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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Alfredo Ronci

Stavolta mi espongo: “Angelo” di Dario Bellezza.

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L’ho scrissi già in occasione dell’esame di un altro romanzo di Bellezza L’amore felice. Lui non mi è mai piaciuto, non mi sono mai piaciuti i suoi atteggiamenti vittimistici che spesso assumeva durante le sue peregrinazioni televisive (bisogna dirlo: tutta colpa di Maurizio Costanzo e del suo show a volte decisamente scellerato) tanto meno le disgrazie (perché queste erano) dei suoi romanzi e delle sue poesie. Poesie che ottennero il peana di Pier Paolo Pasolini che lo definì il più grande poeta contemporaneo (o giù di lì, non ricordo esattamente le parole dello scrittore-regista).
Perché mai riprendere allora la sua linea poetica e di prosa quando, pare evidente, nei confronti del personaggio si è sempre nutrita una disistima che, in alcune occasioni, è diventata vera e propria avversione?
La risposta è duplice: un po’ perché, al contrario del sottoscritto, Bellezza ha sempre avuto una stima e una considerazione da parte di alcuni intellettuali (pensiamo anche alla Ortese e, a scanso di equivoci, la Morante) e dall’altra considerarlo un minore non vuol dire relegarlo in un imbuto infernale ma affrontarlo con la dovuta attenzione.
Certo Stavolta mi espongo espresso nel titolo di questo pezzo non gioca affatto a favore del Bellezza (per fortuna che non sono l’unico ad avercela con lui. Aldo Busi, se avesse potuto, lo avrebbe letteralmente radiato dal consesso narrativo), però mi abbasso alla decisone di riaffrontarlo e anzi mi espongo (di nuovo, ma con differente significato) alla decisione di cavarci qualcosa di interessante.
Angelo è uno dei romanzi più brutti e insignificanti che mi sia capitato mai di leggere. E naturalmente cercherò di spiegarlo.
Inizia così: Per confessare il mio pazzo e non corrisposto amore per Elisa V., famosissima scrittrice ai tempi della mia prima giovinezza, avrei voluto premettere alcuni suoi deliranti discorsi e sottili ragionamenti, invettive coraggiose, e poesie sublimi, lamentazioni mistiche e orientali, quasi a voler espiare, nella sua alta glorificazione, la colpa di rendere pubblico quello che forse dovrebbe restare privato, sepolto nella mia memoria, per non metterlo in piazza, divulgato dalle gazzette; e anche per proteggermi dall’obiezione di coloro che, superstiti amici di Elisa, diranno che ho voluto, in verità, soprattutto svalutare agli occhi dei suoi passati lettori la figura sacra della scrittrice, e farmi una volgare pubblicità.
Bellezza, nel corso del tempo, ha elaborato un’immagine della scrittrice Elsa Morante, perché di questo si tratta, talmente funerea e rivoltante che, mi chiedo, di quanto scritto, cosa avrebbe detto uno degli amici più intimi della donna: Pier Paolo Pasolini.
Ahimé nulla, perché il caro Pier Paolo fu ucciso ben cinque anni prima di questo brutto libro, e addirittura undici da L’amore felice, dove anche qui, vittima di una serie di improperi, è proprio la Morante, chiamata all’uopo Anna Cortez.
Qui la Morante di chiama Elisa (accidenti, quale invenzione straordinaria… perché se dal nome si toglie la “i” cosa potrebbe restare?), rea di distruggere letteralmente le ipotetiche virtù di un letterato, e soprattutto ignara dell’amore assoluto e cosmico dell’autore.
Ma anche qui ci si chiede: ma Bellezza non era omosessuale? La risposta è: certo, ma se adesso un amore libero può essere considerato (mi scuso per la definizione enunciata) sia da una parte che dall’altra (lgbtqia+ tanto per intenderci), ai tempi del poeta nulla era più insensato, nonostante le considerazioni blasfeme da lui esposte: … non certo per il sesso, ché io ormai avevo deciso di troncare i vergognosi amori particolari. Talmente vergognosi che non gli rimane di affermare: odio le donne perché non ho avuto affetto da mia madre (accidenti che cipiglio!) e, già preda delle droghe … Riempito di visioni avrei spaziato con la mente verso universi proibiti ai poveri mortali, fino alla sparizione delle allucinazioni, avendo però acquistato, dopo il viaggio, una lucidità enorme e sfarzosa, limitrofa al più assoluto nirvana.
In più lo stile narrativo del Bellezza, preso da queste catene intellettuali che spesso lo facevano deviare dall’assoluto nirvana, si riducevano ad una patetica imitazione poetica di Rimbaud, e di tutta una serie di poeti ottocenteschi, che nel 1979, in piena euforia narrativa (dai sessanta in poi) lo facevano apparire, almeno a quelli come me, patetico e irrisoluto.
Il romanzo finisce anche con un delitto, già proprio quello. Se fosse stato un noir forse avrebbe avuto un senso (forse). In realtà non lo era, purtroppo.



L’edizione da noi considerata è:

Dario Bellezza
Angelo
Garzanti



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