CLASSICI
Alfredo Ronci
Vedi Napoli e poi fuggi: 'Il mare non bagna Napoli' di Anna Maria Ortese.
L'Ortese confessò che nel periodo in cui scrisse Il mare non bagna Napoli era preda di nevrosi, per la quale scoprì causa solo dopo: la metafisica. Che per molti è parola-grilletto e che spesso ha capacità di spiazzamento e di frantumare il presente.
Noi riconduciamo il tutto ad una linearità volutamente marcata e proprio nel significato più diretto o forse semplicistico diciamo: contrapposizione alla realtà. E questa crediamo fosse il significato delle fratture della scrittrice, che non esitò ad aggiungere: Da molto, moltissimo tempo, io detestavo con tutte le mie forza, quasi senza saperlo, la cosiddetta realtà; il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e del tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante.
Capita dunque che chi voglia capire di più o tema i dettami delle banalità volgari possa passare per paria: la Ortese pagò a caro prezzo il ritratto che fece di Napoli. Il libro vinse il Viareggio nel 1953, ma fu l'unico successo: il resto furono diatribe ridicole e sesquipedali nullità sul 'presunto' amore (o odio) della scrittrice per la città ed il feroce ritratto che lei ne fece.
Non poteva essere altrimenti. E la racconta così: Napoli era quello ch'è noto, una colata lavica di pus e di dollari, l'Americano aveva sostituito il Borbone e bastava sentire dire okay perché dalla Vicaria a Posillipo tutti i cuori tremassero...
Ma raccontò un'umanità straziante, come nel racconto 'Un paio di occhiali' dove Eugenia, poco più che bambina, praticamente cieca, d'istinto desidera le lenti per veder meglio, ma nel momento in cui le mette, di fronte alla miseria della sua esistenza, s'accorge del trauma e del tradimento.
O nella cronaca de 'La città involontaria' dove Ortese più 'giornalista' che scrittrice si ritrova a esplorare i Granili, fatiscente struttura dove abitano centinaia e centinaia di napoletani, una sorta di selva oscura dove la diritta via era smarrita, per raccontare di un genere umano animalesco, al limite della sopravvivenza: sporco e indicibile. E dove per contrappunto appare in un'improvvisa epifania il Cristo redentore che non redenta: un fagotto di stracci, relegato in un angolo di una caverna, che ha gli occhi di una bambina scheletrica e malata e che può far pensare al Gesù nato a Beetlemme. Ma qui la natività si sposa di botto con l'esatto contrario: la morte che incombe.
Cominciava la notte ai Granili e la città involontaria si apprestava a consumare i suoi pochi beni, in una febbre che dura fino al mattino seguente, ora in cui ricominciano i lamenti, la sorpresa, il lutto, l'inerte orrore di vivere.
Qualcuno deve essersi preso lo sfizio di giudicare quel quadro eccessivo: non si spiega sennò la fuga della Ortese da Napoli, dalla città che amava e che fu costretta in qualche modo a repudiare: Resta il fatto piuttosto malinconico (o solo inconsueto?) che tanto la Napoli offesa (era, poi, veramente offesa, o solo indifferente?) quanto la persona accusata di averle inventata una atroce nevrosi, non si siano, in seguito, più incontrate: proprio come se nulla fosse avvenuto. E non era stato così, per me.
Ci va di pensare oltre e di andare oltre ancora: semmai l'offesa, se si esternò, fu quella di rappresentare un'intellettualità napoletana effimera nonostante l'impegno (si era quasi tutti comunisti allora, e gli scrittori poi sembravano, paradossalmente, genia quasi aliena, nella contrapposizione col popolino): Domenico Rea, Michele Prisco, Vasco Pratolini (che a quei tempi era a Napoli) ed altri, sembrano divorati dalla passione, ideologica e sociale (tranne Luigi Compagnone ambiguo a tratti e disegnatore, come lo definì brillantemente la Ortese, di un 'liberalismo di emergenza'), eppur ridicoli in quella che sembrava una teatralità esagerata ed una messa in scena falsa.
Il mare non bagna Napoli (dice la scrittrice di Forcella: Qui,il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuno lo avesse visto, e lo ricordava. In questa fossa scurissima,non brillava che il fuoco del sesso, sotto il cielo nero del sovrannaturale) è una straordinaria discesa negli Inferi, dove è naturale che la luce faccia posto prima alle ombre e poi al buio.
Come disse Citati: di rado un artista moderno ha saputo rendere in modo così intenso la spettralità delle cose, dei semplici oggetti della vita quotidiana. Aggiungerei: persino delle persone.
Dopo questo la Ortese 'fuggì' da Napoli. Non vi ritornò più, come ella disse. Mentendo: delle sue opere vi è il segno indelebile di una napoletanità mai ingannevole.
