RECENSIONI
Emma Richler
Date da mangiare ai miei amati cani
Fandango, Pag. 735 Euro 22,00
Delle volte capita di provare una cocente ammirazione e invidia. È l'unica controindicazione che si può trovare nella lettura di Emma Richler.
Intanto il linguaggio, le parole che Jem, la protagonista, utilizza per descrivere la sua visione del mondo. Parole che si arrotolano intorno alla lingua e rotolano via come le chiacchiere fra amiche. Un discorso fatto di sottintesi, falsi avvii, ricapitolazioni, digressioni, citazioni e piccoli vizi linguistici che danno nuovo valore a termini che utilizziamo così frequentemente da perderne il senso. Questa lingua così spessa e materica che impersonifica davanti ai nostri occhi la piccola Jem e tutta la sua stravagante famiglia, e che si arricchisce di volta in volta di frasi celebri che i protagonisti fanno proprie. La Emily Bronte che ispira il titolo, il Piccolo Principe che anima le ricorrenti citazioni francesi.
I ragazzi Weiss sono normali e assolutamente fuori dai canoni. Leggono molto, soprattutto storie di cavalieri e tavole rotonde, di pirati ed esploratori artici, di universi e uomini delle stelle, di investigatori intuitivi oltre ogni dire. Sono bambini che crescono con un padre che è la loro montagna sacra, e una madre segnata da una fragilità che si agita al vento come foglie autunnali. Il piccolo Gus, un principe ineffabile che sembra un redentore. Harriet, una stravagante e affascinante bambina che parla come un libro ottocentesco, rivolgendo spesso alla affezionata sorella Jem esclamazioni del tipo: Ok, mia cara. Ho voglia di cantare adesso. Bambina mia. Jude, il fratello col gusto dell'avventura. L'eroe, il leggendario ragazzo che pensa che Viaggiare è importante per poi partire davvero, con l'amico taciturno. Ben l'intelligente, ironico, colto Ben. Svagato e dilettante nelle faccende domestiche.
Ognuno a suo modo distilla amore in questa storia. Amore sacro e profano come fossero un tutt'uno. Inutile tentare di afferrare tutto quello che si riversa in questo libro terribile e bellissimo. Molto meglio farsi trascinare da un fiume in piena di avvenimenti concatenati. Bambini ebrei che vanno a scuola dalle suore, ognuna contrassegnata dal proprio ruolo. C'è così suor Guardiana, suor Schiava, suor Cucina, e solo le peggiori tra queste hanno nomi propri che sembrano più di una fatale minaccia di catastrofe imminente. Come è imminente la Shoah, la morte che Harriet caccia dalla stanza eliminando tutti i libri che ne parlano. Come è imminente il sacrificio di Cristo e la persecuzione degli ebrei in Egitto. La morte rimane sospesa a mezz'aria e forse solo l'amata Frances, la madre, la coglie, quando fotografa i propri figli immortalando qualche centimetro delle loro nuche e tutto il cielo soprastante. Ma forse la vede anche Yaakov, il papà derelitto in assenza di Frances, che è una cosa del tutto scientifica, che si impara studiando i sistemi binari. Quasi la metà di tutte le stelle sono binarie. La morte la vede Jem, dei pesciolini d'argento che compaiono davanti alla retina. La vede Ben prosaicamente quando salva il piccolo Gus che muore per un attimo. La vede Jude fra le braccia dell'amico suicida per amore. La morte incombe ma è leggera come una carezza sui capelli. E c'è sempre un canto a scacciarla via.
I bambini qui sono coloro che salveranno il mondo. Lo salveranno perché sono bambini, perché fanno parte di un popolo che ha conosciuto l'afflizione, lo salveranno perché spetta loro ricambiare l'amore ricevuto e sconfiggere la morte.
di Enrica Murru
Intanto il linguaggio, le parole che Jem, la protagonista, utilizza per descrivere la sua visione del mondo. Parole che si arrotolano intorno alla lingua e rotolano via come le chiacchiere fra amiche. Un discorso fatto di sottintesi, falsi avvii, ricapitolazioni, digressioni, citazioni e piccoli vizi linguistici che danno nuovo valore a termini che utilizziamo così frequentemente da perderne il senso. Questa lingua così spessa e materica che impersonifica davanti ai nostri occhi la piccola Jem e tutta la sua stravagante famiglia, e che si arricchisce di volta in volta di frasi celebri che i protagonisti fanno proprie. La Emily Bronte che ispira il titolo, il Piccolo Principe che anima le ricorrenti citazioni francesi.
I ragazzi Weiss sono normali e assolutamente fuori dai canoni. Leggono molto, soprattutto storie di cavalieri e tavole rotonde, di pirati ed esploratori artici, di universi e uomini delle stelle, di investigatori intuitivi oltre ogni dire. Sono bambini che crescono con un padre che è la loro montagna sacra, e una madre segnata da una fragilità che si agita al vento come foglie autunnali. Il piccolo Gus, un principe ineffabile che sembra un redentore. Harriet, una stravagante e affascinante bambina che parla come un libro ottocentesco, rivolgendo spesso alla affezionata sorella Jem esclamazioni del tipo: Ok, mia cara. Ho voglia di cantare adesso. Bambina mia. Jude, il fratello col gusto dell'avventura. L'eroe, il leggendario ragazzo che pensa che Viaggiare è importante per poi partire davvero, con l'amico taciturno. Ben l'intelligente, ironico, colto Ben. Svagato e dilettante nelle faccende domestiche.
Ognuno a suo modo distilla amore in questa storia. Amore sacro e profano come fossero un tutt'uno. Inutile tentare di afferrare tutto quello che si riversa in questo libro terribile e bellissimo. Molto meglio farsi trascinare da un fiume in piena di avvenimenti concatenati. Bambini ebrei che vanno a scuola dalle suore, ognuna contrassegnata dal proprio ruolo. C'è così suor Guardiana, suor Schiava, suor Cucina, e solo le peggiori tra queste hanno nomi propri che sembrano più di una fatale minaccia di catastrofe imminente. Come è imminente la Shoah, la morte che Harriet caccia dalla stanza eliminando tutti i libri che ne parlano. Come è imminente il sacrificio di Cristo e la persecuzione degli ebrei in Egitto. La morte rimane sospesa a mezz'aria e forse solo l'amata Frances, la madre, la coglie, quando fotografa i propri figli immortalando qualche centimetro delle loro nuche e tutto il cielo soprastante. Ma forse la vede anche Yaakov, il papà derelitto in assenza di Frances, che è una cosa del tutto scientifica, che si impara studiando i sistemi binari. Quasi la metà di tutte le stelle sono binarie. La morte la vede Jem, dei pesciolini d'argento che compaiono davanti alla retina. La vede Ben prosaicamente quando salva il piccolo Gus che muore per un attimo. La vede Jude fra le braccia dell'amico suicida per amore. La morte incombe ma è leggera come una carezza sui capelli. E c'è sempre un canto a scacciarla via.
I bambini qui sono coloro che salveranno il mondo. Lo salveranno perché sono bambini, perché fanno parte di un popolo che ha conosciuto l'afflizione, lo salveranno perché spetta loro ricambiare l'amore ricevuto e sconfiggere la morte.
di Enrica Murru
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