RECENSIONI
Emanuela Valentini
Grotesquerie
Dana, Pag. 335 Euro 19,95
Bellissimo libro, bisogna dirlo, prima ancora di parlare del romanzo. L’eleganza della copertina, dei risguardi neri, dell’impaginazione, hanno il timbro della qualità. Un libro che si presenta attraente, proprio come il tendone sgargiante del circo, che cattura lo sguardo già prima di aprirsi sulle piste rutilanti di luci. Rotondo. Rotondo è il circo, come la fiaba che qui si racconta, come la giostra che gira per poi riportare ogni cosa al suo posto. Come le lancette dell’orologio. Una girandola di fuochi d’artificio, che spara intorno i suoi colori. Solo che qui non vengono dispersi, ma sciorinati per essere raccolti poi nella compostezza finale di un nuovo caleidoscopio.
Per chi ama il cinema vengono spontanei almeno due riferimenti. Il più ovvio è Freaks (1932) diretto da Tod Browning, film che getta uno sguardo spietato su uno degli aspetti più crudeli del circo di una volta: l’esibizione dei cosiddetti “fenomeni” le cui deformità erano destinate al sollazzo dei curiosi. L’altro è Metropolis (1927) di Fritz Lang, capolavoro dell’espressionismo tedesco. Quest’ultimo viene richiamato alla mente davanti allo scenario della fabbrica sotterranea dove prigionieri senza speranza lavorano in segreto a macchine da guerra. Scenario che l’autrice dipinge in pennellate scure e potenti, di grande suggestione.
Con gli occhi attraversò, ancora una volta, l’immensa catacomba sovrastata da colossali volte in pietra che si intervallavano ad archi, sostenuti a loro volta da massicce colonne rotonde, nelle porzioni laterali. Là sostavano, come monumentali insetti addormentati, le macchine che lei, e altre migliaia di schiavi come lei, avevano costruito per un fine ignobile.
Affreschi a tinte cupe, ma in questo prodigio di geometria letteraria c’è un contrappeso a tutto. E alla pesantezza si oppone la leggerezza di personaggi come Priscilla, giovinetta muta circondata da farfalle e altri insetti alati che riempiono lo spazio intorno a lei in sostituzione delle parole che non sa dire. È solo una fra le tante straordinarie presenze che animano il romanzo: eroi, tiranni, saltimbanchi, poeti, traditori e ragazze coraggiose. Ognuna meriterebbe una citazione, ma accontentiamoci dell’ingombrante presenza di Madame Grotesque, la padrona del circo: mostro di cinismo e avidità, e in più afflitta da una mostruosità segreta che via via si intuisce e che fa accapponare la pelle. Qui ci sarebbe un’altra selva di citazioni, da Harry Potter a Universo di Heinlein, fino alla vera storia di Edward Mordrake. Fermiamoci, per evitare spoiler.
A proposito di citazioni, rileviamo piuttosto quelle tratte da Gaspard de la Nuit, opera del poeta francese Aloysius Bertrand (1807 – 1841), che l’autrice distribuisce con gusto sopraffino nel corso della storia, facendo strologare il lettore ignaro riguardo alla sua reale esistenza, dal momento che il romanzo è un’ucronia ambientata a cavallo fra ‘800 e ‘900, in un mondo in cui Rouen è una città-stato governata da un Reggente intorno al quale ruotano losche trame di arrivisti e politici visionari. Una storia di fantasia, eppure basta guardare una cartina di Rouen, con la grande ansa della Senna, per immaginarla radicata in uno scenario concreto.
Una calma irreale saturava lo spazio, mentre sull’argine alcune persone allestivano una pira funebre. Non è che non vi fossero suoni; c’erano grida e pianti, e rumore di legna tirata giù dai carri. Bestemmie, latrati di cani. Ma il vento portava via tutto. Ripuliva al suo passaggio la terra, ovattando le azioni degli uomini.
Il cielo, illividito sopra la piana come una lastra di ferro, fioriva nell’indaco lontano, sull’oceano.
Il paesaggio è inestricabilmente amalgamato con le emozioni. Ma non è sempre tutto così quieto: alla delicatezza di pennellate impressioniste si avvicendano poderose scene di battaglia. E lì si sta davvero col fiato sospeso.
