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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Francisco García Pavón

Il regno di Witiza

Sellerio, Pag. 275 Euro 12,00
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Operazione nostalgia, che ogni tanto Sellerio fa soprattutto quando si tratta di giallo classico. E qui ci siamo proprio immersi, con tutte le chincaglierie di 'regime' (espressione che per fortuna uso solo io, ma che ha ormai perso l'aura dell'hapax) del caso.

Il regno di Witiza dello spagnolo Francisco García Pavón che, nell'introduzione curata da un'altra giallista – sempre in catalogo Sellerio – Alicia Giménez-Bartlett viene indicato come uno dei precursori, se non addirittura caposcuola del genere, è una sorta di carosello di vecchi luoghi comuni: intanto le donne o sono tutte mignotte, o sono vedove o stanno a casa a pulire e rammendare, altro posto non trovano. Gli uomini invece se la spassano, son mignottari, bevono, spesso sono ubriachi, svolgono praticamente tutte le mansioni lavorative, e sono i padri padroni del mondo.

Qualcuno dirà: ma questa non è un'operazione nostalgia, è vera e propria controriforma.

Piano: in fondo il romanzo di Pavón non è altro che un recupero sfizioso per palati sfiziosi. Nel senso che se si vuole avere una panoramica completa di quello che è stato il poliziesco europeo negli anni cinquanta e sessanta, è d'obbligo passare per terre spagnole. E poi è un quadro d'insieme di un'epoca che non c'è più, che non la si rimpiange, checché ne dicano tanti, e che può diventare anche oggetto di studio.

Infatti chi mai avrebbe saputo che per anni il mercato spagnolo letterario di 'genere' e di successo aveva come coppia un investigatore (Manuel Gonzalez, detto Plinio, capo della Guardia Municipale di Tomelloso) ed un veterinario (don Lotario) che anche i più sprovveduti in fatto di delitti non avrebbero nessuna difficoltà ad accomunare alla celebre coppia Holmes-Watson?

Sempre la Bartlett ci fa sapere nell'introduzione che i libri di Pavón ebbero negli anni sessanta uno straordinario successo di pubblico ma che, proprio per l'evoluzione dei tempi, furono superati (e surclassati) da nuove tematiche e soprattutto da nuovi autori (primo fra tutti Vazquez Montalban che cominciò a scrivere del suo Carvalho a metà degli anni settanta).

Va detto però che la lettura del libro è sì d'antan ma pure piacevole, addirittura con qualche guizzo stilistico e narrativo che non dispiace affatto: Il Pianolo, sulla cinquantina, era di un prognatismo esagerato. Gli sporgeva tanto la mascella che le parole sembravano uscirgli in verticale e non di fronte, come alle persone normali. (pag.208).

Rimane, come si diceva all'inizio, una mera operazione nostalgica (pure una buffa storia: un cadavere imbalsamato di un anziano che viene ritrovato in un loculo che appartiene a persona diversa e reclamato e 'riconosciuto' da un numero considerevole di persone, ma mai dalle autorità legittimate ufficialmente a reclamarlo) alla quale le si 'appioppa' anche un'etichetta di comodo: della seria 'delitti rurali'. E si scomoda anche l'atmosfera cervantiana. Vabbè son cose che si dicono, 'sti ragazzi' dei risvolti di copertina vanno pure perdonati.



di Alfredo Ronci


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