RECENSIONI
Anne Tyler
Guida rapida agli addii
Guanda, Pag. 214 Euro 15,00
Lettura gradevole come accade spesso con Anne Tyler, Guida rapida agli addii è uno di quei romanzi che al lettore non chiedono se non il gusto dell'intelligenza, dello humour misurato, della disponibilità all'ascolto di storie in apparenza trascurabili, o persino implausibili ma a voce bassa, senza essere stucchevoli e con la precisa intenzione di tastare il polso alle ragioni sentimentali dei personaggi.
Materiale non facile da realizzare - narrare il quotidiano, dolersene anche ma tenendo lontano l'angustia che spesso si accompagna al racconto di biografie e intrecci domestici senza grandi avvenimenti.
La voce del protagonista – ben conservata nella traduzione di Laura Pignatti – costituisce il pregio maggiore del romanzo. Con un'eleganza dimessa e virtuosa, Aaron, il narratore, giovane vedovo così devoto alla memoria di Dorothy - morta per un albero che è crollato sfondando il tetto della loro abitazione - da essere sicuro che ella continui a fargli compagnia e ad apparire al prossimo quando ne ha voglia. Non fa che sognare, costantemente, con elusiva improntitudine ("all'inizio pensai che Dorothy fosse tornata con un particolare incarico (...) e che dopo averlo portato a termine se ne sarebbe andata di nuovo").
Aaron l'ha amata molto perché a differenza di tutte le altre donne della sua vita – madre, sorella e precedenti fidanzate – non lo ha soffocato con le sue attenzioni, era spiccia nei modi e sobria nell'espressione dei suoi sentimenti (nonché particolarmente priva di avvenenza, tanto da poter assomigliare a un bullodg, ma questo per Aaron non sembrava un problema). Balbuziente, affetto da una leggera zoppia, svitato quanto basta da rendere possibile una vita come la sua, aveva trovato in quella donna rude il perfetto contraltare alle proprie stranezze, una modesta eccentricità che rivendica il diritto di vivere a modo suo, ma senza nessun senso polemico dell'agone, in una condizione che sembrerebbe di rifiuto della storia, ma che forse nella sua domesticità – e persino nell'apparente asocialità di taluni personaggi - trova delle ragioni più vere. Lo si potrebbe dire anche di gran parte della narrativa della Tyler, scrittrice settantenne con una ventina di titoli all'attivo, capace peraltro di sondare il mondo sentimentale degli uomini con il giusto distacco, né freddo né corrivo, e una non comune lucidità: perché di un genere insolito, fatto di nitidezza di sguardi e di dettagli e di leggerezza onirica allo stesso tempo. Una volta tanto, il caso di una scrittrice popolare (ma indulgente solo in apparenza) e davvero brava.
di Michele Lupo
Materiale non facile da realizzare - narrare il quotidiano, dolersene anche ma tenendo lontano l'angustia che spesso si accompagna al racconto di biografie e intrecci domestici senza grandi avvenimenti.
La voce del protagonista – ben conservata nella traduzione di Laura Pignatti – costituisce il pregio maggiore del romanzo. Con un'eleganza dimessa e virtuosa, Aaron, il narratore, giovane vedovo così devoto alla memoria di Dorothy - morta per un albero che è crollato sfondando il tetto della loro abitazione - da essere sicuro che ella continui a fargli compagnia e ad apparire al prossimo quando ne ha voglia. Non fa che sognare, costantemente, con elusiva improntitudine ("all'inizio pensai che Dorothy fosse tornata con un particolare incarico (...) e che dopo averlo portato a termine se ne sarebbe andata di nuovo").
Aaron l'ha amata molto perché a differenza di tutte le altre donne della sua vita – madre, sorella e precedenti fidanzate – non lo ha soffocato con le sue attenzioni, era spiccia nei modi e sobria nell'espressione dei suoi sentimenti (nonché particolarmente priva di avvenenza, tanto da poter assomigliare a un bullodg, ma questo per Aaron non sembrava un problema). Balbuziente, affetto da una leggera zoppia, svitato quanto basta da rendere possibile una vita come la sua, aveva trovato in quella donna rude il perfetto contraltare alle proprie stranezze, una modesta eccentricità che rivendica il diritto di vivere a modo suo, ma senza nessun senso polemico dell'agone, in una condizione che sembrerebbe di rifiuto della storia, ma che forse nella sua domesticità – e persino nell'apparente asocialità di taluni personaggi - trova delle ragioni più vere. Lo si potrebbe dire anche di gran parte della narrativa della Tyler, scrittrice settantenne con una ventina di titoli all'attivo, capace peraltro di sondare il mondo sentimentale degli uomini con il giusto distacco, né freddo né corrivo, e una non comune lucidità: perché di un genere insolito, fatto di nitidezza di sguardi e di dettagli e di leggerezza onirica allo stesso tempo. Una volta tanto, il caso di una scrittrice popolare (ma indulgente solo in apparenza) e davvero brava.
di Michele Lupo
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