CLASSICI
Alfredo Ronci
Come se non ci fosse guerra: ‘Tempo di uccidere’ di Ennio Flaiano.
Tempo di uccidere è l’unico romanzo di Ennio Flaiano. In verità di cose più o meno romanzate il nostro autore l’ha scritte (e non dimentichiamo neppure le tante idee regalate a Fellini), ma questa storia di guerra africana (che guerra in fondo poi non sarà mai) è davvero l’unica traccia di opera narrativa.
La leggenda dice che fu Longanesi, durante un momento di ozio, a proporre a Flaiano l’idea di un romanzo di stampo bellico: convinto com’era delle qualità letterarie dell’amico, lo sorprese con tale richiesta e lo pregò di consegnarlo ai primi di marzo del ’47. Si era a dicembre del ’46.
Flaiano in realtà lo consegnò dopo poche settimane e in quello stesso anno vinse il Premio Strega.
Ma di che parla questo Tempo di uccidere? E soprattutto perché è un finto diario di guerra?
Più che un finto diario è una lunga presa di coscienza di un uomo, semi abbandonato in terra africana, durante il periodo delle mire imperialistiche fasciste, che si ritrova, dopo un delitto commesso per sbaglio, a fare i conti con la propria presenza in quelle terre e col vero senso da dare alla sua vita e ai rapporti con gli altri, in quell’umanità sgabuzzino delle porcherie.
Nel 1950, durante un colloquio con Jules Dassin, regista francese che, con le dovute cautele, gli proponeva di ambientare in Nord Africa, durante lo sbarco alleato, l’ambientazione del film che intendeva realizzare, Flaiano rispose: “Io non tengo particolarmente all’Abissinia, anche perché il luogo nel mio romanzo ha una funzione puramente indicativa.”
In realtà era una mezza verità: pur convinto che la sua storia, proprio per come era intesa e percepita, dava modo di essere interpretata con una certa libertà, il vero senso della sua presenza in Africa e in quella particolare Africa, lo si avverte chiaramente in varie parti del romanzo. Quasi all’inizio di esso si legge: Profonda bellezza di lei nel sonno. Soltanto nel sonno la sua bellezza si rivelava completamente, come se il sonno fosse il suo vero stato e la veglia una tortura qualsiasi. Dormiva, proprio come l’Africa, il sonno caldo e greve della decadenza, il sonno dei grandi imperi mancati che non sorgeranno finché il “signore” non sarà sfinito dalla sua stessa immaginazione e le cose che inventerà non si rivolgeranno contro di lui.
Inevitabile che con una materia del genere tra le mani Flaiano andasse incontro a critiche e a rimproveri: critiche sia politico-ideologiche che più strettamente letterarie. Gli fu, per esempio, rimproverato di aver mantenuto una parvenza di superiorità intellettiva (verrebbe da dire di tipo coloniale) nei confronti del popolo africano. O addirittura, come nel caso di Debenedetti, che su “l’Unità’, dopo l’uscita del romanzo scrisse: segnala la forza delle prime pagine, ma giudica il seguito più ingegnoso che profondo.
Anche qui mezze verità: l’aspetto coloniale della storia scompare di fronte alla necessità, tutta autorale, di confrontarsi e d’intendersi con l’altro. Pensiamo all’immane sforzo, per esempio, di tracciare una linea di comprensione con Johannes, il vecchio africano che divide col protagonista i piccoli spazi della fuga o ancora le ripetute analisi sociologiche che il tenente fa sempre ad un passo dalla disgregazione politica.
Le critiche letterarie invece, e prendiamo come esempio quella dell’Unità, ci sembrano più tagliate: in pieno marasma neorealista Tempo di uccidere offre una sintesi della guerra e di ciò che comporta assai diversa, e per certi versi, sconcertante, tanto da indurre qualcuno a pensare che, sceneggiandolo in modo diverso, avrebbe potuto costituire una sorta di grosso successo editoriale europeo.
Rimane il fatto che, per quanto si possano adottare resistenze di vario genere, Tempo di uccidere assume una rilevanza diversa: al di là di certe considerazioni di tipo letterario se non addirittura di carattere politico (inevitabile, soprattutto nel 1947, anno dell’uscita, le discussioni su come si potesse interpretare, nel modo giusto, l’avventura coloniale e in generale la distanza dal fascismo), il romanzo ha in sé una verginità, una sua innocenza quasi infantile. I sogni, i fantasmi, le paure, le incomprensioni sono sensazioni che ognuno di noi può provare, al di là delle condizioni geografiche e anche al di là delle considerazioni politiche.
