CLASSICI
Alfredo Ronci
Il ventennio delle riviste più o meno fasciste: “La letteratura nel ventennio fascista” di Giorgio Luti.
Bisogna fare un chiarimento, soprattutto per quelli, pochissimi, che avranno l’intenzione di leggere un volume così denso di informazioni e molto appropriato: anche se il titolo non lo dice, il libro non parla di autori e delle loro opere, ma tratta solo delle riviste letterarie che nel corso del ventennio, hanno avuto una loro importanza e anche un loro successo. Francamente è l’unico appunto che può essere fatto all’opera, opera tra l’altro realizzata da uno dei più concreti e abili critici della nostra letteratura. Ma forse siamo solo noi a pretendere situazioni che dal punto di vista editoriale forse hanno meno significato .
Dunque solo riviste, che considerando il periodo (a volte erano anche soppresse manu militari, altre sopravvivevano fra mille incertezze e altre invece totalmente asservite e oggi anche del tutto dimenticate) comunque tentavano di adempiere ad un ruolo ben definito.
Gli autori c’erano, altro che, ma decidere quale fosse quello che in qualche modo si staccava dal branco, e quello invece che era asservito totalmente, o quasi, non sempre è stato facile determinarlo. Diciamo che, almeno quando il fascismo era totalmente in auge, la stragrande maggioranza degli autori, chi più chi meno, s’aggiravo intorno a certe riviste, anche se non propriamente aderenti allo spirito di regime.
C’erano quindi riviste molto più vicine agli ideali fascisti (A mio parere La Ronda assume una funzione restaurativa non trascurabile… In altre parole, alla rottura futuristica ormai in fase calante… si contrappone l’attendismo rondiano, che esprime abbastanza chiaramente la volontà dui ricostruire un ordine e un equilibrio di alta marca borghese.) ad altre che invece proponevano un’aperura al pensiero europeo contemporaneo (L’europeismo del Baretti è il primo sintomo della revisione che si determina in opposizione al fascismo, è la prima testimonianza della libertà italiana che si mantiene e si afferma come espressione di una cultura che non è disposta a piegarsi).
Ci furono anche riviste dignitose, come Campo di Marte a Firenze o Corrente a Milano, per non parlare della povera Solaria (che non superò mai la tiratura di 700 copie). Ma non possiamo nemmeno non ricordare la promiscua e fascistica Frontespizio che se la prendeva con la letteratura teofallica, cristiano-bolscevica, pagano-yoga del resto del mondo.
Ma al di là di certi schemi, e anche di certe pressioni, la rivista che più di altre ha attirato l’attenzione di Giorgio Luti è Primato, diretta da Giuseppe Bottai. Bottai aveva già sottolineato la crisi del fascismo nel passaggio dalla fase rivoluzionaria a quella organizzativa, ma non era andato oltre certi schemi ben delineati. E ai collaboratori si affidava il compito di avvicinare gli ambienti intellettuali più tetragoni al fascismo e di operare una sorta d riavvicinamento o freno nei casi di soluzione più difficile. Non è un caso che tra le righe di Primato si leggevano autori come Gatto, Sereni, Luzi per la poesia e Bilenchi, Pavese e Gadda tra i prosatori.
Una delle ultime cose che la rivista propose, prima di scomparire anch’essa nell’immediata guerra, era stato l’incontro con le correnti della fronda giovanile che operano nei giornali provinciali tramite i GUF (gruppi universitari fascisti) e di certe risultanze della svolta a sinistra della gioventù universitaria fascista.
Non solo, vi furono all’interno di essa interventi di chiara polemica antinazista (portate avanti quasi tutte da Giaime Pintor) che la rivista avallerà non senza esitazioni. Per non parlare dell’accusa di eresia dovuta alla firma di un altro articolo, sempre di Giaime Pintor, e precisamente Commento ad un soldato tedesco, che portò Primato ad apparire come un vero e proprio pericolo alla sicurezza dello Stato.
Lo abbiamo già detto, quasi mai nel testo in questione, si parla di un’opera in particolare; ci sono sì delle eccezioni (tipo il confrontare le dinamiche di un Tozzi o di uno Svevo con i personaggi del romanzo di Moravia, Gli indifferenti), ma nella quasi totalità delle situazioni è l’indicazione calzante di un testo, più che un romanzo, a determinare l’interesse del latore.
In ogni caso La letteratura nel ventennio fascista è un interessante diario (sì mi piace chiamarlo così, perché vediamo nell’autore una necessità quasi scolastica di indicarci le varie strade) della situazione editoriale del ventennio. Che al di là di certe situazioni di circostanza e di certe prese di posizioni che sembravano dare l’avvio a situazioni del tutto insperate, conferma l’assoluta incapacità del fascismo (e non poteva essere diversamente) di saper colloquiare con una parte della società che forse avrebbe potuto dare un contributo diverso (non crediamo accettativo, però).
