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CLASSICI

Pina D'Aria

'Vivere ancora' di Ruth Kluger: tornare per scrivere, fuggire per ricominciare.

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Non c'è niente di più bello nella vita che fuggire; se si tratta poi della fuga da un lager, non c'è bisogno di commenti. Lo stile di Ruth Kluger è sassoso ma intermittente per via di certe poesie scritte da piccola e sparse ad arte tra le pagine. A ciò si aggiunge l'ingrediente più rupestre: la caparbietà. La ragazzina non ama sentirsi chiamare col nome di Susanna. Infatti, preferisce l'altrettanto biblica Ruth, che, però, non emigra per fede stimando l'amicizia più dell'appartenenza alla stirpe. A questo punto si va avanti non per querula e morbosa curiosità: come fa la bambina a vivere ancora in un corpo gracile e affamato? Eccola superare l'orrido baratro del nazismo e giungere in fondo all'esistenza negli States, ma leggere agilmente, dunque arrivare in fondo al testo della Kluger, significa intendere, è addirittura auspicabile, che le religioni trovino una conclusione invece del semplicistico termine di dio. E' qui che si dovrebbe comprendere come le poesie infantili mastichino l'ovvio e violento contenuto dei campi di sterminio: fanno annusare e apprendere i luoghi di un passaggio da Theresienstadt a Christianstadt, Birkenau, Auschwitz, senza che la piccola demorda; ella non si ferma, ci priva della sua disperazione. Cerca e trova conforto in una forma, nella lingua necessaria dei versi liberi, che diventano il sostegno contro l'ossessione nazista dilagante, cattiva, distruttiva, che uccide gli schiavi dentro i lager dall'insopportabile odore enterico.

Guarda la rossa fiamma,

la sola cosa vera è il camino,

Auschwitz è in mano sua,

tutto, tutto viene bruciato!


Tuttora, Auschwitz è attribuita come una sorta di luogo d'origine a chiunque le sia sopravvissuto. Ruth Kluger, la testarda, fa notare con straordinaria levità che quando si vuol dire qualcosa d'interessante su di lei, si dice che provenga da Auschwitz, mentre sarebbe giusto indicare Vienna come città natale e prendere in seria considerazione il fatto che il lager sia il luogo più sbagliato dove è capitata grazie al sistema delle atrocità organizzato secondo l'asse odio-antisemitismo.

Non è da Ruth annoiare i benpensanti che affogano nell'erba alta del perbenismo e non desiderano essere disturbati, magari con immagini nelle quali appaiono i mucchi dei cadaveri rinsecchiti. Ruth, al contrario, vorrebbe litigare coi tedeschi, con gli intervistatori, con i cialtroni che chiedono di testimoniare e ai quali la Kluger risulta sarcastica, persino stizzita. L'Autrice ne ha ben donde di sìffatte ciufole e le riesce difficile credere a tutte le scuse versate presso gli ebrei nell'ambito di quei teatrini della compassione e dei programmi delle responsabilità!

Domande esplicite e implicite sono disseminate in quest'opera di verità: 1) è possibile liberarsi da un rancore che non trova sfogo se non nella scrittura? 2) Se sì, è possibile che i tedeschi, gli intervistatori, i cristiani ecc... intendano davvero? 3) Amare, ok! Ma voi riuscite ad amare un americano che spara dal finestrino dell'automobile perché l'altro va piano? (Che cosa c'entra quest'ultimo esempio? C'entra, c'entra! Andate a scoprirlo nel romanzo; meditate persone di buona volontà!!)

4) La memoria di tutto, anche quella del conflitto con la madre nel lager, che cosa fa di una persona sana a cui è stato tolto il tempo da piccola e che per non schiattare si è trasformata in tenace compositrice, stufa di trattenere la rabbia?

Ruth è narratrice forte e civile, viennese ed europea; manifesta il disagio di non essere considerata tale, in un lavoro che dall'inizio alla fine cerca, o si dà, un ritmo con una poetica che assomiglia all'unica filosofia adeguata, quella della fuga da ogni costrizione, da ogni ingiustizia, da ogni stupido e accanito confronto.





L'edizione da noi considerata è:



Ruth Klugher

Vivere ancora

Einaudi - 1995



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