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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Roberto Bolaño, Antoni García Porta

Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce

Sellerio, Pag. 187 Euro 12,00
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Quante idee non condividevo! E, però: quante idee!

Carlo BO



A esser franchi, m'aspettavo di più da questo sia pure sciolto romanzetto, gagliardamente voltato in italiano da Angelo Morino (del quale abbiamo avuto l'onore). Ma forse sono io, ignorante sia di Morrison che di Joyce, ad averlo scorso piattamente, senza troppo cogliere eventuali inserzioni, riferimenti, riflessi che pure la storia deve avere. García Porta, rifacendone la storia in postfazione, rammenta un ordine di marcia del co-autore Bolaño:"Approfondire la vena joyceana del personaggio centrale; di fatto, farne uno dei leit-motiv dell'opera; in modo modesto, fare con Joyce (...) quel che lui ha fatto con Omero. Certo! La differenza è grande! Ma può rivelarsi molto interessante, una specie di dripping pollockiano, la traslazione di simboli e ossessioni joyceane in un romanzo rapido, violento, breve". (p.182) Impresa che pare sia stata abbandonata o alquanto ridotta nelle dimensioni e velleità, dato che, poco avanti, (p. 185) Porta confessa "serva quest'edizione (...) a illustrare i nostri primi passi nel mondo della narrativa, quando non sapevamo neppure come scrivere un romanzo a quattro mani, né chi era il discepolo di Morrison né chi il fanatico di Joyce".

Rimane quindi al Lettore, al di là delle suggestioni "alte", una narrazione sinceramente "rapida, violenta, breve": Ángel Ros, scrittore insicuro del proprio talento, s'accoda ad Ana, ventiduenne, in una serie di sanguinosi reati, che tuttavia s'inquadrano in una generale situazione d'insicurezza (la storia è ambientata a Barcellona nei primi '80) che la stampa e la tv descrivono come un'eruzione (un'emergenza, si direbbe da noi) criminale. Ciò diminuisce, rendendole banali, le imprese dei due - e il modo di raccontarle si adegua, e adeguandosi le modella: malgrado l'efferata condotta della coppia, con dei momenti che oggi diremmo tarantiniani, tanto controllo e tanta capacità di dominio della materia c'è nello stile, che ogni atto viene sottoraffreddato, reso anodino dalla stenografia degli Autori, e si offre sulla pagina prima come prova di scrittura, e solo in seconda battuta come "plot" - così come in Sciascia si dà che importa il congegno intellettuale, i suoi richiami e rimandi, e dopo i fatti. E, però: nell'opera che presentiamo, il bicàpite Autore riesce a dare una scansione serrata agli eventi (è il montaggio, ricordiamolo, che dà senso alle immagini) sì da renderli impressivi, cioè a dar loro quel significato che travalica le parole, e è d'ipotiposi, impressione di realtà prima che di verità, avvicinandoli ai cinèmi - "focalizzare il romanzo (...) come se girassimo un film d'avventure". (p. 181)

Allora avviene il riscatto dell'immagine, la sua piena partecipazione all'equilibrio con lo stile: e avvertiamo in ciò il compimento del titolo (parodia, vien detto, di quello d'una poesia di Mario Santiago, cfr. p. 185), quando inteso sotto la specie vivaldiana del Cimento dell'Armonia con l'Inventione: mentre Joyce è il santo patrono del sostrato linguisticante, Morrison si fa mallevadore della deregolatezza dei sensi - ed entrambi son limiti a cui tende la funzione-romanzo, la funzione-personaggio (funzione di funzione: per una lettura analitica dell'autobiografia, della finzione di finzione (due negazioni affermano)?), la funzione-Autore.

Il che ci riporta a una schidionata di domande, espresse nel finale della partita: "Quali sono state le vere intenzioni di tutte le rapine che abbiamo fatto? E' stato il caso a trascinarci da un punto all'altro, o c'era una mano che ci dirigeva (...)? Che film abbiamo girato in quell'estate opprimente?"(p. 144) Metaletteratura (il limite di cui sopra)? Chissà! Certo è che la necessità che qualcosa abbia una spiegazione nasce dal fatto che qualcuno se la chiede. Altrimenti, i fatti "fatteggerebbero" per loro stessi, autonomi e chiari, risposte a sé medesimi - come avviene nel "genere". E ancora una volta ecco schiudersi dinanzi al Lettore la precisa sensazione che un testo sia un'ipotesi, nel senso in cui pongono un' ipotesi percettiva la figura doppia (vecchia-giovane, lepre-anatra) o l'illusione ottica. E che sta a lui risolverla, con un atto di partecipazione al testo. Ginnastica che sempre più, o sempre peggio, siam chiamati a esercitare nei confronti di quel che ci viene spacciato come realtà.



di Giulio Lascàris


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