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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Stefan Zweig

Amerigo

Elliot, Pag. 128 Euro 10,00
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Un uomo, uno scrittore, Stefan Zweig, ebreo fuggito dall'Austria negli anni della furia nazista, prima a Londra, poi a New York, suicida infine in Brasile, assieme alla moglie, non sempre ben visto, non da tutti, con qualche tratto misterioso, dedicò il suo ultimo libro, Amerigo, a una figura almeno per questioni nominali molto più nota della sua (e di una fama davvero paradossale, "vuota" per certi versi, per una serie di circostanze risolta proprio in una controversa faccenda di nomi).

L'Amerigo Vespucci che per i più avrebbe dato il nome al Nuovo Mondo, laddove invece si limitò a raccontarne sbalordite meraviglie, la cosa più vicina al Paradiso terrestre che sia data immaginare, disse, racconto che avrebbe chiuso una volta per tutte lo storico errore che l'aveva confuso con le Indie.

Ma una storia di errori è anche quella che lo coinvolse suo malgrado. Almeno, questa l'opinione di Zweig, che nel libro dedicato al navigatore toscano va a caccia della serie di fatti e misfatti, di documenti veri e falsi (un repertorio dei falsi che hanno fatto la storia sarebbe il libro più inquietante del mondo) in virtù dei quali si costruì l'equivoco per il quale lo stesso Vespucci fu poi accusato di essere un narraballe, un impostore truffaldino.

Dall'opuscolo Mundus Novus che girava nelle eccitate corti europee del '500, attraverso una serie di fraintendimenti dei quali Vespucci non ebbe alcuna responsabilità, si materializzò il mito – e per converso la denuncia del suo carattere fittizio – di un personaggio che affascinò l'instabile immaginazione di Zweig (Di Consoli nell'introduzione ne ricorda la sindrome bipolare) al punto di decidere di suicidarsi nello stesso 22 febbraio in cui morì qualche secolo prima il protagonista di questa storia. Un intreccio buffo, irripetibile forse, e una narrazione che Zweig conduce non da studioso ma con passo sicuro. Prende avvio dall'anno Mille e procede per brevi paragrafi che avvicinano con un taglio svelto ma chiaro la febbrile tensione che avrebbe attraversato le corti europee - il vecchio continente sempre più riottoso e insofferente verso il "cappuccio teologico" che lo aveva ingabbiato per secoli. Fra '400 e '500 l'eccitazione per un altrove quale che fosse monta irrefrenabile e trova fra gli altri nel principe del Portogallo, Enrico il Navigatore, un sognatore accanito ed entusiasta. Che si fa costruire una casa a Capo Sagres, "punta estrema del Portogallo, dove l'infinito l'Atlantico spumeggia alto contro le scogliere". Ne sa qualcosa com'è noto anche la Spagna, che non resta certo a guardare. Che si tratti di Indie, o di nuove terre, la competizione è tesissima.

Amerigo in questa partita cerca di muoversi come può. Al centro di un'epoca turbinosa, quello che sa fare è andare per mare. La storia che si scrive dopo nel suo nome, non è affar suo. Non può governarla. È una storia fatta di errori. L'errore di aver messo il proprio nome nel frontespizio di Paesi retrovati, per esempio, i refusi di una stampa approssimativa, l'idea di un geografo senz'arte né parte di proporre il nome di Amerigo al posto di quello di Colombo... Di lì arriverà l'accusa di aver scalzato il genovese dal primato – limpidissimo nemmeno quello, per tutt'altri motivi – che gli spettava. Zweig tenta di ricostruire la vicenda – e sembra adombrarvi qualcosa di se stesso, o almeno l'idea generale che è il caso, nulla più, a governare i destini degli uomini - in vita e in morte. Il libro esce per Elliot, sessant'anni dopo l'edizione mondadoriana della Medusa.



di Michele Lupo


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