CLASSICI
Alfredo Ronci
Una “sottile” lotta al fascismo: ‘Rotaia’ di Ezio Taddei.
Parlare di Taddei è come cercare sassi nel deserto. Figura molto particolare nella rassegna letteraria italiana, tanto che alcuni critici lo hanno incensato e, pur nella morsa di una dialettica tipicamente nostrana, lo hanno anche osannato come uno degli autori più in vista e promettenti del panorama editoriale, mentre altri, e chissà se qualcuno prima o poi voglia dirci qualcosa in proposito, lo hanno letteralmente eliminato.
Ripeto, figura assolutamente fuori dalla norma. Basti pensare che gli anni giovanili, e non solo quelli, li ha passati praticamente in carcere. Livornese di nascita, per lo più anarchico, cominciò a scrivere per una sorte del destino e perché spesso si ritrovava “ad avere tempo” nei lunghi periodi di carcerazione. Non era un politico, né tanto meno un guerriero, per lo più un romantico, un generoso, uno che si dava da fare per gli altri.
Sentiamo cosa disse di lui Domenico Javarone nel suo libro biografico: Si logorava, pativa ed era veramente vivo quando si ritrovava con la povera gente, i diseredati, i compagni di strada della sua giovinezza. I meccanismi lo infastidivano, non ne afferrava la funzionalità, ma si fidava di alcuni uomini, come un bambino si fida di delle promesse dei grandi. Se gli veniva all’orecchio qualche ingiustizia, commessa nell’ambito dell’organizzazione comunista, provava amarezza e correva a consolare, come poteva, chi l’ingiustizia aveva subito. E non alzava mai la voce.
Dunque un uomo tutto di un pezzo, come ce ne sono stati tanti in Italia, che trovò anche il modo per farsi apprezzare per la sua statura letteraria.
Iniziò a scrivere nel ’40 ma solo nel ’44 ebbe una certa rinomanza per la pubblicazione de Il pino e la rufola (che tra l’altro è quasi impossibile trovarlo a meno che non ci si faccia bastare l’edizione del 2004 edita da Spoon River). In realtà le prime edizione dei suoi libri sono quasi tutte di origine americana, perché Taddei per un periodo di tempo risiedette negli Usa. E la cosa, in qualche modo gli portò fortuna. Donini il direttore del giornale comunista di New York, L’unità del popolo, ne fece una prefazione entusiasta, definendolo uno degli scrittori più in vista del nostro paese.
C’è un motivo per cui, allora, invece di scegliere Il pino e la rufola abbiamo scelto Rotaia? Per certi versi sì, almeno lo crediamo, perché in questo secondo libro (che Giose Rimanelli, tra l’altro, lo definì brutto, senza mezzi termini, apprezzando invece l’altro) vi è una sorta di scrittura quasi evasiva, nel senso che le cose e i fatti sembrano realizzarsi quasi per caso, e non con la dovuta accortezza che invece richiederebbero. Che sembra anche il ritratto letterario di Ezio Taddei.
Qualcuno, qualche tempo fa, si chiedeva: ma esiste una letteratura popolare? E’ possibile cioè scrivere non solo per il popolo ma come il popolo sente che si deve scrivere? La risposta è sicuramente sì, ed Ezio Taddei ne è pieno testimone.
Rotaia, pubblicato dall’editore Einaudi nel 1946, riesamina i tempi dell’intervento italiano nella guerra 15-18 e si spinge sino all’inizio della guerra etiopica per additare nel pacifismo antibellicista contemporaneo al primo conflitto mondiale le lontane origini della resistenza comunista al fascismo. E forse c’è una frase ben precisa che delinea la separazione tra la prima parte non fascista rispetto alla seconda fase fascista… La Francia, l’Inghilterra… A quest’ora si stanno mettendo d’accordo. – Si sbrigassero! – Contentati che per lo meno noi non si muore più. – Quanti ne saranno morti? – Valli a contare! Lo vedi che li sotterrano di nascosto?
La seconda è costituita dalla vita diversa di coloro che avevano preso parte alla campagna coloniale, chi fa il comunista silenzioso e chi invece è assurto a capetto del regime fascista. Con un linguaggio, come si diceva in precedenza, lontano da mielismi intellettuali, ma molto vicino alle istanze di chi avrebbe poi dovuto scegliere.
E Rotaia cos’è? Lo dice lo stesso Taddei all’inizio del libro: Rotaia era uno che faceva il cameriere alla mensa ufficiali. Un giorno il cuoco lo chiamò e gli disse: - Rotaia, siamo rovinati! Hanno fatto la pace…
Poi lo si incontra nella seconda parte della storia dove ha acquistato una trattoria dove dà da mangiare sia ai gerarchi e alle piccole cartucce, sia a quelli che si danno da fare per modificare un regime autoritario. Perché Taddei lo ha scelto come titolo di un libro? Vallo a sapere. Ma va bene così.