L’edizione da noi considerata è:
Giorgio Luti
La letteratura nel ventennio fascista
La Nuova Italia editrice
Dunque solo riviste, che considerando il periodo (a volte erano anche soppresse manu militari, altre sopravvivevano fra mille incertezze e altre invece totalmente asservite e oggi anche del tutto dimenticate) comunque tentavano di adempiere ad un ruolo ben definito.
Gli autori c’erano, altro che, ma decidere quale fosse quello che in qualche modo si staccava dal branco, e quello invece che era asservito totalmente, o quasi, non sempre è stato facile determinarlo. Diciamo che, almeno quando il fascismo era totalmente in auge, la stragrande maggioranza degli autori, chi più chi meno, s’aggiravo intorno a certe riviste, anche se non propriamente aderenti allo spirito di regime.
C’erano quindi riviste molto più vicine agli ideali fascisti (A mio parere La Ronda assume una funzione restaurativa non trascurabile… In altre parole, alla rottura futuristica ormai in fase calante… si contrappone l’attendismo rondiano, che esprime abbastanza chiaramente la volontà dui ricostruire un ordine e un equilibrio di alta marca borghese.) ad altre che invece proponevano un’aperura al pensiero europeo contemporaneo (L’europeismo del Baretti è il primo sintomo della revisione che si determina in opposizione al fascismo, è la prima testimonianza della libertà italiana che si mantiene e si afferma come espressione di una cultura che non è disposta a piegarsi).
Ci furono anche riviste dignitose, come Campo di Marte a Firenze o Corrente a Milano, per non parlare della povera Solaria (che non superò mai la tiratura di 700 copie). Ma non possiamo nemmeno non ricordare la promiscua e fascistica Frontespizio che se la prendeva con la letteratura teofallica, cristiano-bolscevica, pagano-yoga del resto del mondo.
Ma al di là di certi schemi, e anche di certe pressioni, la rivista che più di altre ha attirato l’attenzione di Giorgio Luti è Primato, diretta da Giuseppe Bottai. Bottai aveva già sottolineato la crisi del fascismo nel passaggio dalla fase rivoluzionaria a quella organizzativa, ma non era andato oltre certi schemi ben delineati. E ai collaboratori si affidava il compito di avvicinare gli ambienti intellettuali più tetragoni al fascismo e di operare una sorta d riavvicinamento o freno nei casi di soluzione più difficile. Non è un caso che tra le righe di Primato si leggevano autori come Gatto, Sereni, Luzi per la poesia e Bilenchi, Pavese e Gadda tra i prosatori.
Una delle ultime cose che la rivista propose, prima di scomparire anch’essa nell’immediata guerra, era stato l’incontro con le correnti della fronda giovanile che operano nei giornali provinciali tramite i GUF (gruppi universitari fascisti) e di certe risultanze della svolta a sinistra della gioventù universitaria fascista.
Non solo, vi furono all’interno di essa interventi di chiara polemica antinazista (portate avanti quasi tutte da Giaime Pintor) che la rivista avallerà non senza esitazioni. Per non parlare dell’accusa di eresia dovuta alla firma di un altro articolo, sempre di Giaime Pintor, e precisamente Commento ad un soldato tedesco, che portò Primato ad apparire come un vero e proprio pericolo alla sicurezza dello Stato.
Lo abbiamo già detto, quasi mai nel testo in questione, si parla di un’opera in particolare; ci sono sì delle eccezioni (tipo il confrontare le dinamiche di un Tozzi o di uno Svevo con i personaggi del romanzo di Moravia, Gli indifferenti), ma nella quasi totalità delle situazioni è l’indicazione calzante di un testo, più che un romanzo, a determinare l’interesse del latore.
In ogni caso La letteratura nel ventennio fascista è un interessante diario (sì mi piace chiamarlo così, perché vediamo nell’autore una necessità quasi scolastica di indicarci le varie strade) della situazione editoriale del ventennio. Che al di là di certe situazioni di circostanza e di certe prese di posizioni che sembravano dare l’avvio a situazioni del tutto insperate, conferma l’assoluta incapacità del fascismo (e non poteva essere diversamente) di saper colloquiare con una parte della società che forse avrebbe potuto dare un contributo diverso (non crediamo accettativo, però).
L’edizione da noi considerata è:
Giorgio Luti
La letteratura nel ventennio fascista
La Nuova Italia editrice
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