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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Giovanni De Feo

Alla cassa c'è una lunga coda...

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Alla cassa c'è una lunga coda, sicchè quando l'uomo grasso arriva finalmente in sala il film è già iniziato. Egli odia, anzi detesta, gli spettatori dell'ultimo minuto, quelli che fanno alzare gli altri in un'onda di teste e voci. Ancor di più dunque si sente in imbarazzo nel sapersi membro di quella genìa, tanto più che con la sua mole è costretto a strusciarsi contro ginocchia, gomiti, sorrisi farlocchi. Infine raggiunge il posto assegnato, ci si schianta con un sospiro e un gemito di sedia.

Ci vuole ancora un pezzo perché il suo cuore rallenti e gli torni la la voglia di fissare lo schermo. Egli è già stanco dell'interminabile giornata in Direzione e teme che il buio della sala possa tradirlo di un pisolino imprevisto. Ma poiché sa di russare forte nel sonno, e non c'è categoria di spettatori che odi di più (ancora più dei tardivi struscianti) degli appisolati a bocca aperta, l'uomo grasso copre uno sbadiglio e alza lo sguardo sull'orizzonte intervallato di teste.

Forse è la stanchezza che gli fiacca i pensieri, ma non riesce a mettere in fila le scene che vede. Sullo schermo c'è un ragazzo biondo del tipo dello studente, seduto al tavolino di un bar: guarda l'orologio, aggrotta la fronte. Lo studente decide che ha aspettato abbastanza, si alza, esce. Per strada vede una corona di fiori nella vetrina di un florista e decide di comprarla. Sono crisantemi. L'uomo grasso si mordicchia impaziente le labbra. Che storia è questa? Il ragazzo ha avuto un lutto recente? No, è troppo spensierato, quasi allegro. O forse ha deciso di comprare i crisantemi per fare uno scherzo, magari alla ritardataria che apettava al bar. La mente dell'uomo divaga.

A un tratto si rende conto di non riuscire a ricordare nè la trama, né la recensione del film che è venuto a vedere. Questo poi non sarebbe da lui, che anzi sceglie sempre con cura meticolosa dopo aver letto recenzione e giudizio, almeno tre stellette, se non quattro. A volte addirittura si informa da amici. Non che ami avere compagnia al cinema; troppe volte all'uscita della sala si è disgustato dei giudizi altrui, lui che è la mitezza in persona. Ricorda addirittura di aver rotto un'amicizia importante, sodalizio dagli anni del liceo, per una litigata su un film. Certo, non era solo per il film, c'erano anni pregressi di pettegolezzi, giudizi alle spalle, triangolazioni meschine. Però adesso che ci pensa non riesce a trovare altra rottura che quel litigio davanti a un cinema, a discutere di una vaccata sentimentale che l'ex-amico si ostinava a difendere con i denti. Ricorda che addirittura erano venuti alle mani, che avevano dovuti separarli, che s'erano sputati. Che imbecilli! L'uomo si sente sorridere; ma è un sorriso che sa di guasto, di filamenti di carne lasciati a imputridire tra i denti.

Chissà perché gli è venuta in mente questa storia, chissà perché proprio adesso. E già un senso acre di nausea gli sale dalla radice profonda del ventre. Perché anche se non lo ha mai ammesso, l'amico gli manca. Gli manca la pausa aspirata della sua risata da bambino, con la mano aperta come a chiamare la sua. E il modo con cui diceva il suo nome al telefono, staccando sornione le sillabe. O quello scatto in alto con le spalle, quando si incontravano per caso davanti all'università, come a dire "io lo so chi sei, io ti conosco". L'uomo grasso sente queste cose dentro di sé ma come attutite, quasi l'adipe intorno ai suoi organi ne ammorbidisse l'impatto. E allora per stornarne il crescente fastidio sospira e si fissa di nuovo sul film.

Lo studente –se è davvero uno studente – non è più solo; a calciare lattine con lui per una strada notturna c'è un capelluto in giacca da motociclista. Passandosi una birra i due discorrono di donne, di un viaggio insieme a capo nord, di letture comuni e vaghi progetti di un futuro che non arriverà mai. Il capelluto ha occhi di straordinaria dolcezza, sussurra sull'orlo della sua bottiglia che ci sarà pure un tempo, un tempo in cui vedranno altri cieli, si innammoreranno di donne bellissime, scriveranno libri folgoranti, rideranno dello scherno degli altri, bruceranno tutto il grigio della vita nel falò delle loro meraviglie. Lo studente sorride. Poi la dissolvenza scopre a tradimento – lo vedi poi a non seguire – che era tutto un flashback: sei mesi, tre anni, non si sa.

Di nuovo al tavolino di quel bar.

E davanti allo studente, c'è l'amico di prima. Irriconoscibile: capelli corti, giacca e cravatta, ventiquattrore. Gli occhi soprattutto sono diversi: occhi che non cercano più, occhi che hanno trovato. Era lui dunque che lo studente aspettava. I due parlano ancora, ma senza la foga di prima, anzi pacati, assennati come vecchi di trent'anni. Lo studente gli sorride ma si capisce ugualmente che è triste. O meglio, noi lo capiamo, ma non l'amico cambiato, che anzi scherza, ridacchia da solo alle sue battute e non si accorge dello sguardo fuggiasco dell'altro.

Poi lo studente sfila da sotto al tavolo un pacco color crema, lo mette sul tavolino del bar. Un pacco regalo. L'altro sorride, sfila il fiocco con mani curate, apre: è la corona di crisantemi. Lo studente si alza, e senza dir nulla, senza rispondere all'altro, esce dal bar e si allontana.

Raggomitolato nella sua poltrona l'uomo grasso sente la mano alzarglisi lenta a toccarsi la faccia: umida, traversata d'obliquo da lacrime affilate come tagli di carta.





Giovanni De Feo



Vive a Genova dove insegna letteratura italiana alla Deledda International School. Con Salani ha pubblicato Il Mangianomi (2010) romanzo fantastico ambientato nella Napoli del Seicento, e con Fazi L'isola dei liombruni (2011) 'gotico mediterraneo' dai toni distopici e surreali.

Ha lavorato anche come sceneggiatore; l'ultimo suo film è il pluripremiato L'uomo fiammifero (2009) per la regia di Marco Chiarini.







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