CLASSICI
Alfredo Ronci
Da vittima del becero moralismo a falsario vaticano: la storia ‘originale’ di Vittorio Scattolini e del suo autobiografico ‘Il processo di Cesarina’.
In un articolo su ‘La Stampa’ dell’aprile del 1948, Ugo Zatterin (giornalista di lungo corso che i meno giovani ricordano anche in tv come moderatore delle noiosissime ‘Tribune elettorali’ in bianco e nero) lo definiva così: La polizia lo conobbe giovanissimo come istigatore di reato, come austriacante, infine come pornografo. (…) Fece l’ateo, l’anticristo, lo scrittore di avanguardia, il libellista. Finì a Piazza San Sepolcro, si aggregò a Carli e Settimelli, entrò nel grande giornalismo accodandosi al carro mussoliniano dell’impero.
Tutto vero, ma il giudizio è fin troppo rigido: nel senso che Scattolini fu sì una sorta di arrampicatore sociale, ma anche un agitatore culturale e che nonostante cercasse la fama letteraria, trovò quella mediatica attraverso un processo che rivelò, nei primi anni venti del secolo scorso, la ‘piccineria’ della nostra giurisprudenza.
Ecco i fatti: nel 1920 Scattolini pubblica il romanzo A fior di lussuria (successivamente cambiato col titolo Cesarina impara l’amore) in cui si descrive con l’analisi del più prezioso verismo lo sviluppo fisico e spirituale di una bambina di tredici anni, Cesarina Montaldo, che vi è colta appunto nel momento più delicato del suo passaggio da bambina a donna, dalla innocenza alla conoscenza della vita.
E la storia non mancò di interessare un moralizzatore di costumi, tal giudice Mortara, che riuscì a trascinare l’autore in tribunale per difendersi dall’accusa di corruzione dei costumi e pornografia.
Il processo di Cesarina non è altro che la difesa dell’autore dall’attacco inusitato del becero magistrato (E’ bestialmente immorale che un artista sia accusato di immoralità. La sola accusa che può far impallidire un creatore è quella di mediocrità di nullità), difesa che ad un certo punto si fa forte anche nel citare opere che, offrendo lo stesso spaccato di vita, non subirono attacchi di nessun genere, anzi, per alcuni il tempo ne qualificò una classicità senza discussione: pensiamo a Quelle signore di Umberto Notari (esiste un’edizione del 1993 per Claudio Lombardi editore), a Mafarka il futurista di Tommaso Marinetti (qui ci ha pensato Mondadori, in edizione Oscar, a ripubblicarlo recentemente) . Scattolini riferisce anche di L’elogio della prostituzione di Italo Tavolato (qui però si sono perse completamente le tracce) e permettendosi un appunto discutibile e fuori luogo su Giacomo Leopardi (… sentivo in tutto il pessimismo di Leopardi, un nauseante puzzo di masturbazione).
Scattolini, furbo certo, ma anche dotato di intuito sottile, approfittando dei tempi lunghi in cui la giustizia italiana dibatteva sdella sua presunta immoralità, scrisse in poco più di un anno altri romanzi con protagonista la giovane Cesarina, con la speranza di ricavare dall’improvvisa notorietà mediatica anche una rinomanza letteraria e, soprattutto, una ‘risultanza’ economica.
Dunque a Cesarina impara l’amore seguirono: La signorina che non fu signorina e La bocca mi baciò, tutta tremante che, nell’intenzione dell’autore doveva sviluppare l’idea del mio primo romanzo in una lunga serie di opere uguali, che doveva portare questo unico titolo “La commedia dell’amore”, storia fisiologica della donna contemporanea.
L’attività dello Scattolini e la sua propensione a rinverdir tradizioni zoliane e balzachiane tuttavia non lo salvarono dal giudizio della giurisprudenza italiana che lo condannò a sette mesi di reclusione, al pagamento delle spese legali e al sequestro sul territorio nazionale delle due opere ritenute scandalose (nel frattempo si trovava nelle librerie anche La signorina che non fu signorina).
La reazione non si fece attendere: a sue spese fece pubblicare un ‘MANIFESTO AGLI SCRITTORI ITALIANI’ (presente nel volume in esame) in cui tentava di mettere in guardia l’indigena intellettualità dalla minaccia di una libertà in sospeso: Vi segnalo soltanto il pericolo che vi minaccia, l’offesa che l’esempio della mia condanna costituisce al vostro lavoro santo e luminoso.
Il processo di Cesarina è dunque uno sfizioso quadro di una realtà non troppo lontana da noi, nonostante siano trascorsi quasi cento anni (non è passato molto tempo da quando Aldo Busi dovette difendersi in tribunale dall’accusa di vilipendio da parte di un anonimo cittadino).
Poi, come disse Zatterin, Scattolini divenne altro: da ateo divenne fervente cattolico, cominciò a frequentare circoli di regime (addirittura si offrì come poeta ‘di corte’, ma respinto dal duce che ignorava chi fosse) e ambienti vaticani (e qui fu più fortunato).
