RACCONTI
Massimo Penzo
Jobe: non è che voglio fare l'artista underground per sempre.
- Apponte!- La sua schiena si incastrava ad angolo tra due pareti. La testa era pressochè rivolta a trenta gradi verso il pavimento. La Moquette copriva tutto, continuava fin sotto la porta, nel corridoio, nelle scale, nel bagno, nella doccia. -Apponte!- mi diceva. Premeva i bottoni pesanti di un Walkman, a cassette, tutto uno scatto.
I ponti son il simbolo dell'intelligenza cattiva dell'uomo. Ce l'ho un po' con i ponti. Sono quella voglia che ha sempre avuto la razza umana di metterci del suo, di cambiare le cose. Sponde diverse che si uniscono, gerarchie di valori diversi, sogni diversi e credenze diverse. Si crea un cortocircuito tra società divise, che poi diventa insulti, botte, sassate.
-Apponte- mi diceva, e per me era lo scontro tra due etnie, per me era un qualcosa fatto da una parte per raggiungere l'altra e sottometterla, per violentare le donne e rubare le risorse della terra, amata. -Non quello lì!- continuava a dirmi indirizzando il suo indice destro verso la mia mano sinistra- quello è un Brooklin. Tu devi fare un Venezia! Il Brooklin è un barrè! Fammi un Venezia!- il Brooklin è dritto, piatto orizzontale, ci passano le macchine, di corsa. Il Venezia è ad arco, ci passeggiano le persone, ci sono i gradini.
Tenevo, e tengo tutt'ora, la chitarra in mano come fosse un bambino di due mesi e mezzo non mio. Impacciato, sovra concentrato, con una presa scomoda. -Apponte, uno due tre- mi mostrava le dita, in sequenza. Indice medio anulare. -Il ponte piccolo, il ponte medio e il ponte grande. Venezia. Il manico è il canale, quello grande, con tutte le barche sotto. Ecche poggi sto ponte!- mi diceva- se le corde non le schiacci le note non escono, le corde non vibrano, il ferro sta fermo la cassa non rimbomba. Se non schiacci le corde non viene l'accordo e se non viene l'accordo che ci stiamo a fare qui?- Aveva la barba che continuava con i capelli. Poca barba e pochi capelli. Stava tutto sotto il cappuccio della felpa, anche negli interni. La testa gli ondeggiava per la musica che aveva nelle cuffie, credo. O stava zitto o urlava. Di colpo. Gli occhi erano un po' pestati. Diciamo contorno nero. -Non sento il SI- mi diceva. E forse non lo senti perchè non senti un cazzo con le cuffie pensavo io. Invece era vero. -La corda due. Partendo dal palmo- era vero. Il SI non lo suonavo quasi mai, era muto, non suonava.
Quell'ora del giorno in particolare per lui era solo una delle tante. Un pezzo di tempo pescato a caso nel mucchio di tutti i pezzi di tempo in cui non dormiva. Mi stava insegnando l'accordo di DO. C'era la finestra aperta perchè ogni tanto o lui o io ci attaccavamo una sigaretta. Mi bastavano tre dita per fare il DO. Poi mi insegnò il LA Minore e il MI Maggiore. Sempre tre dita.
La rappresentazione prevedeva tre accordi suonati su quattro battute, cioè quattro otto dodici sedici. Uno veniva suonato due volte nella rappresentazione. A seconda che fosse un crescendo, o qualcosa di più riflessivo, intimo. Io non avevo mai studiato musica né suonato uno strumento ma mi ero sempre trattato bene in quanto a qualità e in quanto a informazione. In pratica ho sempre ascoltato buona musica e ho sempre avuto degli amici musicisti. Questo bastava per capire cos'è una battuta, il tempo della musica.
Tre accordi su quattro battute fanno un buon tempo in relazione a quello che hai a disposizione. In metropolitana tutti vanno da qualche parte e ci vogliono arrivare presto. Tutti vanno veloci. Nessuno può permettersi di guardarti per più di tre accordi. E tu comunque non puoi permetterti di essere una macchia nella retina di chi passa, dei clienti. Quella che si deve fare è una rappresentazione. Uno spettacolo, uno show. La durata è naturale. Inizia quando chi passa comincia a sentire il suono della tua chitarra e finisce quando si affievolisce fino a sparire. Sfuma, come sui cd. La rappresentazione è ciclica ma è sempre nuova per gli scaglioni di clienti in coda. Bisogna guadagnarsi un piccolo posto nelle menti delle persone, dei clienti. Armonia di tre accori, più un aria sognante artistico disinvolta, nella faccia, nell'espressione. Magari anche una frase, non invadente, con la tua voce. Si deve infilare tra le abitudini di viaggio dei passanti, dei clienti. Non li sconvolge, si fa sentire, è una voce amica, un'amica che merita una moneta. E oggi le monete pesano, costano.
