RECENSIONI
Christina Stead
L'uomo che amava i bambini
Adelphi, pp.561 22.00
Ha una strana storia questo libro: ignorato o addirittura maltrattato dalla critica alla sua uscita (1940... attenzione se in casa avete un garzanti dal titolo Sabba familiare beh non comprate questa edizione c'est la même chose) da un po' di anni gode di stima e rivalutazione pressoché totali.
E' un romanzo noiosissimo, ma obbligatorio. L'obbligatorietà nasce da una riconoscibilità oggettiva dei meccanismi che presiedono la "struttura" famiglia.
Tre gli elementi fondamentali: una madre, Henny, esaurita dal rapporto col marito sempre lontano da casa e che peraltro non le garantisce un sostentamento adeguato e dall'aver sfornato una serie interminabile di figli, un padre, Sam, egocentrico e chiuso nel suo mondo di falsi e pericolosi ideali (oggi sarebbe un neo-con alla Pera) e una nidiata di bimbi (sette per la precisione) nella quale si distingue Louie, quattordicenne incline alla solitudine e all'emarginazione, unica figlia di un precedente matrimonio.
E' proprio lei il deus ex machina della vicenda, collettrice di violenze di ogni tipo che si risolveranno nell'individuazione di vittime designate (un animale prima, una persona poi... e non vi dico quale per non togliervi la sorpresa). Ma anche figura di straordinario spessore emotivo: di fronte all'ennesima imposizione di un genitore cieco e conservatore (...il focolare, la terra, la famiglia e la patria potestà, gli unici ideali valdi che gli antichi romani abbiano avuto), strutturato come un militare di carriera, risponde con l'unica arma che ha a disposizione, la parola scritta su un foglio di carta: Taci, taci, taci. Taci, taci, non sopporto il tuo vaniloquio, oh, quanto parli a vanvera, cos'è che potrà farti tacere, taci, taci...
L'uomo che amava i bambini (titolo ironico ed azzeccato) è un uomo insopportabile e fazioso, che crede nella necessità della riproduzione come idea salvifica dell'umanità (lo è, ma capite il senso !) e che maneggia i figli come se fosse materia indistinguibile, ma plasmabile a sua immagine e somiglianza ...una ragazza non deve lasciare la casa paterna se non per seguire il marito: ecco perché io sono qui, per "vegliare su di te".
Dunque un uomo odioso, "politicamente" odioso che costringe la moglie Henny ad una vita di stenti, ad una solidale condivisione di una "naturale condizione di proscritto connessa al sesso femminile" come dice Randall Jarrell nel piccolo saggio a fine romanzo. Una creatura che guardinga, ma debilitata, si scontra in continuazione con le leggi che gli uomini hanno fatto e fanno in continuazione.
Il romanzo è dunque una miscela esplosiva di violenze inaudite (sembrerebbero tutto sommato sottintese, perché esplodono in parte senza eccessive esagerazioni, quasi da cronaca soporifera di provincia, tranne l'epilogo bellissimo e psicologicamente coerente), allungata ahimé, e spesso, da inutili dettagli di vita quotidiana che lo dilatano a dismisura (in più chiacchiericci infantili, palilalie, strofe insulse, nenie). Si diceva dunque noiosissimo, ma indispensabile: perché moderno.
Se fossi, e lo sono, inopportuna, direi che questo potrebbe benissimo essere un inno anti-bush, un grido disperato contro le restaurazioni ideologiche dei nostri tempi, ad esagerare, un lamento antipapista. Non so se la Stead di fronte a certe argomentazioni sarebbe d'accordo, scrittrice sì apparentemente senza patria (australiana di origine, francese ed inglese per lavoro e sostentamento e americana di adozione), ma pur sempre inserita in canali ortodossi e lineari.
La bellezza della storia comunque non sta nella noia che ti attanaglia nel leggerlo, ma nella disputa ideologica contemporanea che la sostiene.
Hai detto poco!!
di Eleonora del Poggio
E' un romanzo noiosissimo, ma obbligatorio. L'obbligatorietà nasce da una riconoscibilità oggettiva dei meccanismi che presiedono la "struttura" famiglia.