L’edizione da noi considerata è:
Ezio Taddei
Rotaia
Einaudi
Ripeto, figura assolutamente fuori dalla norma. Basti pensare che gli anni giovanili, e non solo quelli, li ha passati praticamente in carcere. Livornese di nascita, per lo più anarchico, cominciò a scrivere per una sorte del destino e perché spesso si ritrovava “ad avere tempo” nei lunghi periodi di carcerazione. Non era un politico, né tanto meno un guerriero, per lo più un romantico, un generoso, uno che si dava da fare per gli altri.
Sentiamo cosa disse di lui Domenico Javarone nel suo libro biografico: Si logorava, pativa ed era veramente vivo quando si ritrovava con la povera gente, i diseredati, i compagni di strada della sua giovinezza. I meccanismi lo infastidivano, non ne afferrava la funzionalità, ma si fidava di alcuni uomini, come un bambino si fida di delle promesse dei grandi. Se gli veniva all’orecchio qualche ingiustizia, commessa nell’ambito dell’organizzazione comunista, provava amarezza e correva a consolare, come poteva, chi l’ingiustizia aveva subito. E non alzava mai la voce.
Dunque un uomo tutto di un pezzo, come ce ne sono stati tanti in Italia, che trovò anche il modo per farsi apprezzare per la sua statura letteraria.
Iniziò a scrivere nel ’40 ma solo nel ’44 ebbe una certa rinomanza per la pubblicazione de Il pino e la rufola (che tra l’altro è quasi impossibile trovarlo a meno che non ci si faccia bastare l’edizione del 2004 edita da Spoon River). In realtà le prime edizione dei suoi libri sono quasi tutte di origine americana, perché Taddei per un periodo di tempo risiedette negli Usa. E la cosa, in qualche modo gli portò fortuna. Donini il direttore del giornale comunista di New York, L’unità del popolo, ne fece una prefazione entusiasta, definendolo uno degli scrittori più in vista del nostro paese.
C’è un motivo per cui, allora, invece di scegliere Il pino e la rufola abbiamo scelto Rotaia? Per certi versi sì, almeno lo crediamo, perché in questo secondo libro (che Giose Rimanelli, tra l’altro, lo definì brutto, senza mezzi termini, apprezzando invece l’altro) vi è una sorta di scrittura quasi evasiva, nel senso che le cose e i fatti sembrano realizzarsi quasi per caso, e non con la dovuta accortezza che invece richiederebbero. Che sembra anche il ritratto letterario di Ezio Taddei.
Qualcuno, qualche tempo fa, si chiedeva: ma esiste una letteratura popolare? E’ possibile cioè scrivere non solo per il popolo ma come il popolo sente che si deve scrivere? La risposta è sicuramente sì, ed Ezio Taddei ne è pieno testimone.
Rotaia, pubblicato dall’editore Einaudi nel 1946, riesamina i tempi dell’intervento italiano nella guerra 15-18 e si spinge sino all’inizio della guerra etiopica per additare nel pacifismo antibellicista contemporaneo al primo conflitto mondiale le lontane origini della resistenza comunista al fascismo. E forse c’è una frase ben precisa che delinea la separazione tra la prima parte non fascista rispetto alla seconda fase fascista… La Francia, l’Inghilterra… A quest’ora si stanno mettendo d’accordo. – Si sbrigassero! – Contentati che per lo meno noi non si muore più. – Quanti ne saranno morti? – Valli a contare! Lo vedi che li sotterrano di nascosto?
La seconda è costituita dalla vita diversa di coloro che avevano preso parte alla campagna coloniale, chi fa il comunista silenzioso e chi invece è assurto a capetto del regime fascista. Con un linguaggio, come si diceva in precedenza, lontano da mielismi intellettuali, ma molto vicino alle istanze di chi avrebbe poi dovuto scegliere.
E Rotaia cos’è? Lo dice lo stesso Taddei all’inizio del libro: Rotaia era uno che faceva il cameriere alla mensa ufficiali. Un giorno il cuoco lo chiamò e gli disse: - Rotaia, siamo rovinati! Hanno fatto la pace…
Poi lo si incontra nella seconda parte della storia dove ha acquistato una trattoria dove dà da mangiare sia ai gerarchi e alle piccole cartucce, sia a quelli che si danno da fare per modificare un regime autoritario. Perché Taddei lo ha scelto come titolo di un libro? Vallo a sapere. Ma va bene così.
L’edizione da noi considerata è:
Ezio Taddei
Rotaia
Einaudi
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