Ma Tempo di uccidere fu anche, e soprattutto, un libro di denuncia. Peccato che rimase l’unico romanzo di Flaiano.
Il libro da noi considerato è:
Ennio Flaiano
Tempo di uccidere
Adelphi
La leggenda dice che fu Longanesi, durante un momento di ozio, a proporre a Flaiano l’idea di un romanzo di stampo bellico: convinto com’era delle qualità letterarie dell’amico, lo sorprese con tale richiesta e lo pregò di consegnarlo ai primi di marzo del ’47. Si era a dicembre del ’46.
Flaiano in realtà lo consegnò dopo poche settimane e in quello stesso anno vinse il Premio Strega.
Ma di che parla questo Tempo di uccidere? E soprattutto perché è un finto diario di guerra?
Più che un finto diario è una lunga presa di coscienza di un uomo, semi abbandonato in terra africana, durante il periodo delle mire imperialistiche fasciste, che si ritrova, dopo un delitto commesso per sbaglio, a fare i conti con la propria presenza in quelle terre e col vero senso da dare alla sua vita e ai rapporti con gli altri, in quell’umanità sgabuzzino delle porcherie.
Nel 1950, durante un colloquio con Jules Dassin, regista francese che, con le dovute cautele, gli proponeva di ambientare in Nord Africa, durante lo sbarco alleato, l’ambientazione del film che intendeva realizzare, Flaiano rispose: “Io non tengo particolarmente all’Abissinia, anche perché il luogo nel mio romanzo ha una funzione puramente indicativa.”
In realtà era una mezza verità: pur convinto che la sua storia, proprio per come era intesa e percepita, dava modo di essere interpretata con una certa libertà, il vero senso della sua presenza in Africa e in quella particolare Africa, lo si avverte chiaramente in varie parti del romanzo. Quasi all’inizio di esso si legge: Profonda bellezza di lei nel sonno. Soltanto nel sonno la sua bellezza si rivelava completamente, come se il sonno fosse il suo vero stato e la veglia una tortura qualsiasi. Dormiva, proprio come l’Africa, il sonno caldo e greve della decadenza, il sonno dei grandi imperi mancati che non sorgeranno finché il “signore” non sarà sfinito dalla sua stessa immaginazione e le cose che inventerà non si rivolgeranno contro di lui.
Inevitabile che con una materia del genere tra le mani Flaiano andasse incontro a critiche e a rimproveri: critiche sia politico-ideologiche che più strettamente letterarie. Gli fu, per esempio, rimproverato di aver mantenuto una parvenza di superiorità intellettiva (verrebbe da dire di tipo coloniale) nei confronti del popolo africano. O addirittura, come nel caso di Debenedetti, che su “l’Unità’, dopo l’uscita del romanzo scrisse: segnala la forza delle prime pagine, ma giudica il seguito più ingegnoso che profondo.
Anche qui mezze verità: l’aspetto coloniale della storia scompare di fronte alla necessità, tutta autorale, di confrontarsi e d’intendersi con l’altro. Pensiamo all’immane sforzo, per esempio, di tracciare una linea di comprensione con Johannes, il vecchio africano che divide col protagonista i piccoli spazi della fuga o ancora le ripetute analisi sociologiche che il tenente fa sempre ad un passo dalla disgregazione politica.
Le critiche letterarie invece, e prendiamo come esempio quella dell’Unità, ci sembrano più tagliate: in pieno marasma neorealista Tempo di uccidere offre una sintesi della guerra e di ciò che comporta assai diversa, e per certi versi, sconcertante, tanto da indurre qualcuno a pensare che, sceneggiandolo in modo diverso, avrebbe potuto costituire una sorta di grosso successo editoriale europeo.
Rimane il fatto che, per quanto si possano adottare resistenze di vario genere, Tempo di uccidere assume una rilevanza diversa: al di là di certe considerazioni di tipo letterario se non addirittura di carattere politico (inevitabile, soprattutto nel 1947, anno dell’uscita, le discussioni su come si potesse interpretare, nel modo giusto, l’avventura coloniale e in generale la distanza dal fascismo), il romanzo ha in sé una verginità, una sua innocenza quasi infantile. I sogni, i fantasmi, le paure, le incomprensioni sono sensazioni che ognuno di noi può provare, al di là delle condizioni geografiche e anche al di là delle considerazioni politiche.
Ma Tempo di uccidere fu anche, e soprattutto, un libro di denuncia. Peccato che rimase l’unico romanzo di Flaiano.
Il libro da noi considerato è:
Ennio Flaiano
Tempo di uccidere
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