
Scrive l'autore nella prefazione: Queste pagine, svolgendo rapidi appunti, - stenografia di vicende e pensieri più che di spiegate parole -, furono scritte dal 18 al 25 settembre del 1943.
Dunque giorni terribili per il nostro paese, dove la poca preparazione per l'improvviso armistizio e lo smarrimento, soprattutto dei militari, aumentò vertiginosamente la paura del domani.
Nella sciagura di un paese costretto a un armistizio disperato, di un popolo che non poteva più né fare la guerra né fare la pace, è possibile ancora cantare?
Domanda lecita e se vogliamo speranzosa perché per contraltare c'era una massa miserabile che preme, soprattutto i giovani piangevano come disperati, perché non sapevano che fare.
Il protagonista, lo stesso Flora – che non stiamo a biografare anche se non possiamo nascondere la sua storia della letteratura italiana – decide di fuggire a Napoli perché Roma comincia ad essere una città insicura (è già 'città aperta' per le disposizioni del 31 luglio del '43 da parte dell'allora Ministro degli esteri Guariglia). Ha notizie che nel capoluogo partenopeo, nonostante le rappresaglie dei nazisti (I tedeschi a Napoli hanno fatto stragi e rapine), gli alleati sono vicini... e poi c'è la famiglia.
Il Viaggio di fortuna di Flora è una sorta di via crucis sulla linea ferroviaria Roma – Napoli, via Cassino, dove per compiere i primi 12 chilometri, per l'andatura del mezzo che è come animale da soma (Il treno è sempre più affaticato e a un punto si ferma sfinito), per le fermate e i pericoli di agguati e perquisizioni naziste, ci vogliono più di quattro ore.
Per non parlare della sistemazione, simile ad una deportazione di massa: Anche la luna, dietro il reticolato del finestrino, s'è fatta sporca. Volgo ora le spalle alla porta, aggobbito sulla valigia, coi piedi imprigionati tra gli scarponi dei compagni di viaggio, e non vedo le campagne.
Napoli sarà da lì – dopo deviazioni, lunghe camminate e peregrinazioni – a quattro giorni: nel mezzo incontri, abbandoni e soprattutto solidarietà.
Flora troverà una città stanca e affamata ma tutt'altro che vinta (nel settembre del '43 vi furono le leggendarie quattro giornate): I rivoltosi quasi inermi a paragone del regolare esercito tedesco, con un'accortissima tecnica di guerriglia, che giunse fino all'uso del manico della scopa da parte di alcune popolane, seppero ottenere dalle loro armi un rendimento che ebbe del prodigioso.
L'autore non insiste di più nei suoi vagabondaggi: crediamo noi che, per una specie di stringente urgenza unitaria (perché questo libro non è stato riscoperto in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni?), abbia bisogno di una riconsiderazione del territorio nazionale tutto.
(...) quasi a chiudere un itinerario coi suoi richiami analogici, il rapporto di un altro viaggio: quando nel maggio del 1945. Mi fu dato di ritornare a Milano.
Anche Milano è una città stanca e trasformata: dalle rovine, alle case in piedi al paesaggio tutto è diverso. Flora disconosce pure la natura e di essa gli alberi: li han segati al suolo per intere strade, li hanno schiantati fin dalla radice: se ne prova una sofferenza che direi vegetale e mi fa pensare quei mutilati che sentono tuttavia dolersi gli arti perduti, come li avessero ancora.
Inevitabile poi il confronto con un luogo dov'erano partiti i primi segnali del fascismo e che di quest'ultimo ne fece strame. Flora, antifascista diremmo noi con gli attributi, senza se e senza ma, non si duole di Piazzale Loreto. Anzi.
Dichiara la necessità: Sopprimerli non era una rappresaglia di guerra, ma una necessità di difesa.
E si sente in dovere anche di condannare la Petacci, senza stilla di pietà per una donna che ha seguito un uomo responsabile di un mare di morti. (Quel Mussolini che aveva preteso rigenerare il Italia il sentimento della famiglia e quello della religione, fuggiva non con la sposa o coi figli ma con una giovane amante sul cui capo si era addensato lo sdegno di tutti gli italiani).
La libertà riconquistata per Flora non è una condizione di emancipazione, ma è soprattutto distanza dal regime, da un abbrutimento generale che aveva portato un intero popolo nel baratro e nel lutto. Un regime di omuncoli e lacché che erano accompagnati da amanti e da prostitute che il denaro italiano pagava lautamente al loro capriccio di avventurieri.
Ci ricorda qualcosa.