Uno spettacolo vero, dignitoso, con molto lavoro di retropalco e ben remunerato. - Apponte - me lo ripeto ancora, ogni tanto, quando non schiaccio, quando qualcosa non suona, quando mi creo un'immagine da principiante nelle menti di un'intera trance di clienti che mi sentono sbagliare un accordo. Bisogna schiacciare bene. È il segreto della buona musica.
Per quanto se ne dica qui non c'è lavoro. O meglio, il lavoro c'è, ma se non sei di qui è difficile che te lo diano. Ti danno solo cose contro natura, roba da Amnesty. Li ho fatti anch'io quei lavori, per ben due settimane, poi ho fatto i conti. Suonando nella metro si prende esattamente quello che ti danno a lavorare, però in metà del tempo. Nell'altra metà del giorno sono una filiale del mio amico col cappuccio. Mi da una parte del suo giro. Sono una succursale dislocata nel tempo. In pratica lui alla mattina non ne vuole sapere di incontrare sti stronzi che vogliono roba, sia fumo, sia coca sia speed. Forse dorme o sta solo lì e non vuole essere disturbato. Non lo so. La gente della mattina esiste, invece, tanta. Ingiacchettati, gente da mobilità verticale col turbo, ma anche ragazzetti o signore. Si, anche signore, casalinghe. Che ne so io, magari si portano la scimmia dalla giovinezza. Oppure solo si annoiano. Ci sono poi quelli che fanno talmente tardi che poi cambia il giorno e neanche se ne accorgono.
Ecco. Questi lui non li vuole, me li tengo io. Dalle otto fino all'una. In fin dei conti non faccio niente di più di quello che fa un un tabaccaio o un bigliettaio. Sono un bigliettaio circospetto. Il pomeriggio poi vado a suonare in metro. Faccio cominciare la rappresentazione infinita. Sommando le entrate guadagno tre volte di più di quello che guadagnavo facendo i lavori a busta paga settimanale. E io sono qui per lavorare. I mega-agglomerati di stampo occidentale non hanno mai esercitato nessun magnetismo verso la mia ferrea personalità. Neanche la droga mi interessa. Se è per quello. Sto sempre a pensare, e in questo periodo ancora di più. Devo guadagnare, per il viaggio.
Arrivare in Perù porterà una certa serie di complicazioni. Che poi non so neanche se ci dovrò arrivare fino in Perù. In Brasile si, quello di sicuro. Poi c'è la foresta che sarà un gran casino.
La tribù degli uomini rossi. La mia più bella occasione. Quando ho visto quella foto sul giornale ho capito subito che qualcosa stava per cambiare nella mia vita. Tre uomini che tiravano le lance verso l'obiettivo della fotocamera, verso le pale dell'elicottero che li sorvolava. Chissà cosa credevano loro. Tutti dipinti di rosso. Avranno visto un dio pestifero e pieno di rumore fatto a forma di insetto. Chissà chi di loro avrà dormito quella notte. Già che non deve essere facile dormire in mezzo alla foresta Amazzonica. Chissà che litigi tra uomo rosso e donna rossa, per la tensione, per lo stress. Chissà se il capotribù è rimasto tale dopo quel sorvolo, dopo quella foto. Magari gli altri lo hanno scalzato, emarginato, perchè non è riuscito a tirare giù l'insettone di ferro con le grandi ali che girano, perchè gli ha scatenato contro la furia del dio elicottero.
Nessun rappresentante della società nostra, quella civile-evoluta di stampo occidentale, ha mai parlato con quei tipi. Li hanno scoperti quando hanno fatto quella foto, sorvolando la foresta Amazzonica. È la mia occasione. A parte che a quest'ora ci sarà la fila di ricercatori pagati dalle università che vogliono andare fin là, ma io sono diverso, sono furbo e agile, duro. Ne ho parlato subito col professore, quello che aveva accettato di farmi da relatore per la tesi di laurea. Lui ha detto di si. Loro dicono sempre di si quando quello che deve andare a spese sue in mezzo alle malattie, i batteri, gli insetti, gli animali e tutto il resto, sei tu. L'unica cosa che si è sentito di dirmi è che secondo la sua esperienza avremmo dovuto spostare la data della discussione della tesi un po' più avanti, se quella mia ricerca doveva essere la mia tesi. Bella esperienza.
Credo che ci vorrà studio istinto e metodo per entrare tra di loro, senza farmi uccidere. Prendere posto tra di loro, ricavarmi un ruolo, entrare a fare anche una piccola parte dentro la tribù. Prendere appunti, col giusto distacco e poi andare via, senza farmi uccidere. Infondo attualmente spaccio in una metropoli, un po' di esperienza l'avrò pur fatta nel non farmi uccidere.
