RECENSIONI
Emanuele Trevi, Mario Trevi
Invasioni controllate
Castelvecchi, Pag. 158 Euro 15,00
Em. Trevi, critico (del Manifesto, peraltro). Emme Trevi, psicologo junghiano, padre del precedente. Ce ne sarebbe per una bella pennichèlla: il figliol prodìgio che intervista papìno, tutti e due tanto buonini, come Lupo De' Lupis - o Em. Butterfly. E, in un certo senso, è anche così. Però, per fortuna, c'è l'altro senso. Il senso della vita.
Sì: Emme nasce ad Ancona nel '24. E' in odor della generazione der Pàsola, di Mario Lodi (diplomato maestro il dieci giugno del 1940), di Lorenzo Milani e Luciano Bianciardi. E cito questi, perché sono vite che conosco, e - siccome l'oroscopo non ha mai torto - qualche tratto dell'epopea di Emme ha a che fare con questa gente (e con la Pitagora, e Ugo Pirro, come rammenterò): lui e il prete Milani guetteraient des âmes, aggiustando una battuta di Malaparte - ed anzi, Emme lo farà prima come comunista (uscito dal partito nel '48 per via del catechismo di Zdanov), indi per la vita in qualità di psicologo marito di psicologa (ed Em. ogni volta che può coglie e discute i nessi o gli iati fra l'indagine della psiche e quella letteraria). Non solo: come il priore di Barbiana, anche Emme insegnerà, e cotesta passione pedagogica lega loro al maestro che fu dei piccini di Casarsa, e degli adolescenti di Ciampino, e quindi d'un paese intero e pulito - il paese del quale, con ulteriore tratto d'unione al Regista, il babbo di Em. andrà caratterizzando come il luogo ove "le cose potevano essere profondamente diverse". (p. 42) Al poeta delle Ceneri Emme tra l'altro s'affianca per una marca d'esclusione: lui in odore d'ebraismo, quello per li mal protesi nervi (e però "non c'è comunità dei diversi", ricordava Hans Meyer: un poco d'anni fa, in Francia, degli ebrei fondamentalisti pretesero di cacciare da una manifestazione sulle vittime dell'olocausto i triangoli rosa. E temo che in Israele per i froci non vi sia paradiso).
Avanti. Emme e il sor Bianciardi, a reciproca insaputa, combatteranno con il corpo italiano aggregato agli Alleati, spalleggiando polacchi e goumiers - ed entrambi trarranno profitto dalla seppur lacunosa conoscenza col sassone idioma per avvantaggiarsi e, nel loro piccolo, sveltire le operazioni di guerra. Tanto che il Nostro avrà una medaglia - una croce di ferro, vien detto: ma non le davano gli altri?
Comunque: vissuta la guerra (col padre in Affrica, affine ad alcune belle pagine di Le Clézio) Emme viene a Roma - nell'ombra, se l'avesse saputo, del reietto Pasolini - e, anche tramite il suo maestro Ernst Bernhard, ma per le mille suggestioni della città madre e mignotta, ne scopre la "rapinosa violenza tangenziale", (G. Manganelli) e il mestiere di vivere, e che lavorare stanca - lui che apprezza Pavese, e che, giovanino con le due sorelle, frequentò il liceo che die' licenza a Fenoglio (un altro che con l'inglese ebbe a che fare, e a far del bene - che fu partigiano, anche se in circostanze più drammatiche di quelle raccontate dall'intervistato). Non gli manca tuttavia l'occasione colta: frequenta allora Perilli e D'Orazio, pittori che gravitano in quell'area di contrastata rinascenza romanesca che Paola Pitagora ben descrive, e alla quale Ugo Pirro accenna, nei loro bei libretti. (*)
E qui, alla vita evenemenziale, s'innesta quella professionale - non meno ricca di similitudini e d'incontri con uomini straordinari, ma, questi ultimi, per necessità celati dal segreto che un medico dell'anima divide con un sacerdote confessore. Ricca, la vita, anche e soprattutto della dottrina junghiana: che, però, Emme sa da buon critico adattare, privo com'è di schematismi e infatuazioni, alla persona del paziente e al suo linguaggio - e, meglio, al suo indicibile. Va detto che, innanzi ai tipi selezionati dal primo allievo di Freud, e che sono parte non trascurabile della sua teoresi, Emme s'avvantaggia per la sua cospicua dimestichezza con tutti i tipi di tipi di tipi a titolo vario frequentati: tipi d'umanità, (p. 29) tipi di dilettanti geniali, (p. 42) tipi nei sogni (p. 54) e tipi di dolore (p. 71) - è il complesso di E-tìpo.