L'edizione da noi considerata è:
Francesco Flora
Viaggio di fortuna
Gentile editore - 1945
Scrive l'autore nella prefazione: Queste pagine, svolgendo rapidi appunti, - stenografia di vicende e pensieri più che di spiegate parole -, furono scritte dal 18 al 25 settembre del 1943.
Dunque giorni terribili per il nostro paese, dove la poca preparazione per l'improvviso armistizio e lo smarrimento, soprattutto dei militari, aumentò vertiginosamente la paura del domani.
Nella sciagura di un paese costretto a un armistizio disperato, di un popolo che non poteva più né fare la guerra né fare la pace, è possibile ancora cantare?
Domanda lecita e se vogliamo speranzosa perché per contraltare c'era una massa miserabile che preme, soprattutto i giovani piangevano come disperati, perché non sapevano che fare.
Il protagonista, lo stesso Flora – che non stiamo a biografare anche se non possiamo nascondere la sua storia della letteratura italiana – decide di fuggire a Napoli perché Roma comincia ad essere una città insicura (è già 'città aperta' per le disposizioni del 31 luglio del '43 da parte dell'allora Ministro degli esteri Guariglia). Ha notizie che nel capoluogo partenopeo, nonostante le rappresaglie dei nazisti (I tedeschi a Napoli hanno fatto stragi e rapine), gli alleati sono vicini... e poi c'è la famiglia.
Il Viaggio di fortuna di Flora è una sorta di via crucis sulla linea ferroviaria Roma – Napoli, via Cassino, dove per compiere i primi 12 chilometri, per l'andatura del mezzo che è come animale da soma (Il treno è sempre più affaticato e a un punto si ferma sfinito), per le fermate e i pericoli di agguati e perquisizioni naziste, ci vogliono più di quattro ore.
Per non parlare della sistemazione, simile ad una deportazione di massa: Anche la luna, dietro il reticolato del finestrino, s'è fatta sporca. Volgo ora le spalle alla porta, aggobbito sulla valigia, coi piedi imprigionati tra gli scarponi dei compagni di viaggio, e non vedo le campagne.
Napoli sarà da lì – dopo deviazioni, lunghe camminate e peregrinazioni – a quattro giorni: nel mezzo incontri, abbandoni e soprattutto solidarietà.
Flora troverà una città stanca e affamata ma tutt'altro che vinta (nel settembre del '43 vi furono le leggendarie quattro giornate): I rivoltosi quasi inermi a paragone del regolare esercito tedesco, con un'accortissima tecnica di guerriglia, che giunse fino all'uso del manico della scopa da parte di alcune popolane, seppero ottenere dalle loro armi un rendimento che ebbe del prodigioso.
L'autore non insiste di più nei suoi vagabondaggi: crediamo noi che, per una specie di stringente urgenza unitaria (perché questo libro non è stato riscoperto in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni?), abbia bisogno di una riconsiderazione del territorio nazionale tutto.
(...) quasi a chiudere un itinerario coi suoi richiami analogici, il rapporto di un altro viaggio: quando nel maggio del 1945. Mi fu dato di ritornare a Milano.
Anche Milano è una città stanca e trasformata: dalle rovine, alle case in piedi al paesaggio tutto è diverso. Flora disconosce pure la natura e di essa gli alberi: li han segati al suolo per intere strade, li hanno schiantati fin dalla radice: se ne prova una sofferenza che direi vegetale e mi fa pensare quei mutilati che sentono tuttavia dolersi gli arti perduti, come li avessero ancora.
Inevitabile poi il confronto con un luogo dov'erano partiti i primi segnali del fascismo e che di quest'ultimo ne fece strame. Flora, antifascista diremmo noi con gli attributi, senza se e senza ma, non si duole di Piazzale Loreto. Anzi.
Dichiara la necessità: Sopprimerli non era una rappresaglia di guerra, ma una necessità di difesa.
E si sente in dovere anche di condannare la Petacci, senza stilla di pietà per una donna che ha seguito un uomo responsabile di un mare di morti. (Quel Mussolini che aveva preteso rigenerare il Italia il sentimento della famiglia e quello della religione, fuggiva non con la sposa o coi figli ma con una giovane amante sul cui capo si era addensato lo sdegno di tutti gli italiani).
La libertà riconquistata per Flora non è una condizione di emancipazione, ma è soprattutto distanza dal regime, da un abbrutimento generale che aveva portato un intero popolo nel baratro e nel lutto. Un regime di omuncoli e lacché che erano accompagnati da amanti e da prostitute che il denaro italiano pagava lautamente al loro capriccio di avventurieri.
Ci ricorda qualcosa.
L'edizione da noi considerata è:
Francesco Flora
Viaggio di fortuna
Gentile editore - 1945
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