Non è che voglio fare l'artista underground ancora per molto. È duro fare l'artista underground, non si può fare per sempre, anche se un po' mi dispiace.
Credo che mi laureerò il prossimo anno, a Novembre. ...
I ponti son il simbolo dell'intelligenza cattiva dell'uomo. Ce l'ho un po' con i ponti. Sono quella voglia che ha sempre avuto la razza umana di metterci del suo, di cambiare le cose. Sponde diverse che si uniscono, gerarchie di valori diversi, sogni diversi e credenze diverse. Si crea un cortocircuito tra società divise, che poi diventa insulti, botte, sassate.
-Apponte- mi diceva, e per me era lo scontro tra due etnie, per me era un qualcosa fatto da una parte per raggiungere l'altra e sottometterla, per violentare le donne e rubare le risorse della terra, amata. -Non quello lì!- continuava a dirmi indirizzando il suo indice destro verso la mia mano sinistra- quello è un Brooklin. Tu devi fare un Venezia! Il Brooklin è un barrè! Fammi un Venezia!- il Brooklin è dritto, piatto orizzontale, ci passano le macchine, di corsa. Il Venezia è ad arco, ci passeggiano le persone, ci sono i gradini.
Tenevo, e tengo tutt'ora, la chitarra in mano come fosse un bambino di due mesi e mezzo non mio. Impacciato, sovra concentrato, con una presa scomoda. -Apponte, uno due tre- mi mostrava le dita, in sequenza. Indice medio anulare. -Il ponte piccolo, il ponte medio e il ponte grande. Venezia. Il manico è il canale, quello grande, con tutte le barche sotto. Ecche poggi sto ponte!- mi diceva- se le corde non le schiacci le note non escono, le corde non vibrano, il ferro sta fermo la cassa non rimbomba. Se non schiacci le corde non viene l'accordo e se non viene l'accordo che ci stiamo a fare qui?- Aveva la barba che continuava con i capelli. Poca barba e pochi capelli. Stava tutto sotto il cappuccio della felpa, anche negli interni. La testa gli ondeggiava per la musica che aveva nelle cuffie, credo. O stava zitto o urlava. Di colpo. Gli occhi erano un po' pestati. Diciamo contorno nero. -Non sento il SI- mi diceva. E forse non lo senti perchè non senti un cazzo con le cuffie pensavo io. Invece era vero. -La corda due. Partendo dal palmo- era vero. Il SI non lo suonavo quasi mai, era muto, non suonava.
Quell'ora del giorno in particolare per lui era solo una delle tante. Un pezzo di tempo pescato a caso nel mucchio di tutti i pezzi di tempo in cui non dormiva. Mi stava insegnando l'accordo di DO. C'era la finestra aperta perchè ogni tanto o lui o io ci attaccavamo una sigaretta. Mi bastavano tre dita per fare il DO. Poi mi insegnò il LA Minore e il MI Maggiore. Sempre tre dita.
La rappresentazione prevedeva tre accordi suonati su quattro battute, cioè quattro otto dodici sedici. Uno veniva suonato due volte nella rappresentazione. A seconda che fosse un crescendo, o qualcosa di più riflessivo, intimo. Io non avevo mai studiato musica né suonato uno strumento ma mi ero sempre trattato bene in quanto a qualità e in quanto a informazione. In pratica ho sempre ascoltato buona musica e ho sempre avuto degli amici musicisti. Questo bastava per capire cos'è una battuta, il tempo della musica.
Tre accordi su quattro battute fanno un buon tempo in relazione a quello che hai a disposizione. In metropolitana tutti vanno da qualche parte e ci vogliono arrivare presto. Tutti vanno veloci. Nessuno può permettersi di guardarti per più di tre accordi. E tu comunque non puoi permetterti di essere una macchia nella retina di chi passa, dei clienti. Quella che si deve fare è una rappresentazione. Uno spettacolo, uno show. La durata è naturale. Inizia quando chi passa comincia a sentire il suono della tua chitarra e finisce quando si affievolisce fino a sparire. Sfuma, come sui cd. La rappresentazione è ciclica ma è sempre nuova per gli scaglioni di clienti in coda. Bisogna guadagnarsi un piccolo posto nelle menti delle persone, dei clienti. Armonia di tre accori, più un aria sognante artistico disinvolta, nella faccia, nell'espressione. Magari anche una frase, non invadente, con la tua voce. Si deve infilare tra le abitudini di viaggio dei passanti, dei clienti. Non li sconvolge, si fa sentire, è una voce amica, un'amica che merita una moneta. E oggi le monete pesano, costano.