Abile e spregiudicato, nel momento in cui la fine della guerra aveva portato ad un esasperato scontro ideologico (da una parte la giovane Democrazia Cristiana e dall’altra il Partito Comunista di Togliatti) e quindi ad un’ossessionante ricerca di scoop e sensazionalismi da usare come carte vincenti, divenne falsario e vendette ai comunisti documenti riguardanti il Vaticano.
Ovviamente falsi.
Ma questa è un’altra storia.
L’edizione da noi considerata è:
Virgilio Scattolini
Il processo di Cesarina
Facchi editore – Milano 1921
Tutto vero, ma il giudizio è fin troppo rigido: nel senso che Scattolini fu sì una sorta di arrampicatore sociale, ma anche un agitatore culturale e che nonostante cercasse la fama letteraria, trovò quella mediatica attraverso un processo che rivelò, nei primi anni venti del secolo scorso, la ‘piccineria’ della nostra giurisprudenza.
Ecco i fatti: nel 1920 Scattolini pubblica il romanzo A fior di lussuria (successivamente cambiato col titolo Cesarina impara l’amore) in cui si descrive con l’analisi del più prezioso verismo lo sviluppo fisico e spirituale di una bambina di tredici anni, Cesarina Montaldo, che vi è colta appunto nel momento più delicato del suo passaggio da bambina a donna, dalla innocenza alla conoscenza della vita.
E la storia non mancò di interessare un moralizzatore di costumi, tal giudice Mortara, che riuscì a trascinare l’autore in tribunale per difendersi dall’accusa di corruzione dei costumi e pornografia.
Il processo di Cesarina non è altro che la difesa dell’autore dall’attacco inusitato del becero magistrato (E’ bestialmente immorale che un artista sia accusato di immoralità. La sola accusa che può far impallidire un creatore è quella di mediocrità di nullità), difesa che ad un certo punto si fa forte anche nel citare opere che, offrendo lo stesso spaccato di vita, non subirono attacchi di nessun genere, anzi, per alcuni il tempo ne qualificò una classicità senza discussione: pensiamo a Quelle signore di Umberto Notari (esiste un’edizione del 1993 per Claudio Lombardi editore), a Mafarka il futurista di Tommaso Marinetti (qui ci ha pensato Mondadori, in edizione Oscar, a ripubblicarlo recentemente) . Scattolini riferisce anche di L’elogio della prostituzione di Italo Tavolato (qui però si sono perse completamente le tracce) e permettendosi un appunto discutibile e fuori luogo su Giacomo Leopardi (… sentivo in tutto il pessimismo di Leopardi, un nauseante puzzo di masturbazione).
Scattolini, furbo certo, ma anche dotato di intuito sottile, approfittando dei tempi lunghi in cui la giustizia italiana dibatteva sdella sua presunta immoralità, scrisse in poco più di un anno altri romanzi con protagonista la giovane Cesarina, con la speranza di ricavare dall’improvvisa notorietà mediatica anche una rinomanza letteraria e, soprattutto, una ‘risultanza’ economica.
Dunque a Cesarina impara l’amore seguirono: La signorina che non fu signorina e La bocca mi baciò, tutta tremante che, nell’intenzione dell’autore doveva sviluppare l’idea del mio primo romanzo in una lunga serie di opere uguali, che doveva portare questo unico titolo “La commedia dell’amore”, storia fisiologica della donna contemporanea.
L’attività dello Scattolini e la sua propensione a rinverdir tradizioni zoliane e balzachiane tuttavia non lo salvarono dal giudizio della giurisprudenza italiana che lo condannò a sette mesi di reclusione, al pagamento delle spese legali e al sequestro sul territorio nazionale delle due opere ritenute scandalose (nel frattempo si trovava nelle librerie anche La signorina che non fu signorina).
La reazione non si fece attendere: a sue spese fece pubblicare un ‘MANIFESTO AGLI SCRITTORI ITALIANI’ (presente nel volume in esame) in cui tentava di mettere in guardia l’indigena intellettualità dalla minaccia di una libertà in sospeso: Vi segnalo soltanto il pericolo che vi minaccia, l’offesa che l’esempio della mia condanna costituisce al vostro lavoro santo e luminoso.
Il processo di Cesarina è dunque uno sfizioso quadro di una realtà non troppo lontana da noi, nonostante siano trascorsi quasi cento anni (non è passato molto tempo da quando Aldo Busi dovette difendersi in tribunale dall’accusa di vilipendio da parte di un anonimo cittadino).
Poi, come disse Zatterin, Scattolini divenne altro: da ateo divenne fervente cattolico, cominciò a frequentare circoli di regime (addirittura si offrì come poeta ‘di corte’, ma respinto dal duce che ignorava chi fosse) e ambienti vaticani (e qui fu più fortunato).
Abile e spregiudicato, nel momento in cui la fine della guerra aveva portato ad un esasperato scontro ideologico (da una parte la giovane Democrazia Cristiana e dall’altra il Partito Comunista di Togliatti) e quindi ad un’ossessionante ricerca di scoop e sensazionalismi da usare come carte vincenti, divenne falsario e vendette ai comunisti documenti riguardanti il Vaticano.
Ovviamente falsi.
Ma questa è un’altra storia.
L’edizione da noi considerata è:
Virgilio Scattolini
Il processo di Cesarina
Facchi editore – Milano 1921
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