RECENSIONI
Sara Vannelli
Guarda che me ne vado
Leconte, Pag. 168 Euro 12,00
Farsi prefare dalla Ravera può comportare dei rischi: nel senso che se la scrittrice sbanda, come spesso fa, è irrecuperabile. E qui nell'introduzione a Guarda che me ne vado, che crediamo primo libro di Sara Vannelli, ne combina una delle sue. Scrive: Quelli che compongono 'Guarda che me ne vado' non sono racconti. Eppure sono racconti (...) Però sono racconti: sono racconti perché raccontano. Le consiglierei uno psicoterapeuta (ne conosco uno in gamba, è stato pure su Rai Uno).
Meglio metterla sul rumore (a Roma si direbbe 'in caciara'): sì perché l'antologia della Vannelli (che come tutte le antologie di racconti soffre del fatto che nessuno è Proust, e quindi se una storia riesce è facile che quella dopo intoppi, e così via, secondo una legge alternante che nemmeno Murphy è riuscito a descrivere correttamente) mostra proprio questo, un confuso bailamme dove i media e la merceologia la fanno da padrone (ma tanto prima o poi lo acchiappo Aldo Nove, e allora sono cacchi amari!), in un rincorrersi di situazioni ed elementi non riconciliativi che spesso non inducono alla riflessione.
Forse ho da spiegarmi meglio. Lei, la scrittrice (la seconda, perché la prima la inchiodiamo ancora ai suoi problemi neurovegetativi) fotografa il mondo, ed accidenti se lo fa! : è abile, sincera e canzoniera (Mamma, giochiamo al wrestling... fa dire ad un bambino rivolto alla genitrice), ce la mette tutta a rappresentare una realtà per quello che è (Mtv? C'è. Il Viakal? C'è. Mike Buongiorno? Per quanto morto, c'è. Bruno Vespa? Per quanto ronzi fastidiosamente, altroché se c'è. Rino Gaetano? E vuoi che non ci sia, soprattutto in questa era di ripescaggi e di altarini consacrati? Canale 5 e Italia uno? 'Azzo sì! Muggini a 'Controcampo'? Yes! Angela Cavagna (Angela Cavagna??). Pure), ma non è che alla fine il troppio stroppia?
Esempio: E' come se avessi vent'anni, dice, mi sento arzillo e posso andare in Germania ad aiutare Hitler.
Cazzo dici, gli dico, Hitler è morto da un pezzo.
Prende e si mette a piangere. E chi l'ha ucciso? Fa.
Paolo Limiti, gli dico.
(Già, avevo dimenticato Paolo Limiti). Il problema qual è allora? E' che il mondo che la Vannelli racconta è solo una fetta - e crediamo la meno entusiasmante - perché ormai è povera di sapori, succhiata com'è in continuazione... e perdonate la metafora.
Ha ragione la Ravera (ma dai!) a dire che il libro della Vannelli descrive famiglie deflagrate e desolati interni quotidiani nel cuore di uno scenario urbano iperrealistico, ma è pur vero che questo scenario è sulla bocca di tutti, è espressione di tutti, nella sua ossessiva presenza e permanenza.
Gradirei che oltre che fotografare si interpretasse il mondo al di là del rumore dal quale è sommerso. Con un po' di calma (mica è facile) ci si potrebbe riuscire. Perché se le parole della Ravera prefatrice (ancora! Ma allora te piace!) hanno un senso ... Perché la ricerca di sé si plachi un momento. Per poi ricominciare scalmanandosi ancora in uno stile febbrile come le vite frettolose che racconta senza fretta (e ridaje, è come per la questione dei racconti... il consiglio è sempre valido!). Rimane un io narrante dissestato ma vigile... possono averle, con un pizzico d'ironia anche le mie. E cioè: che l'io narrante può in effetti essere dissestato, ma se è vigile, si rischia che in quanto vigile sia come Alberto Sordi.
A buon intenditor.
di Alfredo Ronci
Meglio metterla sul rumore (a Roma si direbbe 'in caciara'): sì perché l'antologia della Vannelli (che come tutte le antologie di racconti soffre del fatto che nessuno è Proust, e quindi se una storia riesce è facile che quella dopo intoppi, e così via, secondo una legge alternante che nemmeno Murphy è riuscito a descrivere correttamente) mostra proprio questo, un confuso bailamme dove i media e la merceologia la fanno da padrone (ma tanto prima o poi lo acchiappo Aldo Nove, e allora sono cacchi amari!), in un rincorrersi di situazioni ed elementi non riconciliativi che spesso non inducono alla riflessione.
Forse ho da spiegarmi meglio. Lei, la scrittrice (la seconda, perché la prima la inchiodiamo ancora ai suoi problemi neurovegetativi) fotografa il mondo, ed accidenti se lo fa! : è abile, sincera e canzoniera (Mamma, giochiamo al wrestling... fa dire ad un bambino rivolto alla genitrice), ce la mette tutta a rappresentare una realtà per quello che è (Mtv? C'è. Il Viakal? C'è. Mike Buongiorno? Per quanto morto, c'è. Bruno Vespa? Per quanto ronzi fastidiosamente, altroché se c'è. Rino Gaetano? E vuoi che non ci sia, soprattutto in questa era di ripescaggi e di altarini consacrati? Canale 5 e Italia uno? 'Azzo sì! Muggini a 'Controcampo'? Yes! Angela Cavagna (Angela Cavagna??). Pure), ma non è che alla fine il troppio stroppia?
Esempio: E' come se avessi vent'anni, dice, mi sento arzillo e posso andare in Germania ad aiutare Hitler.
Cazzo dici, gli dico, Hitler è morto da un pezzo.
Prende e si mette a piangere. E chi l'ha ucciso? Fa.
Paolo Limiti, gli dico.
(Già, avevo dimenticato Paolo Limiti). Il problema qual è allora? E' che il mondo che la Vannelli racconta è solo una fetta - e crediamo la meno entusiasmante - perché ormai è povera di sapori, succhiata com'è in continuazione... e perdonate la metafora.
Ha ragione la Ravera (ma dai!) a dire che il libro della Vannelli descrive famiglie deflagrate e desolati interni quotidiani nel cuore di uno scenario urbano iperrealistico, ma è pur vero che questo scenario è sulla bocca di tutti, è espressione di tutti, nella sua ossessiva presenza e permanenza.
Gradirei che oltre che fotografare si interpretasse il mondo al di là del rumore dal quale è sommerso. Con un po' di calma (mica è facile) ci si potrebbe riuscire. Perché se le parole della Ravera prefatrice (ancora! Ma allora te piace!) hanno un senso ... Perché la ricerca di sé si plachi un momento. Per poi ricominciare scalmanandosi ancora in uno stile febbrile come le vite frettolose che racconta senza fretta (e ridaje, è come per la questione dei racconti... il consiglio è sempre valido!). Rimane un io narrante dissestato ma vigile... possono averle, con un pizzico d'ironia anche le mie. E cioè: che l'io narrante può in effetti essere dissestato, ma se è vigile, si rischia che in quanto vigile sia come Alberto Sordi.
A buon intenditor.
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