RECENSIONI
Marco Vichi
Il Commissario Bordelli
Super Pocket, Pag. 205 Euro 5,50
Scriveva nel 1944 Raymond Chandler: C'è un romanzo di Dorothy Sayers in cui un tale, una notte, mentre se ne sta solo in casa sua, viene soppresso per mezzo d'un peso sganciato da un meccanismo il cui funzionamento è provocato dall'abitudine della vittima d'accendere la radio sempre ad una certa ora, di porsi davanti all'apparecchio sempre in una certa posizione e di chinarsi giusto sino ad un certo punto. Basterebbero un paio di centimetri di scarto, da una parte o dall'altra, e i lettori non avrebbero pane per i loro denti. Questo volgarmente si dice avere il Padreterno dalla propria parte; e a un assassino che avesse bisogno di tanto aiuto dalla Provvidenza, io consiglierei di cambiar mestiere. (La semplice arte del delitto – Gialli Garzanti – 1973).
Dunque già nel 1944 si parlava di culo, nel senso di sfortuna sfacciata, e il giallo all'inglese ha davvero attinto a questa risorsa pressoché inesauribile. E Chandler, che aveva le idee molto chiare, ridicolizzò la prassi, facendo chiaramente capire dove poteva stare una reale rappresentazione della realtà, e quindi la realizzazione di un noir, così come lo intendiamo oggidì, e dove invece si era di fronte ad un improbabile, per quanto affascinante, aggiungiamo noi (che a volte siamo di bocca buona) giochetto di società.
Perché 'sta tiritera? Perché la ristampa della prima avventura del commissario Bordelli dovuta alla penna di Marco Vichi c'ha suggerito il richiamo.
Lo scrittore fiorentino non è quel che si dice un vero e proprio scrittore di gialli (e l'intervista che gli abbiamo fatto lo conferma senza ulteriori dubbi), ma "macina" la materia in senso classico, non solo ambientando le storie in un tempo (gli anni sessanta) che, sia per conoscenze scientifiche, sia per una sorta di continuum storico, appartengono di diritto più alla golden age del mistery che alla rivoluzione dei tempi nostri, ma, intendiamo noi, per una sorta di legame quasi affettivo alle atmosfere e alle ricostruzioni.
Perché il fascino delle storie di Vichi,sembra un paradosso ma vi assicuro che non lo è, non sta nell'intreccio giallo (che non è mai però artefatto come nell'artificialità schernita da Chandler) e nella sua soluzione (in questo caso l'evento è davvero banale) quanto nel restauro di un mondo.
Una ventina di anni fa uscì per Mondadori un mistery L'estate nera di Remo Guerrini. Era un bel romanzo, sapientemente costruito e furbescamente ambientato nei "mitici" anni sessanta. Lo scrittore, in quel caso, per rendere credibile il costrutto, si "appoggiò" alla merceologia dei tempi perché la veridicità fosse l'arma vincente. Il tentativo gli riuscì, e bene pure.
Vichi fa a meno anche del richiamo storico: gli bastano dei minimi riferimenti, un abbozzo appena delineato, per ottenere il salto nel tempo. E il lettore non fa fatica ad immergersi in un setting che non è il suo, ma che non fa fatica a riconoscere ed individuare.
Insomma Vichi è quel che si dice uno scrittore vero, a cui basta una pennellata anche di straforo per delineare il paesaggio.
Qualcuno obietterà: ma se il giallo è solo una copertura, smettesse di scrivere mistery e si dedicasse ad altro. Non sono di questo avviso: le storie del Commissario Bordelli, molto simenoniano nella sua malinconico aplomb, si leggono anche per una sorta di archeologia del genere. Come buttarsi a capofitto nell'ennesima avventura del Commissario De Vincenti, del compianto Augusto De Angelis. Io personalmente non ci rinuncerei.
di Alfredo Ronci
Dunque già nel 1944 si parlava di culo, nel senso di sfortuna sfacciata, e il giallo all'inglese ha davvero attinto a questa risorsa pressoché inesauribile. E Chandler, che aveva le idee molto chiare, ridicolizzò la prassi, facendo chiaramente capire dove poteva stare una reale rappresentazione della realtà, e quindi la realizzazione di un noir, così come lo intendiamo oggidì, e dove invece si era di fronte ad un improbabile, per quanto affascinante, aggiungiamo noi (che a volte siamo di bocca buona) giochetto di società.
Perché 'sta tiritera? Perché la ristampa della prima avventura del commissario Bordelli dovuta alla penna di Marco Vichi c'ha suggerito il richiamo.
Lo scrittore fiorentino non è quel che si dice un vero e proprio scrittore di gialli (e l'intervista che gli abbiamo fatto lo conferma senza ulteriori dubbi), ma "macina" la materia in senso classico, non solo ambientando le storie in un tempo (gli anni sessanta) che, sia per conoscenze scientifiche, sia per una sorta di continuum storico, appartengono di diritto più alla golden age del mistery che alla rivoluzione dei tempi nostri, ma, intendiamo noi, per una sorta di legame quasi affettivo alle atmosfere e alle ricostruzioni.
Perché il fascino delle storie di Vichi,sembra un paradosso ma vi assicuro che non lo è, non sta nell'intreccio giallo (che non è mai però artefatto come nell'artificialità schernita da Chandler) e nella sua soluzione (in questo caso l'evento è davvero banale) quanto nel restauro di un mondo.
Una ventina di anni fa uscì per Mondadori un mistery L'estate nera di Remo Guerrini. Era un bel romanzo, sapientemente costruito e furbescamente ambientato nei "mitici" anni sessanta. Lo scrittore, in quel caso, per rendere credibile il costrutto, si "appoggiò" alla merceologia dei tempi perché la veridicità fosse l'arma vincente. Il tentativo gli riuscì, e bene pure.
Vichi fa a meno anche del richiamo storico: gli bastano dei minimi riferimenti, un abbozzo appena delineato, per ottenere il salto nel tempo. E il lettore non fa fatica ad immergersi in un setting che non è il suo, ma che non fa fatica a riconoscere ed individuare.
Insomma Vichi è quel che si dice uno scrittore vero, a cui basta una pennellata anche di straforo per delineare il paesaggio.
Qualcuno obietterà: ma se il giallo è solo una copertura, smettesse di scrivere mistery e si dedicasse ad altro. Non sono di questo avviso: le storie del Commissario Bordelli, molto simenoniano nella sua malinconico aplomb, si leggono anche per una sorta di archeologia del genere. Come buttarsi a capofitto nell'ennesima avventura del Commissario De Vincenti, del compianto Augusto De Angelis. Io personalmente non ci rinuncerei.
di Alfredo Ronci
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