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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Rayk Wieland

Che ne dici di baciarci?

Keller edizioni, Pag. 240 Euro 14,50
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Dicesi Wenderoman un romanzo tedesco che parla della Wende, cioè a dire la Svolta, la Rivoluzione Pacifica, la caduta del Muro quel che l'ha preceduta e quel che l'ha seguita, l'adesione della DDR alla BRD o, come sostengono alcuni, la di lei annessione da parte della BRD. Comunque sia, e qualunque taglio abbia, un Wenderoman è ambientato tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta in Germania (Est) e i suoi protagonisti affrontano un momento storico cruciale. Un cambiamento. Qualche esempio di Wenderoman: Nikolaikirche (1995) di Erich Loest, portato sul piccolo schermo dal cineasta più importante della DDR, Frank Beyer;

Paradies (1997) di Bernd Wagner; Wie es leuchtet (2004) di Thomas Brussig; il monumentale Vite nuove (2007, traduzione di Fabrizio Cambi; ed. or. 2005) di Ingo Schulze; Als wir träumten (2007) di Clemens Meyer; l'ancor più monumentale La torre (2012, traduzione di Francesca Gabelli; ed. or. 2008) di Uwe Tellkamp, da molti considerato il Wenderoman per eccellenza, da altri un gran bel libro sì, santiddio, ma non esattamente un Wenderoman. Perché è ambientato nella DDR pre-cadutadelmuro. Ma son finezze.

Il protagonista di Che ne dici di baciarci? di Rayk Wieland è il signor W. – come Wieland –, ha suppergiù la stessa età di Wieland (classe 1965) e anche la stessa Heimat. La Germania Est. Il romanzo è scritto di suo pugno (lo si capisce alla fine grazie alla classica Ringkomposition) e decolla quando il signor W. ci racconta di aver ricevuto un invito al convegno dal titolo "Poeti. Drammi. Dittatura. Effeti collaterali e rischi della letteratura clandestina nella DDR". L'invito è firmato Anika Schneider dell'APTCI, Associazione dei poeti tedeschi clandestini ignoti, curatrice dell'antologia Dentro davanti alla porta. Contropoesie contro il presente / I poeti clandestini ignoti della DDR, 1970-1990. Antologia in cui il signor W. trova il testo eponimo della sua silloge giovanile Possibile esecuzione del congiuntivo, che aveva quasi rimosso. Anche perché a suo tempo non l'aveva pubblicato. Era rimasto nel cassetto.

L'arcano è presto spiegato. W. risale al proprio fascicolo personale negli archivi della ex Stasi – aperti al pubblico dopo la Svolta – e viene a sapere che la storia d'amore a distanza con Liane, una ragazza di Monaco, era diventata una tresca a sua insaputa, con la partecipazione intensa – seppur cartacea, non carnale – dello zelante tenente Schnatz, che a suo tempo aveva tenuto sotto strettissimo controllo il loro carteggio e i cartigli vergati da W. nella solitudine del suo appartamento. Cartigli che Schnatz era arrivato a sottrarre quatto quatto e a trascrivere pedissequamente, in puro stile "paranoia appalla & ironia zero", includendo nella trascrizione le correzioni dell'autore, i refusi e gli appunti a margine come "comprare il caffè". Manco fosse un pizzino ante litteram. Del resto, come ricorda la signora Schneider, la sfera pubblica secondo la Stasi cominciava con due persone che giocano a carte... o che fanno un solitario – nel caso della Possibile esecuzione del congiuntivo.

