RECENSIONI
Gianluca Wayne Palazzo
Il contrario di tutto
Voras edizioni, Pag. 128 Euro 12,00
Opera prima dello scrittore modenese Gianluca Wayne Palazzo, romano d'adozione, Il contrario di tutto, è una sorta di (vaga) variazione sul tema di Lolita di Nabokov: la storia è quella di un professore di Liceo che prende e si innamora di una delle sue allieve, ma va con un'altra, e poi con la madre di lei. Naturalmente, si ritrova nei guai. Niente leggerezza, niente allegorie e niente romanticismo: rispetto al paradigma russo, non c'è nessuna intenzione d'essere evocativi o drammatici; Palazzo punta alla descrizione nuda e cruda di tutto quel che succede, sprofondando in un iper-realismo che inchioda il lettore all'accettazione delle bassezze del protagonista – un uomo di Lettere senza nessuna etica – e delle tristi conseguenze delle relazioni sbagliate: sulla sua vita, su quella della ragazzina e sul morale dei suoi allievi. L'ambientazione romana, contemporanea, non è essenziale – c'è, anzi, qualche leggerezza riferita ai posti scelti per frequentarsi, che più centrali non si può, che dimostra che l'Eterna non aveva niente a che fare con l'ispirazione dell'autore; Roma è funzionale, letargica e negligente di tutto, provincialotta e violenta (figuriamoci). Potrebbe essere qualsiasi cittadina di provincia italiana, non cambierebbe niente. Magari ci sarebbe più risalto sulla stampa locale.
Palazzo dimostra di essere un buon dialogista; c'è qualche scivolone negli americanismi d'accatto ("dannatamente", "fottuto" e via dicendo) derivati probabilmente dalla confidenza col cinema yankee mal tradotto in italiano. Lo scrittore modenese è più vicino ai vecchi romanzi scandalistici d'appendice che alla letteratura pura; fatte le debite proporzioni, il clima culturale del nostro tempo tollera con più facilità certe descrizioni erotiche rispetto al secolo scorso, ma il desiderio di entrare in uno scandalo e quello scandalo raccontare è lo stesso. Guido da Verona insegna ("Sciogli la treccia, Maria Maddalena"). In Palazzo c'è un'embrionale denuncia della mediocrità dell'istituzione scolastica statale, ben rappresentata dai velleitari lamenti di un giovane allievo sensibile e coraggioso, e molto lucido nell'osservare lo stato delle cose. Tutto il resto è un precipizio: un precipizio nella psiche di un protagonista umanamente mediocre e cosciente della propria mediocrità, alle spalle qualche ambizione letteraria sepolta con i vent'anni, e una caduta libera nella superficialità della ragazzina, Priscilla, con cui s'accoppia; la sua nullità intellettuale e spirituale è resa con credibilità ed efficacia. E così quella di sua madre. Sono donne-oggetto.
L'incipit del romanzo spiega già molto della psiche del professore: Questo era ciò di cui si trattava: che per tutto il tempo aveva voluto essere qualcuno, e invece non era nessuno. Che sapeva inventare scorciatoie per fare le cose più in fretta e meglio degli altri, e invece le faceva solo più in fretta. Che alla fine era bravo, ma non lo era abbastanza (pag. 9). Le sue letture – scolastiche, e chiaramente americane: Hemingway, Fante, Steinbeck, Miller – contribuiscono a scolpire un personaggio culturalmente non impreparato, ma condannato alla fedeltà a ciò che era fico quando suo padre era giovane; lui ha trentacinque anni, ma non sembra essere penetrato nello Zeitgeist della sua società. Non riesce a dialogare con gli allievi, e non riesce a impedire alla storiella con Priscilla di rovinare la sua esistenza. Sembra vagamente in cerca di autodistruzione, come un serial killer; e naturalmente non si ferma. Respira male, quando le cose peggiorano, ma non si spaventa e non s'angoscia; lascia che sia. Qualche emicrania non dipinge un malessere profondo; racconta soltanto d'un piccolo crac ai nervi.