È una scrittura raffinata e incisiva, quella di Emanuela Valentini, che raggiunge i cinque sensi. Colori, sapori, odori, sensazioni tattili. E all’orecchio arrivano in contrappunto le marcette trionfali del circo e il martellare sordo delle officine in cui sferragliano le macchine mortali. La storia si svolge come una fiaba, in cui tutto si spezza per ricomporsi fra ribaltamenti, agnizioni e punizioni esemplari. Ma i temi classici vengono rivisti con originalità. Ogni elemento infine risponde all’appello con l’eleganza di un antico carillon.
di Giovanna Repetto
Per chi ama il cinema vengono spontanei almeno due riferimenti. Il più ovvio è Freaks (1932) diretto da Tod Browning, film che getta uno sguardo spietato su uno degli aspetti più crudeli del circo di una volta: l’esibizione dei cosiddetti “fenomeni” le cui deformità erano destinate al sollazzo dei curiosi. L’altro è Metropolis (1927) di Fritz Lang, capolavoro dell’espressionismo tedesco. Quest’ultimo viene richiamato alla mente davanti allo scenario della fabbrica sotterranea dove prigionieri senza speranza lavorano in segreto a macchine da guerra. Scenario che l’autrice dipinge in pennellate scure e potenti, di grande suggestione.
Con gli occhi attraversò, ancora una volta, l’immensa catacomba sovrastata da colossali volte in pietra che si intervallavano ad archi, sostenuti a loro volta da massicce colonne rotonde, nelle porzioni laterali. Là sostavano, come monumentali insetti addormentati, le macchine che lei, e altre migliaia di schiavi come lei, avevano costruito per un fine ignobile.
Affreschi a tinte cupe, ma in questo prodigio di geometria letteraria c’è un contrappeso a tutto. E alla pesantezza si oppone la leggerezza di personaggi come Priscilla, giovinetta muta circondata da farfalle e altri insetti alati che riempiono lo spazio intorno a lei in sostituzione delle parole che non sa dire. È solo una fra le tante straordinarie presenze che animano il romanzo: eroi, tiranni, saltimbanchi, poeti, traditori e ragazze coraggiose. Ognuna meriterebbe una citazione, ma accontentiamoci dell’ingombrante presenza di Madame Grotesque, la padrona del circo: mostro di cinismo e avidità, e in più afflitta da una mostruosità segreta che via via si intuisce e che fa accapponare la pelle. Qui ci sarebbe un’altra selva di citazioni, da Harry Potter a Universo di Heinlein, fino alla vera storia di Edward Mordrake. Fermiamoci, per evitare spoiler.
A proposito di citazioni, rileviamo piuttosto quelle tratte da Gaspard de la Nuit, opera del poeta francese Aloysius Bertrand (1807 – 1841), che l’autrice distribuisce con gusto sopraffino nel corso della storia, facendo strologare il lettore ignaro riguardo alla sua reale esistenza, dal momento che il romanzo è un’ucronia ambientata a cavallo fra ‘800 e ‘900, in un mondo in cui Rouen è una città-stato governata da un Reggente intorno al quale ruotano losche trame di arrivisti e politici visionari. Una storia di fantasia, eppure basta guardare una cartina di Rouen, con la grande ansa della Senna, per immaginarla radicata in uno scenario concreto.
Una calma irreale saturava lo spazio, mentre sull’argine alcune persone allestivano una pira funebre. Non è che non vi fossero suoni; c’erano grida e pianti, e rumore di legna tirata giù dai carri. Bestemmie, latrati di cani. Ma il vento portava via tutto. Ripuliva al suo passaggio la terra, ovattando le azioni degli uomini.
Il cielo, illividito sopra la piana come una lastra di ferro, fioriva nell’indaco lontano, sull’oceano.
Il paesaggio è inestricabilmente amalgamato con le emozioni. Ma non è sempre tutto così quieto: alla delicatezza di pennellate impressioniste si avvicendano poderose scene di battaglia. E lì si sta davvero col fiato sospeso.
È una scrittura raffinata e incisiva, quella di Emanuela Valentini, che raggiunge i cinque sensi. Colori, sapori, odori, sensazioni tattili. E all’orecchio arrivano in contrappunto le marcette trionfali del circo e il martellare sordo delle officine in cui sferragliano le macchine mortali. La storia si svolge come una fiaba, in cui tutto si spezza per ricomporsi fra ribaltamenti, agnizioni e punizioni esemplari. Ma i temi classici vengono rivisti con originalità. Ogni elemento infine risponde all’appello con l’eleganza di un antico carillon.
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