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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Sergio Zavoli

Il ragazzo che io fui

Mondadori , Pag. 261 Euro 18,50
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In esergo non vi è una citazione bernanosiana che l'autore utilizza a pagina 81 (Ho visto tanti morti nella mia vita, ma più morto di tutti è il ragazzo che io fui) e che rappresenta una sorta di confronto con la morte (o una scommessa), ma una dedica a suo nipote Andrea. Sì perché il libro è dedicato al ragazzo, ma è soprattutto uno scrigno di esperienze di valore – non un testamento involontario, credo – che racchiude però il senso di una memoria da conservare, prima che un diario dell'anima e della consanguineità.

D'altronde proprio sulla memoria Zavoli ne scrive di straordinario: Per chi teorizza questa progressiva morte del passato, vivremo sempre meno del presente e, sempre più in fretta, del futuro. Prima a patirne la memoria, resa superflua dall'insorgere irresistibile del dopo.

Potrei non dire nulla sul contenuto del libro, omaggiando allo stesso tempo la bellezza della scrittura: ma il valore intrinseco della testimonianza m'impone innanzi tutto il dovere di renderne conto.

Il ragazzo che io fui è un gioiello, ed andrebbe consigliato a quegli scrittori 'giovani' che utilizzano la cronaca per fini di mercato, a quei giovani che disconoscono ancora la storia e che credono che la strage di Piazza Fontana sia stata ordita dalle BR, a quei giovani che non vogliono distinguere la realtà dalla sua rappresentazione.

Diciamo, riguardo quest'ultimo punto, che Zavoli, non essendo storico, ma nemmeno letterato in senso stretto, ma solo un grande giornalista, sta nel mezzo: ha vissuto la storia in prima persona, la racconta come testimone, ma nello stesso tempo la reinterpreta, ma non come tradimento, ma come tentativo di completezza attraverso una lingua dal senso ritmico vertiginoso.

La prima parte del libro oso definirla una delle cose più belle ed emozionanti degli ultimi anni: l'infanzia dell'autore a Rimini, i primi studi, la scelta di fare la Resistenza, il rapporto con la famiglia. La seconda parte, forse meno coinvolgente perché più legata alle esperienza di lavoro, l'attività di giornalista, soprattutto per la RAI e i reportage da tutto il mondo (però, prime fra tutto, le dodici puntate de La notte della Repubblica che 'costrinse' gli italiani, forse per l'ultima volta, a confrontarsi con la faccia vera – perché dei protagonisti – del terrorismo degli anni di piombo).

Inserisco a metà strada tra i ricordi personali e quelli professionali, un ritratto che Zavoli fa di Federico Fellini. Basterebbe quel capitolo a giustificare l'acquisto del libro. L'autore ci fa una 'fotografia' commovente dell'uomo che ha regalato a questo paese smorto, il potere suggestivo ed incommensurabile dell'immaginazione (altro che l'immaginazione al potere, slogan efficace ma un tantino sprecato del '68). Ritratto che se vogliamo è distinto dall'amicizia che legava i due uomini: è solo una lezione di stile, un raffinato schiudersi verso realtà differenti (Zavoli così prosaico, Fellini così 'immaginifico'), un esempio di leggerezza letteraria (e mica c'è solo Calvino, accidenti!), un piccolo capolavoro nel capolavoro.

Dunque un viaggio per certi verso doloroso e meraviglioso che Zavoli ha fatto e noi, per sostanza vicaria, abbiamo apprezzato. Quasi goduto.

Zavoli è del 1923, ha quindi 89 anni. Meditate.



di Alfredo Ronci


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