Uno spettacolo vero, dignitoso, con molto lavoro di retropalco e ben remunerato. - Apponte - me lo ripeto ancora, ogni tanto, quando non schiaccio, quando qualcosa non suona, quando mi creo un'immagine da principiante nelle menti di un'intera trance di clienti che mi sentono sbagliare un accordo. Bisogna schiacciare bene. È il segreto della buona musica.
Per quanto se ne dica qui non c'è lavoro. O meglio, il lavoro c'è, ma se non sei di qui è difficile che te lo diano. Ti danno solo cose contro natura, roba da Amnesty. Li ho fatti anch'io quei lavori, per ben due settimane, poi ho fatto i conti. Suonando nella metro si prende esattamente quello che ti danno a lavorare, però in metà del tempo. Nell'altra metà del giorno sono una filiale del mio amico col cappuccio. Mi da una parte del suo giro. Sono una succursale dislocata nel tempo. In pratica lui alla mattina non ne vuole sapere di incontrare sti stronzi che vogliono roba, sia fumo, sia coca sia speed. Forse dorme o sta solo lì e non vuole essere disturbato. Non lo so. La gente della mattina esiste, invece, tanta. Ingiacchettati, gente da mobilità verticale col turbo, ma anche ragazzetti o signore. Si, anche signore, casalinghe. Che ne so io, magari si portano la scimmia dalla giovinezza. Oppure solo si annoiano. Ci sono poi quelli che fanno talmente tardi che poi cambia il giorno e neanche se ne accorgono.
Ecco. Questi lui non li vuole, me li tengo io. Dalle otto fino all'una. In fin dei conti non faccio niente di più di quello che fa un un tabaccaio o un bigliettaio. Sono un bigliettaio circospetto. Il pomeriggio poi vado a suonare in metro. Faccio cominciare la rappresentazione infinita. Sommando le entrate guadagno tre volte di più di quello che guadagnavo facendo i lavori a busta paga settimanale. E io sono qui per lavorare. I mega-agglomerati di stampo occidentale non hanno mai esercitato nessun magnetismo verso la mia ferrea personalità. Neanche la droga mi interessa. Se è per quello. Sto sempre a pensare, e in questo periodo ancora di più. Devo guadagnare, per il viaggio.
Arrivare in Perù porterà una certa serie di complicazioni. Che poi non so neanche se ci dovrò arrivare fino in Perù. In Brasile si, quello di sicuro. Poi c'è la foresta che sarà un gran casino.
La tribù degli uomini rossi. La mia più bella occasione. Quando ho visto quella foto sul giornale ho capito subito che qualcosa stava per cambiare nella mia vita. Tre uomini che tiravano le lance verso l'obiettivo della fotocamera, verso le pale dell'elicottero che li sorvolava. Chissà cosa credevano loro. Tutti dipinti di rosso. Avranno visto un dio pestifero e pieno di rumore fatto a forma di insetto. Chissà chi di loro avrà dormito quella notte. Già che non deve essere facile dormire in mezzo alla foresta Amazzonica. Chissà che litigi tra uomo rosso e donna rossa, per la tensione, per lo stress. Chissà se il capotribù è rimasto tale dopo quel sorvolo, dopo quella foto. Magari gli altri lo hanno scalzato, emarginato, perchè non è riuscito a tirare giù l'insettone di ferro con le grandi ali che girano, perchè gli ha scatenato contro la furia del dio elicottero.
Nessun rappresentante della società nostra, quella civile-evoluta di stampo occidentale, ha mai parlato con quei tipi. Li hanno scoperti quando hanno fatto quella foto, sorvolando la foresta Amazzonica. È la mia occasione. A parte che a quest'ora ci sarà la fila di ricercatori pagati dalle università che vogliono andare fin là, ma io sono diverso, sono furbo e agile, duro. Ne ho parlato subito col professore, quello che aveva accettato di farmi da relatore per la tesi di laurea. Lui ha detto di si. Loro dicono sempre di si quando quello che deve andare a spese sue in mezzo alle malattie, i batteri, gli insetti, gli animali e tutto il resto, sei tu. L'unica cosa che si è sentito di dirmi è che secondo la sua esperienza avremmo dovuto spostare la data della discussione della tesi un po' più avanti, se quella mia ricerca doveva essere la mia tesi. Bella esperienza.
Credo che ci vorrà studio istinto e metodo per entrare tra di loro, senza farmi uccidere. Prendere posto tra di loro, ricavarmi un ruolo, entrare a fare anche una piccola parte dentro la tribù. Prendere appunti, col giusto distacco e poi andare via, senza farmi uccidere. Infondo attualmente spaccio in una metropoli, un po' di esperienza l'avrò pur fatta nel non farmi uccidere.
Non è che voglio fare l'artista underground ancora per molto. È duro fare l'artista underground, non si può fare per sempre, anche se un po' mi dispiace.
Credo che mi laureerò il prossimo anno, a Novembre. ...
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