Ne viene che il racconto del Nostro, oltre a disbrigarsi sur un itinerario divulgativo - nel suo genere - del proprio sapere di tecnico, tocca e ritocca quel punto dolente e gioioso che è il rapporto analista-analizzato. Se ne colgono le sfumature più sottili, e però senza rinunciare ad aspetti che potrebbero credersi inessenziali o persino discutibili e di calavrése berguenza - corposo esempio: l'analisi terminabile e interminabile, nella sua relazione non solo co' li farmachi, la gravezza o stoltizia della patologia, ovvero la trasferibilità dell' intensione-intenzione erotica sul terapeuta-complice-compagno-amante-genitore, bensì pure con le possibilità economiche e psicofisiche del convenuto - sicché si censura senza polemiche il biologo della psiche, che voleva i suoi casi a rapporto da lui cinque volte a settimana.
Ecco: tante ne ho dette, e tante ce ne son da dire, di questo libro-conversazione, che rammenta quello di Tiziano Terzani col figliolo, che tanta e giusta fama ha avuto. Però, in filigrana a queste pagine così calibrate, io continuo a scorgere una trama che me le rende estranee - aliene? E vorrei dipanarla in breve con una storiella amena, che riadatto dal vero: un giorno mi capitò, in un gruppo di universitari, di uscirmene, in pretta vena popolaresca, con la frase: "Mio nonno, ch'era più vecchio di me..." - ironica constatazione di saggezza in un ambiente, come il mio plebeo, ove l'anzianità fa grado. Lo squillo d'una vocìna s'alzò, dopo una risatella imbarazzata, a ricordare: "Beh, certo che tuo nonno è più vecchio di te. E' ovvio, no?". Era la voce di una laureanda in psicologia. Ora: la laureanda-squillo avrebbe dovuto capire de' psicotici, e non capiva un gioco di parole. Un giorno, delle vite umane sarebbero state nelle sue mani, in virtù d'una laurea, d'un apprendistato, d'un esame statale, di quant'altro. E non sapeva distinguere ciò che può venire da una differenza di classe, di valori o di mentalità, da ciò che verrebbe, semmai, da più grave alterazione.
Tuttavia, ammettiamolo: Emme - almeno - è marxista.
Ma in quale vita?
*) nell'ordine: Fiato d'artista, Sellerio, Palermo 2001; Soltanto un nome nei titoli di testa, Einaudi, Torino 1998.
di Marco Lanzòl
Sì: Emme nasce ad Ancona nel '24. E' in odor della generazione der Pàsola, di Mario Lodi (diplomato maestro il dieci giugno del 1940), di Lorenzo Milani e Luciano Bianciardi. E cito questi, perché sono vite che conosco, e - siccome l'oroscopo non ha mai torto - qualche tratto dell'epopea di Emme ha a che fare con questa gente (e con la Pitagora, e Ugo Pirro, come rammenterò): lui e il prete Milani guetteraient des âmes, aggiustando una battuta di Malaparte - ed anzi, Emme lo farà prima come comunista (uscito dal partito nel '48 per via del catechismo di Zdanov), indi per la vita in qualità di psicologo marito di psicologa (ed Em. ogni volta che può coglie e discute i nessi o gli iati fra l'indagine della psiche e quella letteraria). Non solo: come il priore di Barbiana, anche Emme insegnerà, e cotesta passione pedagogica lega loro al maestro che fu dei piccini di Casarsa, e degli adolescenti di Ciampino, e quindi d'un paese intero e pulito - il paese del quale, con ulteriore tratto d'unione al Regista, il babbo di Em. andrà caratterizzando come il luogo ove "le cose potevano essere profondamente diverse". (p. 42) Al poeta delle Ceneri Emme tra l'altro s'affianca per una marca d'esclusione: lui in odore d'ebraismo, quello per li mal protesi nervi (e però "non c'è comunità dei diversi", ricordava Hans Meyer: un poco d'anni fa, in Francia, degli ebrei fondamentalisti pretesero di cacciare da una manifestazione sulle vittime dell'olocausto i triangoli rosa. E temo che in Israele per i froci non vi sia paradiso).
Avanti. Emme e il sor Bianciardi, a reciproca insaputa, combatteranno con il corpo italiano aggregato agli Alleati, spalleggiando polacchi e goumiers - ed entrambi trarranno profitto dalla seppur lacunosa conoscenza col sassone idioma per avvantaggiarsi e, nel loro piccolo, sveltire le operazioni di guerra. Tanto che il Nostro avrà una medaglia - una croce di ferro, vien detto: ma non le davano gli altri?
