RACCONTI
Daniele De Serto
Il Sorcio
Lo sapevo che era veleno. Lo sapevo. Somigliava troppo al campione esaminato al nascondiglio l'altra settimana. Il fatto è che con quell'odore un po' vanigliato e quella forma così appetitosa non ho resistito. Che idiota. Oddio i sintomi sono proprio quelli che ci avevano illustrato: senso di soffocamento, necessità di bere, perdita dell'orientamento. So pure chi l'ha piazzato questo maledetto bocconcino. E' stato il tipo del piano terra. Quel bestione con le braccia pelose e gli occhi cavernosi. Fino a qualche mese fa viveva con la moglie, una donna bella ed elegante. Ora lei non c'è più, la polizia è venuta parecchie volte a fare domande. Comunque è lui che ho sentito reclamare con gli altri del condominio perché voleva la derattizzazione o altrimenti, minacciava, avrebbe fatto denuncia all'ASL. Già quest'estate aveva sistemato in giro un paio di bustine di veleno. Ci aveva lasciato le penne uno dei nostri quella volta. Da quel giorno nessuno c'era più cascato però: al nascondiglio abbiamo imparato a riconoscere il Bromadiolone e altre sostanze simili che ti fottono la vitamina K. Quella merda impedisce al sangue di coagularsi e sei spacciato. Questa è roba nuova però. Sarà quel Murdex o come diavolo si chiama di cui era rimbalzata voce tempo fa dall'altra parte di Roma, si parlava di emorragie interne quindi non si scherza. Che sete. Devo bere qualcosa poi corro ad avvisare gli altri, almeno sarà una morte eroica. Sempre che ritrovi la strada. L'istinto di conservazione che dice? Dovrebbe intervenire adesso, guidarmi nella direzione giusta, suggerirmi qualche preghiera perlomeno. Non ricordo se ci sono già passato di qui. Ah sì, questa è la grondaia da cui si vede tutto il Quadraro. E' bellissimo da quassù, ha una luce scabra e sembra un villaggio di altri tempi, con quei recinti improvvisati e le costruzioni che sembrano abbracciarsi l'una con l'altra. Mi fermerei ad ammirare il paesaggio se non avessi tutte queste briciole nello stomaco che stanno prendendo fuoco. Mi fanno pensare alle scintille impazzite delle smerigliatrici per acciaio, quelle per cui devi indossare una mascherina protettiva. Ne ho visto maneggiare una proprio il giorno in cui è scomparsa la tipa del piano terra. Ce l'avevano i due operai che stavano lavorando alla scala esterna, quella che dal cortile conduce alla terrazza dove alloggiamo noi segretamente, dove c'è il nascondiglio. Mi sono messo a curiosare attirato dalla cascata di goccioline fiammeggianti. Era un vero spettacolo. La scala la facevano a fette e poi risaldavano i pioli a loro piacimento. Ammetto di essere stato imprudente ma non ho potuto fare a meno di avvicinarmi. E' allora che li ho sentiti fare commenti sulla tipa. In realtà più che commentare era come se organizzassero una specie di piano, dicevano che gli ordini del marito erano cambiati e che il corpo andava trasportato da un'altra parte. Parlavano anche di divertirsi un po' prima di fare il lavoro.
Poi sono passati all'azione.
Io li ho seguiti quando sono scesi giù e l'hanno gettata a terra.
A turno si abbassavano su di lei e si muovevano come se la dovessero asfissiare con i loro corpaccioni, tenendole sempre una mano premuta sulla bocca. Io ho visto tutto. E lei vedeva me. Il suo viso spuntava oltre le loro schiene chiazzate di sudore e mi guardava con gli occhi smorti. Smorti ma carezzevoli. Non le facevo schifo. Credo sia stata la prima donna cui non ho fatto schifo. Mi ha guardato per tutto il tempo in cui la sopraffacevano con quelle pance sudice. Ogni tanto il suo sguardo si perdeva, inghiottito, quasi non ci fosse più nulla di tangibile nella stanza, figuriamoci un soggetto di pochi centimetri, poi riemergeva e mi cercava, come un naufrago cerca un ramo a cui aggrapparsi. Alla fine uno di loro si è alzato, ha riacceso quell'arnese dal rumore infernale e io sono scappato.
Chissà perché mi torna in mente proprio ora che non sento più le forze. Faccio fatica a prendere fiato, è come se mi avessero svuotato un sacco di sabbia nel petto. Qualcosa mi dice che non ci arrivo al nascondiglio. Ad ogni modo, la verità è che io non l'ho mai dimenticato quel suo sguardo, né la pena del suo respiro. Forse potrei rincontrarla adesso, dubito che mi lascerebbe salire sulle sue gambe ma sarebbe bello lo stesso.
Daniele De Serto è nato a Roma nel 1974. Ha pubblicato racconti su 'Linus', 'FaM', 'Daemon Magazine' e 'Beautiful Freaks'. Ha scritto anche un romanzo ma da qualche tempo finge che non sia suo.
Poi sono passati all'azione.
Io li ho seguiti quando sono scesi giù e l'hanno gettata a terra.
A turno si abbassavano su di lei e si muovevano come se la dovessero asfissiare con i loro corpaccioni, tenendole sempre una mano premuta sulla bocca. Io ho visto tutto. E lei vedeva me. Il suo viso spuntava oltre le loro schiene chiazzate di sudore e mi guardava con gli occhi smorti. Smorti ma carezzevoli. Non le facevo schifo. Credo sia stata la prima donna cui non ho fatto schifo. Mi ha guardato per tutto il tempo in cui la sopraffacevano con quelle pance sudice. Ogni tanto il suo sguardo si perdeva, inghiottito, quasi non ci fosse più nulla di tangibile nella stanza, figuriamoci un soggetto di pochi centimetri, poi riemergeva e mi cercava, come un naufrago cerca un ramo a cui aggrapparsi. Alla fine uno di loro si è alzato, ha riacceso quell'arnese dal rumore infernale e io sono scappato.
Chissà perché mi torna in mente proprio ora che non sento più le forze. Faccio fatica a prendere fiato, è come se mi avessero svuotato un sacco di sabbia nel petto. Qualcosa mi dice che non ci arrivo al nascondiglio. Ad ogni modo, la verità è che io non l'ho mai dimenticato quel suo sguardo, né la pena del suo respiro. Forse potrei rincontrarla adesso, dubito che mi lascerebbe salire sulle sue gambe ma sarebbe bello lo stesso.
Daniele De Serto è nato a Roma nel 1974. Ha pubblicato racconti su 'Linus', 'FaM', 'Daemon Magazine' e 'Beautiful Freaks'. Ha scritto anche un romanzo ma da qualche tempo finge che non sia suo.
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