"Il congiuntivo", scrive Schnatz in una nota, "sottrae a una dichiarazione l'elemento decisivo, la verità. Tutto è 'possibile', niente deve necessariamente essere. Con questo atteggiamento di fondo dichiarato W. si pone in palese contrapposizione alla visione del mondo scientif. Ciò che è espresso al congiuntivo non è necessariamente vero, rimane aperto. Atto d'accusa contro le fondam. della soc. Cfr. la realtà non è reale. W. considera il socialismo reale nella DDR oggett. non reale". (p. 148) Tra tutti i personaggi che attraversano il romanzo di Wieland, lo spione trascrittore fuso alla macchina da scrivere come Peter Weller nel Pasto nudo (1991) è quello che suscita maggiore ilarità, oltre che una forma di empatia schizoide. Un uomo d'apparato istruito a vedere ovunque minacce e defezioni, alti tradimenti e intrighi internazionali mossi dall'invidia nei confronti del rigoglio socialista. Quest'uomo s'imbatte in un altro uomo, il signor W., col pallino della scrittura nonché co-fondatore del misterioso gruppo 61 ("I suoi soci fondatori era il porcellino d'India di mia sorella, Hugo, un vecchio orologio a pendolo e io", p. 135). Così W. scopre che mentre lui scriveva lettere d'amore e poesie, Schnatz trascriveva. Ma cosa significava scrivere, a quei tempi? "Chi scriveva, raramente aveva l'ardire di dire: 'Io scrivo'. Era meglio dire: 'Cerco di scrivere'. Ma era ancora meglio dire: 'Cerco di scrivere in modo che quello che scrivo, forse, un giorno, abbia delle caratteristiche tali da poter esser definito scrittura'. Parlavano tutti così, quelli che allora scrivevano, ed erano molti. Per anni la DDR è stata colpita da una vera e propria epidemia poetica". (p. 33) Un fenomeno, questo, testimoniato da un bel libro uscito in Italia per ISBN (100 poesie dalla DDR) mentre sul fatto che le poesie, ancora oggi, in Germania, abbiano voce in capitolo lo sta dimostrando molto bene Günter Grass coni suoi strali politicamente scorretti ancorché senili.

Che ne dici di baciarci? è un romanzo vivace e ottimamente congegnato, non proprio una parodia del Wenderoman – visto il gioco di specchi tra autore e personaggio – anzi sincero e nient'affatto sarcastico nell'affrontare il tema della Stasi e della libertà di espressione ai tempi della DDR. Lo sberleffo involontario, semmai, è scritto nella Storia. Per bocca del signor W., Wieland smonta senza tentennamenti la retorica post-muro ("Ero del tutto estraneo alla morale ingenua che aveva caratterizzato il dibattito negli anni successivi all'89", p. 31) e silura mostri sacri come Wolf Biermann, famoso per essere stato espulso da Honecker ("un cantautore con baffi a ferro di cavallo grottescamente sopravvalutato"), così come Joachim Gauck (ex responsabile degli archivi della Stasi aperti alla cittadinanza e ora presidente della Bundesrepublik) o l'ineffabile signora Merkel: "non hanno dato nessun contributo alla Svolta, erano completamente succubi del sistema". Wieland inserisce nel racconto il Sonetto 66 di Shakespeare e Il signor K. di Kafka, ci ricorda che sul territorio della DDR non c'erano campi da golf (ma in compenso brulicava di campi di minigolf) ed evoca lo smarrimento di Aspettando Godot proprio come fa il regista Andreas Dresen nel suo primo film Stilles Land (1992), forse il primo Wendefilm in assoluto. O almeno uno dei più belli e sentiti, perché fatto da chi, all'Est, ci è cresciuto.

Chi si aspetta da Che ne dici di baciarci? grigiore e facili filippiche, resterà deluso. Rayk Wieland imbastisce un romanzo sul senso stesso della scrittura e lo conclude con due appendici: una carrellata dei personaggi in stile film di John Landis e la pubblicazione integrale della silloge "a cura e con un'introduzione del tenente Schnatz". Colpaccio geniale. Dal canto suo, Keller sforna un libretto bello da vedere e da toccare, stampato con una font strepitosa e leggibilissima i cui punti sono come i "quadri" delle carte da gioco, e c'infila addirittura un cadeau sotto forma di segnalibro cartonato che riproduce un grande dipinto – di fatto, una "pala socialista" – attribuito a Bruno Bernitz e descritto per filo e per segno da pagina 109 in poi. Un must – o come scriverebbe il tenente Schnatz, ein Muss.



di Simone Buttazzi


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