Il contrario di tutto (titolo di lavorazione: La mia merda profuma, racconta il buon Morozzi nella prefazione. Capirete perché nelle ultime battute) è una discreta opera prima, che lascia intravedere ampi margini di miglioramento a condizione di spurgare linguistamente l'italiano dalle espressioni kitsch americane, e di scavare con maggiore profondità nei personaggi. La capacità di accettare il male, e di osservarlo, è molto promettente; e così quella di scolpire personaggi mediocri, comuni e bassi. L'aspetto sicuramente vincente della scrittura di Palazzo è quello dei dialoghi. Cercando sue notizie biografiche in rete, scoprirete che lavora come sceneggiatore Tv e non solo; probabile che quel mestiere possa dargli fortuna. Per la grande letteratura (italiana) c'è tempo.
di Gianfranco Franchi
Palazzo dimostra di essere un buon dialogista; c'è qualche scivolone negli americanismi d'accatto ("dannatamente", "fottuto" e via dicendo) derivati probabilmente dalla confidenza col cinema yankee mal tradotto in italiano. Lo scrittore modenese è più vicino ai vecchi romanzi scandalistici d'appendice che alla letteratura pura; fatte le debite proporzioni, il clima culturale del nostro tempo tollera con più facilità certe descrizioni erotiche rispetto al secolo scorso, ma il desiderio di entrare in uno scandalo e quello scandalo raccontare è lo stesso. Guido da Verona insegna ("Sciogli la treccia, Maria Maddalena"). In Palazzo c'è un'embrionale denuncia della mediocrità dell'istituzione scolastica statale, ben rappresentata dai velleitari lamenti di un giovane allievo sensibile e coraggioso, e molto lucido nell'osservare lo stato delle cose. Tutto il resto è un precipizio: un precipizio nella psiche di un protagonista umanamente mediocre e cosciente della propria mediocrità, alle spalle qualche ambizione letteraria sepolta con i vent'anni, e una caduta libera nella superficialità della ragazzina, Priscilla, con cui s'accoppia; la sua nullità intellettuale e spirituale è resa con credibilità ed efficacia. E così quella di sua madre. Sono donne-oggetto.
L'incipit del romanzo spiega già molto della psiche del professore: Questo era ciò di cui si trattava: che per tutto il tempo aveva voluto essere qualcuno, e invece non era nessuno. Che sapeva inventare scorciatoie per fare le cose più in fretta e meglio degli altri, e invece le faceva solo più in fretta. Che alla fine era bravo, ma non lo era abbastanza (pag. 9). Le sue letture – scolastiche, e chiaramente americane: Hemingway, Fante, Steinbeck, Miller – contribuiscono a scolpire un personaggio culturalmente non impreparato, ma condannato alla fedeltà a ciò che era fico quando suo padre era giovane; lui ha trentacinque anni, ma non sembra essere penetrato nello Zeitgeist della sua società. Non riesce a dialogare con gli allievi, e non riesce a impedire alla storiella con Priscilla di rovinare la sua esistenza. Sembra vagamente in cerca di autodistruzione, come un serial killer; e naturalmente non si ferma. Respira male, quando le cose peggiorano, ma non si spaventa e non s'angoscia; lascia che sia. Qualche emicrania non dipinge un malessere profondo; racconta soltanto d'un piccolo crac ai nervi.
Il contrario di tutto (titolo di lavorazione: La mia merda profuma, racconta il buon Morozzi nella prefazione. Capirete perché nelle ultime battute) è una discreta opera prima, che lascia intravedere ampi margini di miglioramento a condizione di spurgare linguistamente l'italiano dalle espressioni kitsch americane, e di scavare con maggiore profondità nei personaggi. La capacità di accettare il male, e di osservarlo, è molto promettente; e così quella di scolpire personaggi mediocri, comuni e bassi. L'aspetto sicuramente vincente della scrittura di Palazzo è quello dei dialoghi. Cercando sue notizie biografiche in rete, scoprirete che lavora come sceneggiatore Tv e non solo; probabile che quel mestiere possa dargli fortuna. Per la grande letteratura (italiana) c'è tempo.
di Gianfranco Franchi
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