RECENSIONI
J. Rodolfo Wilcock
Il libro dei mostri.
Adelphi, Pag. 143 Euro 16,00
Ritengo che sia superfluo dire perché il Paradiso degli orchi insista sul nome di Rodolfo Wilcock. Gli abbiamo dedicato degli special e in più una rubrica della rivista fa riferimento ad un suo glorioso libro.
E allora, dirà qualcun altro?
Allora, per una sorta di democratica selezione, vogliamo continuare col nostro incommensurabile affetto e dedizione, dal momento chela casa editrice Adelphi ha pubblicato un'altra sua opera: per la precisione Il libro dei morti.
Diciamo subito che non si tratta di un romanzo (come potrebbe esserlo quando c’è di mezzo Wilcock) ma una serie di considerazioni sull’esistenza, tutta terrena, di una serie di mostri.
E che genere di mostri? Diciamo che sono delle persone, o presunte tali, che ad un certo punto della vita, acquisiscono delle caratteristiche che sono lungi dall’essere propriamente umane.
Ecco allora il geometra Elio Torpo che si trasforma in un vulcano di fango, l’ufficiale postale Frenio Guiscardi che si tramuta in un ammasso di peli, lana e bambagia, del dottor Ugo Panda che si scopre avere un cervello grande come una nocciola, di un certo Erbo Meglio che si è ridotto ad essere duro come il legno e che scricchiola a ogni passo come un armadio vecchio nella notte. C’è persino Fizio Milo che è scomparso quasi del tutto, soltanto è rimasta in un angolo dell’officina una specie di fosforescenza diffusa che a malapena si può dire una luce.
E ce ne sono tanti altri. Ma per dimostrare cosa? Di preciso non si sa, almeno Wilcock,in vita, non ce lo ha spiegato più di tanto, ma nulla ci toglie dalla mente che buona parte dei mostri presenti in questo libro facciano parte del suo mondo più personale: quello degli scrittori.
C’è Gaio Forcelio, a cui sono spuntati i soliti due tentacoli, detti del romanziere impegnato, sui lobi frontali; c’è il critico letterario Berlo Zenobi che è una massa di vermi, un ammasso dalla forma non meglio definita. Un caso molto interessante è quello di Juana Pè che non è bellissima perché ha una breve membrana tesa tra le cosce, ma ha letto tutti i romanzi vincitori del Premio Strega, e questa è già per lei una buona base di partenza.
Ragazzi si celia, indubbiamente, ma qualcosa di vero nella nostra analisi dell’opera di Wilcock è fuori discussione e noi in qualche modo gliene rendiamo merito. Tutto qua.
di Alfredo Ronci
E allora, dirà qualcun altro?
Allora, per una sorta di democratica selezione, vogliamo continuare col nostro incommensurabile affetto e dedizione, dal momento chela casa editrice Adelphi ha pubblicato un'altra sua opera: per la precisione Il libro dei morti.
Diciamo subito che non si tratta di un romanzo (come potrebbe esserlo quando c’è di mezzo Wilcock) ma una serie di considerazioni sull’esistenza, tutta terrena, di una serie di mostri.
E che genere di mostri? Diciamo che sono delle persone, o presunte tali, che ad un certo punto della vita, acquisiscono delle caratteristiche che sono lungi dall’essere propriamente umane.
Ecco allora il geometra Elio Torpo che si trasforma in un vulcano di fango, l’ufficiale postale Frenio Guiscardi che si tramuta in un ammasso di peli, lana e bambagia, del dottor Ugo Panda che si scopre avere un cervello grande come una nocciola, di un certo Erbo Meglio che si è ridotto ad essere duro come il legno e che scricchiola a ogni passo come un armadio vecchio nella notte. C’è persino Fizio Milo che è scomparso quasi del tutto, soltanto è rimasta in un angolo dell’officina una specie di fosforescenza diffusa che a malapena si può dire una luce.
E ce ne sono tanti altri. Ma per dimostrare cosa? Di preciso non si sa, almeno Wilcock,in vita, non ce lo ha spiegato più di tanto, ma nulla ci toglie dalla mente che buona parte dei mostri presenti in questo libro facciano parte del suo mondo più personale: quello degli scrittori.
C’è Gaio Forcelio, a cui sono spuntati i soliti due tentacoli, detti del romanziere impegnato, sui lobi frontali; c’è il critico letterario Berlo Zenobi che è una massa di vermi, un ammasso dalla forma non meglio definita. Un caso molto interessante è quello di Juana Pè che non è bellissima perché ha una breve membrana tesa tra le cosce, ma ha letto tutti i romanzi vincitori del Premio Strega, e questa è già per lei una buona base di partenza.
Ragazzi si celia, indubbiamente, ma qualcosa di vero nella nostra analisi dell’opera di Wilcock è fuori discussione e noi in qualche modo gliene rendiamo merito. Tutto qua.
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Il reato di scrivere
Adelphi, Biblioteca Minima , Pag. 88 Euro 6,00"Che La nube purpurea, pubblicata nel 1901, sia un capolavoro, continuamente più riuscito e trascendente di un qualsiasi romanzo di Emile Zola – per nominare a caso un grande famoso sull'orlo del secolo – sembra non solo accertabile in sede di lettura, ma anche dimostrabile in sede critica. Se si paragonano gli argomenti profferti, nel romanzo di Zola troveremo probabilmente una famiglia torbida, un padre ubriaco, una figlia prostituta, la differita constatazione che i poveri sono poveri, che gli avari sono avari e che i parigini abitano a Parigi:
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