RECENSIONI
Lisbeth Zwerger
Il pifferaio di Hamelin (ill.)
Nord-Sud Edizioni, Pag. 24 Euro 12,00
La più misteriosa delle fiabe dei fratelli Grimm è Il pifferaio di Hamelin. Misteriosa perché un'allusione costante insinua il dubbio che questa fiaba sia piuttosto reale. Il racconto principia, anziché nell'indistinto del c'era una volta, in un tempo dato e certo. Un'indicazione precisa e romanzesca ci informa che il tutto ebbe inizio il 26 giugno del 1284, giorno di San Giovanni e Paolo.
Piero Chiara avvertiva che non c'è stratagemma teologico più efficace per convincere il lettore che una storia è avvenuta, e quindi può sempre avvenire, che denunciare subito luogo e tempo dei fatti narrati: lo dimostra Manzoni, continuava Chiara, e tanto basta.
C'è questo villaggio. È infestato dai topi. Come dire che c'è la peste e che, quindi, secondo Camus viene data con piena grazia la possibilità di una rivelazione collettiva sul senso della vita. Ad assecondare Camus, voglio insinuare di passaggio, c'è un'intera tradizione di animali minuti e striscianti che ci visitano nei sogni con finalità quotidianamente apocalittiche. I vecchi e i maggiorenti del villaggio vengono presi dalla solita nostrale foga di disinfestazione. Siamo dotati di questo mito: poter distruggere tutto. In verità siamo incapaci di fare del male come di fare del bene, dice Socrate, e infatti le nostre bombolette avvelenano l'aria, questo sì, ma quanto allo scopo prefisso riescono a malapena a far spostare di luogo l'infestatore. Il pifferaio incantatore, comunque, convince i vecchi che i topi sono spariti, e, ora, vuole il suo. Ma i vecchi sono vecchi, e sono maggiorenti: non si arriva tanto in alto senza avere imparato prima a strisciare molto in basso: decidono di non pagare il loro debito col musicista. Questi, allora, fa quello che deve fare: prende il piffero, lo suona, e si porta via tutti i bambini della città.
Questa storia è realmente accaduta: quanti ragazzi, e quante volte, sono stati spediti a morire in guerre che non erano le loro? Forse questa è la storia che riassume tutte le crociate al Santo Sepolcro. Ma i ragazzi vengono mandati a morire anche quando non c'è la guerra: vengono mandati a morire al nastro di una fabbrica o dietro la scrivania di un ministero, nella competizione quotidiana per qualcosa che rimane pur sempre una guerra non loro. Forse i ragazzi muoiono nei vecchi maggiorenti, e la storia racconta di una miracolosa allucinazione che ha offerto la possibilità ai banchieri, ai sindaci e ai consiglieri comunali, ai vescovi e agli scrittori laureati di un luogo qualsiasi della nostra terra di vedere con lucidità come sono diventati dei topi e come hanno smarrito i ragazzi che erano.
Questa è una storia che non può essere finita di leggere. E ora La Nord-Sud ci offre l'occasione di leggerla ancora attraverso le illustrazioni di Lisbeth Zwerger. E c'è il rischio che il suo pifferaio sarà a lungo il Pifferaio. È come raccontare un sogno dal punto di vista del sogno. Ognuna delle sue pagine fotografa l'allucinazione fredda dell'incantesimo in tutte le sue declinazioni: il cittadino che viene assalito da un panico a cui dà le veste del topo nel chiuso di una casa che perde tutti i connotati casalinghi, e in cui fa breccia, dalla croce di una finestra, il bianco assoluto della luce. E questa luce bianca e velenosa che dai santi del paganesimo fino a i martiri della psichedelia è stata provata con tanto dolore, torna in tutte le tavole, e sospende i cittadini fra stupore e paura, li costringe a fare attenzione a dove mettono i piedi, a camminare con prudenza, riflettendo (forse per la prima volta in vita loro), finché non compare il pifferaio, l'unico personaggio tanto più concreto tanto più fisiognomicamente alieno. La luce scompare. I cittadini devono mercanteggiare con il buio. E con il buio non si vince.
di Pier Paolo Di Mino
Piero Chiara avvertiva che non c'è stratagemma teologico più efficace per convincere il lettore che una storia è avvenuta, e quindi può sempre avvenire, che denunciare subito luogo e tempo dei fatti narrati: lo dimostra Manzoni, continuava Chiara, e tanto basta.
C'è questo villaggio. È infestato dai topi. Come dire che c'è la peste e che, quindi, secondo Camus viene data con piena grazia la possibilità di una rivelazione collettiva sul senso della vita. Ad assecondare Camus, voglio insinuare di passaggio, c'è un'intera tradizione di animali minuti e striscianti che ci visitano nei sogni con finalità quotidianamente apocalittiche. I vecchi e i maggiorenti del villaggio vengono presi dalla solita nostrale foga di disinfestazione. Siamo dotati di questo mito: poter distruggere tutto. In verità siamo incapaci di fare del male come di fare del bene, dice Socrate, e infatti le nostre bombolette avvelenano l'aria, questo sì, ma quanto allo scopo prefisso riescono a malapena a far spostare di luogo l'infestatore. Il pifferaio incantatore, comunque, convince i vecchi che i topi sono spariti, e, ora, vuole il suo. Ma i vecchi sono vecchi, e sono maggiorenti: non si arriva tanto in alto senza avere imparato prima a strisciare molto in basso: decidono di non pagare il loro debito col musicista. Questi, allora, fa quello che deve fare: prende il piffero, lo suona, e si porta via tutti i bambini della città.
Questa storia è realmente accaduta: quanti ragazzi, e quante volte, sono stati spediti a morire in guerre che non erano le loro? Forse questa è la storia che riassume tutte le crociate al Santo Sepolcro. Ma i ragazzi vengono mandati a morire anche quando non c'è la guerra: vengono mandati a morire al nastro di una fabbrica o dietro la scrivania di un ministero, nella competizione quotidiana per qualcosa che rimane pur sempre una guerra non loro. Forse i ragazzi muoiono nei vecchi maggiorenti, e la storia racconta di una miracolosa allucinazione che ha offerto la possibilità ai banchieri, ai sindaci e ai consiglieri comunali, ai vescovi e agli scrittori laureati di un luogo qualsiasi della nostra terra di vedere con lucidità come sono diventati dei topi e come hanno smarrito i ragazzi che erano.
Questa è una storia che non può essere finita di leggere. E ora La Nord-Sud ci offre l'occasione di leggerla ancora attraverso le illustrazioni di Lisbeth Zwerger. E c'è il rischio che il suo pifferaio sarà a lungo il Pifferaio. È come raccontare un sogno dal punto di vista del sogno. Ognuna delle sue pagine fotografa l'allucinazione fredda dell'incantesimo in tutte le sue declinazioni: il cittadino che viene assalito da un panico a cui dà le veste del topo nel chiuso di una casa che perde tutti i connotati casalinghi, e in cui fa breccia, dalla croce di una finestra, il bianco assoluto della luce. E questa luce bianca e velenosa che dai santi del paganesimo fino a i martiri della psichedelia è stata provata con tanto dolore, torna in tutte le tavole, e sospende i cittadini fra stupore e paura, li costringe a fare attenzione a dove mettono i piedi, a camminare con prudenza, riflettendo (forse per la prima volta in vita loro), finché non compare il pifferaio, l'unico personaggio tanto più concreto tanto più fisiognomicamente alieno. La luce scompare. I cittadini devono mercanteggiare con il buio. E con il buio non si vince.
di Pier Paolo Di Mino
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