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RECENSIONI

Mattia Walker

Civitavecchia alla fine del mondo

Zandegù editore, Pag. 412 Euro 15,00
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...Restiamo sul pezzo, se non ti dispiace: il curling. Lo sport dell'impotenza esistenziale, il tentativo ridicolo di spostare le cose senza toccarle, provare a far accadere gli eventi semplicemente rendendoli più probabili... (Pag. 143).

Metafora azzeccata per indicare i propri percorsi letterari. Perché Mattia Walker ha fatto questo: ha costruito una storia improbabile cercando però di rendere l'inverosimile possibile, o almeno credibile.

Dove sta andando la letteratura oggi non lo sappiamo, non perché chi la fa non indichi i percorsi, ma perché è arduo seguire un fiume quando dal tratto principale deviano in continuazione scostamenti improvvisi.

Facciamo un paragone calzante: Mattia Walker indica nel suo romanzo, come punto di ritrovo dei suoi personaggi (e ce ne sono e di curiosi assai! Dalla donna-pollo che si ritrova improvvisamente senza lavoro perché parlare in televisione di pennuti quando c'è l'aviaria è operazione coraggiosa e ardimentosa. C'è Fulvio, il sosia di Hulk Hogan, una sorta di feticcio-residuo della wrestlemania – tutta italiana – della fine degli anni ottanta. Ci sono Salvo e P. che lavorano per recuperare pezzi difettosi. C'è un povero cameramen che vive con un peacemaker difettoso. E non manca neppure una setta convinta dell'esistenza degli alieni ed un'organizzazione che sta riempiendo il pianeta di cloni, compreso il 'finto' Baggio che si suicida in diretta) la Civitavecchia assurta a fasti mediatici dopo l'evento della madonna lacrimosa di sangue. Come se, sempre negli anni ottanta, invece di leggere Tondelli alle prese coi primi singulti di una presa di coscienza omosessuale, uno scrittore brillante e faceto avesse raccontato di un raduno di personaggi improbabili nei pressi di Vermicino per raccontare le ultime ore del piccolo Alfredino.

Ovvio, non si fa dietrologia, il raffronto è utile per tentare di carpire i segreti della scrittura contemporanea (ammettendo che ci siano), a meno che i 'recuperi' che si fanno in musica e nel cinema (ci avete fatto caso? Qualsiasi cosa è stata prodotta nei decenni passati ha acquisito l'aura del prodotto 'comunque' artistico) non riguardino anche la letteratura. Nel senso che qualsivoglia espressione mentale, o sussulto di terminazione nervosa sia riconducibile a carta.

Ma che è giudizio negativo questo? No! Anzi è un'apertura di credito. Perché se proprio vogliamo fare nomi e cognomi, e con le deviazioni del caso che sono sempre auspicabili, il romanzo di Walker mi ha ricordato la serie del 'Drive-in' di Joe Lansdale (sì quello che partorisce dieci libri l'anno e che ormai si fa fatica a stargli dietro). Forse meno lisergico, ma di sicuro passato nella centrifuga. Quei libri dello scrittore americano non sono forse diventati dei classici del fantastico? Si parla tanto di via italiano al fantastico. Beh allora beccatevi Mattia Walker. Mi pare che ci possa proprio stare tutto intero.



di Alfredo Ronci


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