CLASSICI
Alfredo Ronci
Vita morte e miracoli di un uomo modesto: 'Memolo' di Enrico Emanuelli.
Titolo del pezzo (e sottotitolo del romanzo) già di per sé ossimorico: perché non t'aspetteresti da un uomo dimesso qualcosa che assomigli vagamente ad un miracolo, ad un tentativo di 'creare' un miracolo. Ed infatti nel personaggio di Emanuelli nulla fa pensare ad una soluzione del genere, perché l'aspirazione della persona rimane quella di diventare un pacifico abitatore d'una casetta, in aperta campagna, probabilmente sopra un poggio, da cui tra 'l filare di viti si fosse intravveduto il piano digradare lento, con un variar continuo di tinte sino a farsi azzurro e confondersi con l'aria.
Scritto nel 1928 (e qualcosa mi lascia pensare che l'anno sia, per me, vagamente suggestivo... contrapposizione a l'uomo mussolinianamente virile?) Memolo, tanto piccino nel formato (l'edizione da noi considerata è la stampa fotostatica dell'originale, appena 19,5x13) e rapido nella sua realizzazione (poco più di ottanta pagine) in realtà fu un piccolo incendio nella nostra letteratura. E crediamo non intenzionale la miccia da parte dell'autore.
Non neghiamolo: vi era da parte dell'autore l'intenzione di seguire gli insegnamenti e i dettami della rivista La Libra, di cui faceva bella parte insieme ad insigni colleghi, vedi Soldati, Piovene e il critico Giacomo Debenedetti, e che erano essenzialmente quelli di tenere fermo lo sguardo sull'esperienza umana, di rappresentare autenticamente la vita e lasciare da parte tentazioni tecnico-sperimentali o linguistiche. A far piazza pulita di ogni dubbio riporto la fulminea connotazione che la moglie di Emanuelli riportò nella post-fazione ad un edizione del libro del 1967 e che così 'tuonava': liquidazione dei residui dannunziani e futuristi.
E' indiscutibile che Memolo (Veramente il nostro personaggio non si chiamava Memolo, bensì Ascanio terenzio Cognotti; perché poi, com'è usanza da queste parti, lo avessero soprannominato a quel modo, nessuno, per quanto cercar facessi, me ne seppe dir la ragione) sia lontano anni luce dalle fascinazioni dannunziane e ancor di più dai lampi avanguardistici dei futuristi. E' solo un mesto impiegato, come tanti, che ripreso nei suoi anni cinquanta, dopo aver lavorato onestamente e guadagnato la pensione (che gli arriva improvvisa, quasi inaspettata, a rompere una routine creduta indistruttibile), deve dare un senso ai vuoti della sua 'inattesa' libertà.
Si sorride quando, subito dopo il congedo dal lavoro, fantozzianamente ripete al mattino i rituali di preparazione per poi convincersi che l'unico modo per resistere alla consuetudine è quello di sprofondare di nuovo nel letto e quindi nel sonno.
Memolo dunque è costretto ad affrontare la riconquista del tempo: dapprima frequenta i giardinetti, ma la noia degli incontri quotidiani lo forza a cambiare; poi la lettura di insulsi romanzetti lo obbliga a confrontarsi col reale senso della vita, infine l'incontro casuale con un elenco apparso su un libriccino pseudo-filosofico lo costringe a ridefinire l'approccio relazionale: Il Creatore ha imposto all'uomo sei grandi necessità che sono: il nascere, l'agire, il mangiare, il dormire, il procreare, il morire.
E'sulla quinta glossa che il Memolo crolla, perché capisce di non aver dato mai a riguardo e di non essersi mai confrontato con l'altra parte. Prima ancora di assaporare le gioie del sesso, il povero pensionato morirà all'improvviso, nell'arco di due giorni, per febbre improvvisa.
Scriveva Musil ne L'uomo senza qualità, che tra l'altro sarà pubblicato pochi anni dopo l'uscita di Memolo: Se esiste il senso della realtà deve esistere anche il senso della possibilità.
Al protagonista del romanzo viene esclusa anche quest'ultima: gli viene concesso solo un parziale assaggio di quello che la vita avrebbe potuto offrigli, assaggio che purtroppo non è materiale, ma conseguenza di un percorso mentale.
Speculare alla mestizia di Memolo è il linguaggio di cui è fatto: qualcuno lo definì, alla sua uscita, studiatamente isolato, intendendo con ciò un preciso parallelismo con la sorte dell'uomo. Vero, ma non si fraintenda: proprio la negazione a ricorrere ad un'esplosione artificiosa della parola, alla quintessenza dell'ultramodernità futurista, non impedisce al romanzo di contraddistinguersi per un'eleganza concisa ed essenziale, una raffinatezza accattivante e netta. Sottilizzavano i creatori della rivista La Libra: Non sarebbe gran male per i più moderni il darsi in piena umiltà d'animo e castità di mente e prolungate e amorose letture dei nostri buoni antichi, nonché ad ogni più onesto studio di grammatica.