Tre gli elementi fondamentali: una madre, Henny, esaurita dal rapporto col marito sempre lontano da casa e che peraltro non le garantisce un sostentamento adeguato e dall'aver sfornato una serie interminabile di figli, un padre, Sam, egocentrico e chiuso nel suo mondo di falsi e pericolosi ideali (oggi sarebbe un neo-con alla Pera) e una nidiata di bimbi (sette per la precisione) nella quale si distingue Louie, quattordicenne incline alla solitudine e all'emarginazione, unica figlia di un precedente matrimonio.
E' proprio lei il deus ex machina della vicenda, collettrice di violenze di ogni tipo che si risolveranno nell'individuazione di vittime designate (un animale prima, una persona poi... e non vi dico quale per non togliervi la sorpresa). Ma anche figura di straordinario spessore emotivo: di fronte all'ennesima imposizione di un genitore cieco e conservatore (...il focolare, la terra, la famiglia e la patria potestà, gli unici ideali valdi che gli antichi romani abbiano avuto), strutturato come un militare di carriera, risponde con l'unica arma che ha a disposizione, la parola scritta su un foglio di carta: Taci, taci, taci. Taci, taci, non sopporto il tuo vaniloquio, oh, quanto parli a vanvera, cos'è che potrà farti tacere, taci, taci...
L'uomo che amava i bambini (titolo ironico ed azzeccato) è un uomo insopportabile e fazioso, che crede nella necessità della riproduzione come idea salvifica dell'umanità (lo è, ma capite il senso !) e che maneggia i figli come se fosse materia indistinguibile, ma plasmabile a sua immagine e somiglianza ...una ragazza non deve lasciare la casa paterna se non per seguire il marito: ecco perché io sono qui, per "vegliare su di te".
Dunque un uomo odioso, "politicamente" odioso che costringe la moglie Henny ad una vita di stenti, ad una solidale condivisione di una "naturale condizione di proscritto connessa al sesso femminile" come dice Randall Jarrell nel piccolo saggio a fine romanzo. Una creatura che guardinga, ma debilitata, si scontra in continuazione con le leggi che gli uomini hanno fatto e fanno in continuazione.
Il romanzo è dunque una miscela esplosiva di violenze inaudite (sembrerebbero tutto sommato sottintese, perché esplodono in parte senza eccessive esagerazioni, quasi da cronaca soporifera di provincia, tranne l'epilogo bellissimo e psicologicamente coerente), allungata ahimé, e spesso, da inutili dettagli di vita quotidiana che lo dilatano a dismisura (in più chiacchiericci infantili, palilalie, strofe insulse, nenie). Si diceva dunque noiosissimo, ma indispensabile: perché moderno.
Se fossi, e lo sono, inopportuna, direi che questo potrebbe benissimo essere un inno anti-bush, un grido disperato contro le restaurazioni ideologiche dei nostri tempi, ad esagerare, un lamento antipapista. Non so se la Stead di fronte a certe argomentazioni sarebbe d'accordo, scrittrice sì apparentemente senza patria (australiana di origine, francese ed inglese per lavoro e sostentamento e americana di adozione), ma pur sempre inserita in canali ortodossi e lineari.
La bellezza della storia comunque non sta nella noia che ti attanaglia nel leggerlo, ma nella disputa ideologica contemporanea che la sostiene.
Hai detto poco!!
di Eleonora del Poggio
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Adelphi, Pag. 205 Euro 18,00Scrivevamo tempo fa, a proposito di un altro libro della Stead: La bellezza della storia comunque non sta nella noia che ti attanaglia nel leggerlo, ma nella disputa ideologica contemporanea che la sostiene. Hai detto poco!
Deve essere un tratto comune delle opere della scrittrice australiana la monotonia delle situazioni: ne Il piccolo hotel non succede praticamente nulla. Vi è una continua ansia nell'attesa che qualche elemento del racconto possa andar fuori posto che
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