Comunque: vissuta la guerra (col padre in Affrica, affine ad alcune belle pagine di Le Clézio) Emme viene a Roma - nell'ombra, se l'avesse saputo, del reietto Pasolini - e, anche tramite il suo maestro Ernst Bernhard, ma per le mille suggestioni della città madre e mignotta, ne scopre la "rapinosa violenza tangenziale", (G. Manganelli) e il mestiere di vivere, e che lavorare stanca - lui che apprezza Pavese, e che, giovanino con le due sorelle, frequentò il liceo che die' licenza a Fenoglio (un altro che con l'inglese ebbe a che fare, e a far del bene - che fu partigiano, anche se in circostanze più drammatiche di quelle raccontate dall'intervistato). Non gli manca tuttavia l'occasione colta: frequenta allora Perilli e D'Orazio, pittori che gravitano in quell'area di contrastata rinascenza romanesca che Paola Pitagora ben descrive, e alla quale Ugo Pirro accenna, nei loro bei libretti. (*)
E qui, alla vita evenemenziale, s'innesta quella professionale - non meno ricca di similitudini e d'incontri con uomini straordinari, ma, questi ultimi, per necessità celati dal segreto che un medico dell'anima divide con un sacerdote confessore. Ricca, la vita, anche e soprattutto della dottrina junghiana: che, però, Emme sa da buon critico adattare, privo com'è di schematismi e infatuazioni, alla persona del paziente e al suo linguaggio - e, meglio, al suo indicibile. Va detto che, innanzi ai tipi selezionati dal primo allievo di Freud, e che sono parte non trascurabile della sua teoresi, Emme s'avvantaggia per la sua cospicua dimestichezza con tutti i tipi di tipi di tipi a titolo vario frequentati: tipi d'umanità, (p. 29) tipi di dilettanti geniali, (p. 42) tipi nei sogni (p. 54) e tipi di dolore (p. 71) - è il complesso di E-tìpo.
Ne viene che il racconto del Nostro, oltre a disbrigarsi sur un itinerario divulgativo - nel suo genere - del proprio sapere di tecnico, tocca e ritocca quel punto dolente e gioioso che è il rapporto analista-analizzato. Se ne colgono le sfumature più sottili, e però senza rinunciare ad aspetti che potrebbero credersi inessenziali o persino discutibili e di calavrése berguenza - corposo esempio: l'analisi terminabile e interminabile, nella sua relazione non solo co' li farmachi, la gravezza o stoltizia della patologia, ovvero la trasferibilità dell' intensione-intenzione erotica sul terapeuta-complice-compagno-amante-genitore, bensì pure con le possibilità economiche e psicofisiche del convenuto - sicché si censura senza polemiche il biologo della psiche, che voleva i suoi casi a rapporto da lui cinque volte a settimana.
Ecco: tante ne ho dette, e tante ce ne son da dire, di questo libro-conversazione, che rammenta quello di Tiziano Terzani col figliolo, che tanta e giusta fama ha avuto. Però, in filigrana a queste pagine così calibrate, io continuo a scorgere una trama che me le rende estranee - aliene? E vorrei dipanarla in breve con una storiella amena, che riadatto dal vero: un giorno mi capitò, in un gruppo di universitari, di uscirmene, in pretta vena popolaresca, con la frase: "Mio nonno, ch'era più vecchio di me..." - ironica constatazione di saggezza in un ambiente, come il mio plebeo, ove l'anzianità fa grado. Lo squillo d'una vocìna s'alzò, dopo una risatella imbarazzata, a ricordare: "Beh, certo che tuo nonno è più vecchio di te. E' ovvio, no?". Era la voce di una laureanda in psicologia. Ora: la laureanda-squillo avrebbe dovuto capire de' psicotici, e non capiva un gioco di parole. Un giorno, delle vite umane sarebbero state nelle sue mani, in virtù d'una laurea, d'un apprendistato, d'un esame statale, di quant'altro. E non sapeva distinguere ciò che può venire da una differenza di classe, di valori o di mentalità, da ciò che verrebbe, semmai, da più grave alterazione.
Tuttavia, ammettiamolo: Emme - almeno - è marxista.
Ma in quale vita?
*) nell'ordine: Fiato d'artista, Sellerio, Palermo 2001; Soltanto un nome nei titoli di testa, Einaudi, Torino 1998.
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