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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Fabio Stassi

E' finito il nostro carnevale

Minimum fax, Pag.249 Euro 12,50
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Chiesemi un giorno un poeta, ma non faccio nome, se fosse necessario, per scrivere di prosa, perché giammai lo impone la poesia, procedere a documentazione.

Capii allora la tenzone dell'uomo e forse pure l'apprezzai, perché anch'io, che di scrittura mi dileggo, e tento pur l'impresa (oddio, pigro di nascita sono e nonostante l'amor pe' i libri e il circondario, farli mi scuote assai... Solo e pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti avrebbe detto il Petrarca), m'indisponevo a rendere la carta come fosse giornale o cronaca di massa. Ma in tempi siffatti e guardandomi attorno (peraltro lo stesso poeta con un musico famoso ora s'impegna a raccontar di Romeo e Giulietta. Chiedomi: varrà pure l'arte tua ed il talento, ma per parlar dei due teneri amanti non avrai orchestrato qualche studio o lo spulcio di qualche documento, pur se poetico?) e ragionando meco, vado a concludere che il romanzo è piacer dell'essere e dei suoi strazi, ma pure del contorno e della storia, per evitar, ancor come direbbe il Petrarca che torni l'alma al proprio albergo ignuda.

Cappello lungo sì, ma necessario, perché di quel che vado a dire è debito incastro: Fabio Stassi – ohibò fa il mio stesso mestiere, quando non si campa di sola arte, ma mai metterla da parte – ha scritto di un Zelig (ricordate Woody Allen ed il suo improvviso lampo di genio in un film?) che attraversa decenni sopravvivendo con mestierante coraggio ed indomito spirto, pur di rubare, del torneo più famoso del calcio, il suo trofeo e il suo brillìo: la coppa Rimet.

E nel suo naufragar in questo mare, tra l'altro squassato da un amor mai perpetrato con donna Consuelo, immaginifica creatura in odor quasi di santità, va incontro alla Storia e a coloro che l'hanno fatta grande e dividendone anche il pianto e il cor per la pena: Ernest Hemingway, Django Reinhardt, Ernesto Guevara e molti ancora.

Torna il primiero dilemma: è buona cosa mischiar l'arte e la cronaca? Documentar il lettore per render giusto ed onesto il cammin che si è intrapreso? Dai risultati qui visti pare di sì. Oddio, E' finito il nostro carnevale pare un bignamino ad uso e consumo delle generazioni più amene e frastornate (ma dalla grotta escono lunghi singhiozzi avrebbe detto Garcia Lorca), ma se le stesse bevessero da questi accenni e da queste suggestioni, assai guadagnerebbero di stima e anche di sapere.

Fabio Stassi è cantore di razza, e alla sua seconda avventura. Dice alla fine del libro e della Rimet: Appena riavrò deposto in cima ai ghiacci immutabili di questo polo, tirerò fuori un fischietto che mi regalò un arbitro radiato da ogni campionato perché aveva l'abitudine di danneggiare le squadre più potenti e blasonate e di non fischiare mai la fine delle partite che gli piacevano. E' da qui, da questo Sur, che ci soffierò dentro con tutto il fiato che mi rimane. A pieno polmoni. E spero che qualcuno mi senta.

Certo che sì, lui e l'opera in questione si fanno sentire: mai lo scritto è slabbrato e fuori misura e torna mai fiacco e smarrito il tema, ben poco oscuro, dell'amor e delle sue suggestioni. Perché sì E' finito il nostro carnevale è gioioso carosello e movimento vorticoso, ma è soprattutto canto di solitudine e passione.

Arsi, piansi e cantai; piango, ardo e canto; piangerò, arderò, canterò sempre diceva la poetessa Gaspara Stampa. Ne vediamo il riflesso in Stassi.



di Alfredo Ronci


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