Parole sante, valide allora come ora. Soprattutto ora.
L'edizione da noi considerata è
Enrico Emanuelli
Memolo
La Libra editrice – 1928 (copia fotostatica)
Scritto nel 1928 (e qualcosa mi lascia pensare che l'anno sia, per me, vagamente suggestivo... contrapposizione a l'uomo mussolinianamente virile?) Memolo, tanto piccino nel formato (l'edizione da noi considerata è la stampa fotostatica dell'originale, appena 19,5x13) e rapido nella sua realizzazione (poco più di ottanta pagine) in realtà fu un piccolo incendio nella nostra letteratura. E crediamo non intenzionale la miccia da parte dell'autore.
Non neghiamolo: vi era da parte dell'autore l'intenzione di seguire gli insegnamenti e i dettami della rivista La Libra, di cui faceva bella parte insieme ad insigni colleghi, vedi Soldati, Piovene e il critico Giacomo Debenedetti, e che erano essenzialmente quelli di tenere fermo lo sguardo sull'esperienza umana, di rappresentare autenticamente la vita e lasciare da parte tentazioni tecnico-sperimentali o linguistiche. A far piazza pulita di ogni dubbio riporto la fulminea connotazione che la moglie di Emanuelli riportò nella post-fazione ad un edizione del libro del 1967 e che così 'tuonava': liquidazione dei residui dannunziani e futuristi.
E' indiscutibile che Memolo (Veramente il nostro personaggio non si chiamava Memolo, bensì Ascanio terenzio Cognotti; perché poi, com'è usanza da queste parti, lo avessero soprannominato a quel modo, nessuno, per quanto cercar facessi, me ne seppe dir la ragione) sia lontano anni luce dalle fascinazioni dannunziane e ancor di più dai lampi avanguardistici dei futuristi. E' solo un mesto impiegato, come tanti, che ripreso nei suoi anni cinquanta, dopo aver lavorato onestamente e guadagnato la pensione (che gli arriva improvvisa, quasi inaspettata, a rompere una routine creduta indistruttibile), deve dare un senso ai vuoti della sua 'inattesa' libertà.
Si sorride quando, subito dopo il congedo dal lavoro, fantozzianamente ripete al mattino i rituali di preparazione per poi convincersi che l'unico modo per resistere alla consuetudine è quello di sprofondare di nuovo nel letto e quindi nel sonno.
Memolo dunque è costretto ad affrontare la riconquista del tempo: dapprima frequenta i giardinetti, ma la noia degli incontri quotidiani lo forza a cambiare; poi la lettura di insulsi romanzetti lo obbliga a confrontarsi col reale senso della vita, infine l'incontro casuale con un elenco apparso su un libriccino pseudo-filosofico lo costringe a ridefinire l'approccio relazionale: Il Creatore ha imposto all'uomo sei grandi necessità che sono: il nascere, l'agire, il mangiare, il dormire, il procreare, il morire.
E'sulla quinta glossa che il Memolo crolla, perché capisce di non aver dato mai a riguardo e di non essersi mai confrontato con l'altra parte. Prima ancora di assaporare le gioie del sesso, il povero pensionato morirà all'improvviso, nell'arco di due giorni, per febbre improvvisa.
Scriveva Musil ne L'uomo senza qualità, che tra l'altro sarà pubblicato pochi anni dopo l'uscita di Memolo: Se esiste il senso della realtà deve esistere anche il senso della possibilità.
Al protagonista del romanzo viene esclusa anche quest'ultima: gli viene concesso solo un parziale assaggio di quello che la vita avrebbe potuto offrigli, assaggio che purtroppo non è materiale, ma conseguenza di un percorso mentale.
Speculare alla mestizia di Memolo è il linguaggio di cui è fatto: qualcuno lo definì, alla sua uscita, studiatamente isolato, intendendo con ciò un preciso parallelismo con la sorte dell'uomo. Vero, ma non si fraintenda: proprio la negazione a ricorrere ad un'esplosione artificiosa della parola, alla quintessenza dell'ultramodernità futurista, non impedisce al romanzo di contraddistinguersi per un'eleganza concisa ed essenziale, una raffinatezza accattivante e netta. Sottilizzavano i creatori della rivista La Libra: Non sarebbe gran male per i più moderni il darsi in piena umiltà d'animo e castità di mente e prolungate e amorose letture dei nostri buoni antichi, nonché ad ogni più onesto studio di grammatica.
Parole sante, valide allora come ora. Soprattutto ora.
L'edizione da noi considerata è
Enrico Emanuelli
Memolo
La Libra editrice – 1928 (copia fotostatica)
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