RECENSIONI
Antonio Veneziani
Cronista della solitudine
Hacca, Pag.103 Euro 10,00
Scriveva T.S.Eliot a proposito de La foresta della notte di Djuna Barnes: ...E non intendo dire che lo stile di Miss Barnes sia «prosa poetica»; intendo però dire che la maggior parte dei romanzi contemporanei non sono veramente «scritti». Essi traggono quel tanto di realtà che possiedono da una riproduzione attenta dei rumori prodotti comunemente dagli esseri umani per le loro semplici esigenze quotidiane di comunicazione; e quanto in essi non è costituito da questi rumori, consta di una prosa non più viva di quella di un decoroso giornalista o di un buon funzionario governativo. Una prosa che sia interamente viva esige da chi la legge qualcosa che il comune lettore di romanzi non è disposto a dare.Dire che La foresta della notte piacerà innanzi tutto ai lettori di poesia non significa che esso non sia un romanzo, significa che è un romanzo così bello che soltanto una sensibilità formatasi sulla poesia può apprezzarlo fino in fondo.
Parole profetiche che ahimé, però, non s'adattano al libro di Veneziani.
Non amo il personaggio (perdonatemi questo "affondo" personalistico, ma a volte la corrispondenza viaggia anche sulle ali della pelle), troppo etichettabile ed "ancien régime". Mi vien da sopportarlo solo quando confessa la sua appartenenza alla cultura di strada, non al suo mondo racchiuso in un vecchio libro polveroso.
Non amo le sue iniziative editoriali, troppo velleitarie, nonché scontate. Ma parimenti mi ci confronto, forse per una sorta di personale macchinazione masochistica, forse per confessare a me stesso che i miei limiti e le mie resistenze sono fatte per essere scavalcate.
Quindi eccomi di fronte a Cronista della solitudine. Taccio sul titolo – ce ne sarebbe da dire – e vado a disquisir sul contenuto. Assai curioso: quarantanove miniracconti sul delitto – e che delitti!
Ma essendo questa materia che macino a volontà ho trovato risibile il contenuto del Veneziani (pag. 38: Jacob ripeteva ossessivamente: "Sono un morto vivente". Con aria complice aggiungeva: "Sei l'unico, anche fra gli amici, che mi capisce." Per non tradire l'amicizia e perché ritengo alla verità, l'ho murato vivo.
No comment. Ci provò anche la Barbara Garlaschelli scrittrice da Milano a fare una cosa del genere (O ridere o morire – Marcos y Marcos 1995), ma fu criticata, giustamente.
Quel che irrita poi è la misticanza tra composto organico (la poesia) ed inorganico (il noir trattato come gag). Ma la poesia, contrariamente a quanto diceva Eliot a proposito delle Barnes, non è in appoggio alla prosa, ma ne diventa strumento velleitario e vecchio (Le ore trascorrevano come i voli disinvolti delle cinciallegre – nemmeno l'etologia di Danilo Mainardi saprebbe fare meglio – pag. 54 – abisso non stupido – sic!- pag.60).
Non credo nemmeno all'ambiziosità del progetto: tutto è scaduto, come una vecchia cassetta del pronto soccorso dimenticata in un angolo di casa.
Però si sono azzardati paragoni (li ha fatti Renzo Paris nell'intervista all'autore che appare a fine romanzo) a cominciare dal Max Aub di Delitti esemplari. A 'sto punto avrei citato pure i Delitti bestiali di Patricia Highsmith e, per una convergenza "matematica" visto il numero dei racconti qui presenti I 49 racconti di Ernest Hemingway.
Sono solo provocazioni, almeno le mie. Di questo libro si salva – già citata – l'intervista che Veneziani rilascia nelle ultime pagine. Al di là di certa retorica e di glorificazione dell'uomo-personaggio (e, credetemi, non vedo proprio il perché), vi si scorge una onesta difficoltà del vivere ed un impegno nell'arte che in queste storie "tremende" (ma capite il senso) non si scorge affatto, coperte come sono di fuliggine ammantata di poesia.
di Alfredo Ronci
Parole profetiche che ahimé, però, non s'adattano al libro di Veneziani.
Non amo il personaggio (perdonatemi questo "affondo" personalistico, ma a volte la corrispondenza viaggia anche sulle ali della pelle), troppo etichettabile ed "ancien régime". Mi vien da sopportarlo solo quando confessa la sua appartenenza alla cultura di strada, non al suo mondo racchiuso in un vecchio libro polveroso.
Non amo le sue iniziative editoriali, troppo velleitarie, nonché scontate. Ma parimenti mi ci confronto, forse per una sorta di personale macchinazione masochistica, forse per confessare a me stesso che i miei limiti e le mie resistenze sono fatte per essere scavalcate.
Quindi eccomi di fronte a Cronista della solitudine. Taccio sul titolo – ce ne sarebbe da dire – e vado a disquisir sul contenuto. Assai curioso: quarantanove miniracconti sul delitto – e che delitti!
Ma essendo questa materia che macino a volontà ho trovato risibile il contenuto del Veneziani (pag. 38: Jacob ripeteva ossessivamente: "Sono un morto vivente". Con aria complice aggiungeva: "Sei l'unico, anche fra gli amici, che mi capisce." Per non tradire l'amicizia e perché ritengo alla verità, l'ho murato vivo.
No comment. Ci provò anche la Barbara Garlaschelli scrittrice da Milano a fare una cosa del genere (O ridere o morire – Marcos y Marcos 1995), ma fu criticata, giustamente.
Quel che irrita poi è la misticanza tra composto organico (la poesia) ed inorganico (il noir trattato come gag). Ma la poesia, contrariamente a quanto diceva Eliot a proposito delle Barnes, non è in appoggio alla prosa, ma ne diventa strumento velleitario e vecchio (Le ore trascorrevano come i voli disinvolti delle cinciallegre – nemmeno l'etologia di Danilo Mainardi saprebbe fare meglio – pag. 54 – abisso non stupido – sic!- pag.60).
Non credo nemmeno all'ambiziosità del progetto: tutto è scaduto, come una vecchia cassetta del pronto soccorso dimenticata in un angolo di casa.
Però si sono azzardati paragoni (li ha fatti Renzo Paris nell'intervista all'autore che appare a fine romanzo) a cominciare dal Max Aub di Delitti esemplari. A 'sto punto avrei citato pure i Delitti bestiali di Patricia Highsmith e, per una convergenza "matematica" visto il numero dei racconti qui presenti I 49 racconti di Ernest Hemingway.
Sono solo provocazioni, almeno le mie. Di questo libro si salva – già citata – l'intervista che Veneziani rilascia nelle ultime pagine. Al di là di certa retorica e di glorificazione dell'uomo-personaggio (e, credetemi, non vedo proprio il perché), vi si scorge una onesta difficoltà del vivere ed un impegno nell'arte che in queste storie "tremende" (ma capite il senso) non si scorge affatto, coperte come sono di fuliggine ammantata di poesia.
di Alfredo Ronci
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