RECENSIONI
Laura Pariani
Questo viaggio chiamavamo amore
Einaudi, Pag. 196 Euro 19,00E’ il poeta Dino Campana che parla, anzi scrive in una delle sue tante lettere immaginarie, mentre è recluso nel manicomio di Castel Pulci in cui finirà i suoi giorni.
La Pariani riesce a fare di questi miracoli. Inventa linguaggi, dà spessore di realtà a personaggi difficili. Tanto più è difficile se il personaggio vuole raffigurare una persona così nota. E’ dunque necessario reinventarlo, e dargli toni credibili, e avere il coraggio di entrare nella sua mente con quella stessa libertà che viene naturale con personaggi di fantasia.
Il romanzo prende spunto da un viaggio di Dino Campana in Argentina, probabilmente avvenuto ma mai documentato. Altri avrebbero affrontato l’argomento con piglio biografico, ricostruendo tutto il possibile e ipotizzando il resto con suffragio di indizi. La Pariani invece non ha timore a calarsi nella mente del protagonista, pensare i suoi pensieri, assaporare i suoi ricordi, esprimersi con le sue parole. Ci vuole un infinito amore per farlo. Bisogna essersi documentati sulla vita e sulle opere, ma non solo. Bisogna portarsi così avanti nell’esplorazione del mondo interiore da abbandonare l’appiglio delle certezze per lasciarsi guidare dall’immedesimazione.
Se poi questo Dino Campana sia identico all’originale non sono così esperta da valutarlo, ma la cosa non ha alcuna importanza perché, agli occhi del lettore, si tratta di un personaggio vero e credibile in modo struggente, e tanto basta.
La narrazione si svolge su diversi piani, alternando lettere, ricordi, scene quotidiane della vita in manicomio. Si parla anche dei colloqui che il paziente svolge con lo psichiatra Carlo Pariani, personaggio realmente esistito e che ha fissato in un libro questa sua esperienza. Viene subito a cadere dunque la fantasiosa ipotesi che già mi era balenata, che l’Autrice gli avesse dato il suo cognome per farne un alter ego che rappresentasse la sua posizione di interlocutrice.
La psicologia del poeta, in precario e oscillante equilibrio tra mal di vivere e follia, è resa dall’Autrice con straordinaria sensibilità.
Sullo sfondo è onnipresente il devastante rapporto con la madre, che affiora di quando in quando fra le crepe del presente.
Con tali sfuriate sua madre aveva cercato di smontare la sua passione. Indignato per quel primo quadernino svanito nel fuoco, lui allora era diventato vagabondo: ogni volta che si imbarcava in un nuovo viaggio, non era guidato da piacere o curiosità, ma dal ricordo di quelle pagine che bruciavano. Il dolore delle sue parole perdute…
Il cuore si apre e si stringe a fisarmonica, oscillando fra il chiuso del manicomio e la vastità delle pampas. Il libro trabocca di affacci su paesaggi straordinari, abitati da presenze femminili la cui bellezza racchiude il fascino di un paradiso perduto.
…te ne stavi seduta tranquilla sul fondo della barca, le mani immerse nel secchio dove nuotavano le murene che il tuo padrone usava abitualmente come esca. Immobile come una brava bambina, il volto quasi nascosto dalla massa dei capelli; un seno semiscoperto, qualche gocciolina di sudore si accendeva sulla piega del collo. In una laguna, l’uomo ti fece scendere a disincagliare la barca (…) gli chiesi se non fosse pericoloso che tu stessi a lungo nell’acqua. Lui rise con la sua bocca sdentata: non si capacitava che io mi dessi pensiero per una femmina.
Il viaggio in America Latina sembrava rispondere a un profondo anelito alla libertà. Ma Dino Campana è ora un recluso volontario, che sfugge a tutti i tentativi dello psichiatra di recuperarlo alla vita esterna, anche quando l’astuzia del medico arriva a proporgli il linguaggio della sua stessa poesia. No, lui sa di essersi spinto davvero troppo avanti, e con un bagaglio di ferite così profonde che ormai solo l’isolamento dal mondo può dargli sollievo.
Dove credi di andare, Campana? Recita pure il teatrino della fuga, ma non sarai mai libero. Un avvoltoio o tua madre o un orribile occhio divino verrà a scovarti. (…) Non c’è possibilità di fuga per nessun essere vivente, umano o animale che sia.
di Giovanna Repetto
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“Domani è un altro giorno” disse Rossella O’Hara
Einaudi, Pag. 248 Euro 19,50Con Laura Pariani si va sul sicuro. Non delude mai (parlo per me, almeno) perché ha dalla sua il dono della lingua. Impasta un suo particolare linguaggio come il fornaio impasta il pane, e si sa che il pane si può ricreare in tante versioni diverse, pur rimanendo sempre pane e sempre buono (se è buono il fornaio). Che cosa mette nell’impasto oltre a un italiano brillante e perfetto? Ci sono parole mutuate dal dialetto e altre carpite a un lessico familiare. E insomma, per ogni storia reinventa una lingua che di quella storia è l’espressione naturale.
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