L'edizione da noi considerata è:
Anna Maria Ortese
Il mare non bagna Napoli
Gli Adelphi 2008
Noi riconduciamo il tutto ad una linearità volutamente marcata e proprio nel significato più diretto o forse semplicistico diciamo: contrapposizione alla realtà. E questa crediamo fosse il significato delle fratture della scrittrice, che non esitò ad aggiungere: Da molto, moltissimo tempo, io detestavo con tutte le mie forza, quasi senza saperlo, la cosiddetta realtà; il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e del tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante.
Capita dunque che chi voglia capire di più o tema i dettami delle banalità volgari possa passare per paria: la Ortese pagò a caro prezzo il ritratto che fece di Napoli. Il libro vinse il Viareggio nel 1953, ma fu l'unico successo: il resto furono diatribe ridicole e sesquipedali nullità sul 'presunto' amore (o odio) della scrittrice per la città ed il feroce ritratto che lei ne fece.
Non poteva essere altrimenti. E la racconta così: Napoli era quello ch'è noto, una colata lavica di pus e di dollari, l'Americano aveva sostituito il Borbone e bastava sentire dire okay perché dalla Vicaria a Posillipo tutti i cuori tremassero...
Ma raccontò un'umanità straziante, come nel racconto 'Un paio di occhiali' dove Eugenia, poco più che bambina, praticamente cieca, d'istinto desidera le lenti per veder meglio, ma nel momento in cui le mette, di fronte alla miseria della sua esistenza, s'accorge del trauma e del tradimento.
O nella cronaca de 'La città involontaria' dove Ortese più 'giornalista' che scrittrice si ritrova a esplorare i Granili, fatiscente struttura dove abitano centinaia e centinaia di napoletani, una sorta di selva oscura dove la diritta via era smarrita, per raccontare di un genere umano animalesco, al limite della sopravvivenza: sporco e indicibile. E dove per contrappunto appare in un'improvvisa epifania il Cristo redentore che non redenta: un fagotto di stracci, relegato in un angolo di una caverna, che ha gli occhi di una bambina scheletrica e malata e che può far pensare al Gesù nato a Beetlemme. Ma qui la natività si sposa di botto con l'esatto contrario: la morte che incombe.
Cominciava la notte ai Granili e la città involontaria si apprestava a consumare i suoi pochi beni, in una febbre che dura fino al mattino seguente, ora in cui ricominciano i lamenti, la sorpresa, il lutto, l'inerte orrore di vivere.
Qualcuno deve essersi preso lo sfizio di giudicare quel quadro eccessivo: non si spiega sennò la fuga della Ortese da Napoli, dalla città che amava e che fu costretta in qualche modo a repudiare: Resta il fatto piuttosto malinconico (o solo inconsueto?) che tanto la Napoli offesa (era, poi, veramente offesa, o solo indifferente?) quanto la persona accusata di averle inventata una atroce nevrosi, non si siano, in seguito, più incontrate: proprio come se nulla fosse avvenuto. E non era stato così, per me.
Ci va di pensare oltre e di andare oltre ancora: semmai l'offesa, se si esternò, fu quella di rappresentare un'intellettualità napoletana effimera nonostante l'impegno (si era quasi tutti comunisti allora, e gli scrittori poi sembravano, paradossalmente, genia quasi aliena, nella contrapposizione col popolino): Domenico Rea, Michele Prisco, Vasco Pratolini (che a quei tempi era a Napoli) ed altri, sembrano divorati dalla passione, ideologica e sociale (tranne Luigi Compagnone ambiguo a tratti e disegnatore, come lo definì brillantemente la Ortese, di un 'liberalismo di emergenza'), eppur ridicoli in quella che sembrava una teatralità esagerata ed una messa in scena falsa.
Il mare non bagna Napoli (dice la scrittrice di Forcella: Qui,il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuno lo avesse visto, e lo ricordava. In questa fossa scurissima,non brillava che il fuoco del sesso, sotto il cielo nero del sovrannaturale) è una straordinaria discesa negli Inferi, dove è naturale che la luce faccia posto prima alle ombre e poi al buio.
Come disse Citati: di rado un artista moderno ha saputo rendere in modo così intenso la spettralità delle cose, dei semplici oggetti della vita quotidiana. Aggiungerei: persino delle persone.
Dopo questo la Ortese 'fuggì' da Napoli. Non vi ritornò più, come ella disse. Mentendo: delle sue opere vi è il segno indelebile di una napoletanità mai ingannevole.
L'edizione da noi considerata è:
Anna Maria Ortese
Il mare non bagna Napoli
Gli Adelphi 2008
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