RECENSIONI
Francesco Piccolo
L'Italia spensierata
Laterza, Pag. 183 Euro 9,00Chiudendo il libro di Piccolo, assordati per il bordello dello studio tv, dell'autostrada, del sonoro del film natalizio e del campo di concentrato divertimento descritti, ci si stupisce che, in tanto clangore, poche sparute/sparate castagnole da sparo abbiano funzione da richiamo: e bànght, "son rutti di gioia le feste", (Gaber-Luporini), e pum!, "continuiamo così, facciamoci del male", e sbadàm!, "I mostri" dal primo del '63 al più recente, e badabadàn!, nove decimi della filmografia sordiana - e, ovvio, ciciàp! "ve lo meritate Alberto Sordi!"
Perché, allora, smarti' 'sti novi euri (ô, dar Pecione su'aa Tibburtina so' 'na Tosta (3) e 'na chiarétta) pe' compra' 'sto libbro de comesechiama ah sì Piccolo aho er nome è 'n programma sa!" (gesto dell' "L"(4))? Perché l'Autore è intelligente: nel senso proprio, abilissimo a collegare ogni dettaglio che sollecita la sua appercezione in un disegno che ritrae "la brava e buona gente della nazione" (R. Bugaro) all'opre "spensierate" intenta. E spack!, va a sbottare la fial-Altan: "Credevo di essere spensierata. Mi dicono che ero disperata".
Insegna la pubblicità che, per veicolare il messaggio, è necessario creare un'atmosfera (e bim! bum! bam!, quanti scoppiettij in queste paroline parioline), ovvero una serie di piccole percezioni collegate: e abile è Piccolo a crearne una che, ripetendo l'indistinzione, l'omologazione (sbrènght!) della folla nella quale tenta di ingaglioffarsi (ma niente, c'è sempre in lui a tenerlo l'adolescente proviciale che andava a vedere Leo de Berardinis), lascia indistinto, metastabile, questo sentimento composito, che fluttua appunto fra spensieratezza e disperazione. Sostanziandolo dunque - e qui davvero il gioco si fa duro (sbam!) - d'un confronto tra i meccanismi individuali e quelli di massa e sociali, di convincente meccanica. Esempio: chi di noi non ha avuto in classe un compagno "simpatico", che assurgeva al titolo spernacchiando la coetanea racchia, pigliando a gàbbo il quattrocchi, perculando il cicaloide intellettualino in aura di frociaggine, svillaneggiando il ciccione maldestro (no fini? No party!)? Ebbene: cotesto simpatetico si reincarna, peggio, diviene rutèlla del congegno culturale (in senso antropologico) nel pagliaccio o nel comico del divertimentificio, strabordando, moltiplicandosi, blobbando, nel film di natale - peraltro descritto con una sapida cattiveria, un ritmo da comica cronica vera, una sapienza nel rendere il peggio del peggio, le quali potrébbono tentare gli sceneggiatori del film festivo duemilaotto Vacanze a Giava 'ndo' se magna se beve e se... a reclutare il povero Piccolo come machine-man. Così mostrando che un sistema emotivo-simbolico (e una civiltà essenzialmente questo è) si basa sulla selezione di certi tratti, che dominano la produzione e delle idee e delle cose a loro volta dominanti: e dico "selezione" poiché questi lineamenti del volto sociale sono già nel repertorio individuale - una società "buona" eliciterà i migliori, una "cattiva" i peggiori. E il bello è che, tranne alcuni casi in cui certi tratti vengono assecondati rispetto ad altri (ovvero si agisce a posteriori - proooot! Rècch! Finòcch!)(5), non v'è un piano preordinato, non c'è un complotto, una mente che decide. Bensì s'innesca una catena di reazioni del genere di quelle descritte come "strutture dissipative", in cui l'ultimo componente si trasforma nel primo, il ciclo ricomincia sinché v'è apporto energetico dall'esterno - ogni riferimento al petrolio vas e alla dinamica ossessivo-compulsiva non è casuale. Insomma, se una comunità deride il "buono" del Nìcce (quello che "non ha l'ogne abbastanza forti") si comporrà d'idioti sanguinari - pare sia già successo.
E però ci sarebbe una via di scampo, un elemento imponderabile, a far da rottura di tale (agghiacciante) simmetria: loro, i cuccioli d'uomo, i bambini. Nell'autogrill (in fin dei conti il più umano - forse perché di transito - (non)luogo descritto), accade all'Autore di venir abbracciato ad una gamba da un piccino: i genitori del marmocchio sono a qualche passo, confusi e felici (vigilanti, sempre) dell'effusione spontanea. E la figliolina dell'Autore, e la sua amica del cuore, a Parigi preferiscono andare per Monet, piuttosto che a Eurodisney - causa del trauma: pervicaci lezioni scolastiche. Bella via d'uscita, sarebbe: senonché le bimbe al gulag di divertimento ove sono deportate (consenzienti - perché quando i ragazzini devono far guadagnare, allora la loro volontà viene rispettata fino al midollo), malgrado l'acculturazione si litigano come le ultime delle coattelle qualche privilegio di massa, rivelandosi specchi dell'attonito cronista-padre effettivo e affettivo (cioè vicario). E già: per l'intero libro, Piccolo cerca di disfarsi della sua cultura asfissiante, con alterne vicende. In ultimo, con un parallelo narrativo squisito, trasferisce questa perdita spontanea sulle piccole, dandole una imprevista corporeità. Siccome nel labirinto delle mirabilia industriali, della civiltà dello svacco e della spensieratezza, ci si perde davvero - e forse non si viene più trovati.
Beh: a resistere allo tsunami di natale e al luna park megagalattico ci sarebbe pure l'Italia pensante - quella che si precipita ad affollare le strade delle notti bianche, cercando uno stimolo purchessia: la lettura del letterato, la giocoleria dei funamboli, il museo o la glittoteca frequentabili all'ora dei nosferati, diserte perciò nei loro (ammettiamolo) non confortevoli orari programmatici. E però: nell'attimo in cui si propone la qualità a più dei soliti quattro gatti - della pulita dozzina di esploratori culturali che seguivano De Berardinis nello spettacolo di provincia - i meccanismi squalificanti (di squali in Italia ce ne sono fin troppi, invidiati, serviti e riveriti) si mettono in moto. Troppo simili i trampolieri sono agli stunt. E lo spettacolo dei law and order troppo ricorda le prodezze dei pirati. E ritrovarsi nelle file d'auto per il parcheggio somiglia troppo all'ingorgo auostradale. E venir schiacciati da una folletta in attesa della performance autoriale non si distingue troppo dall'angoscia causata dall'im/pressione della "mirabilante" attrattiva. E scoppietta il ditalino (6) - Tondelli: "Ma non sarà che eravamo, dannatamente, troppi?" Lui lo sospettava a proposito delle universitarie lezioni di Anceschi. Ma forse, è concetto riciclabile.
O piuttosto: noi (che siamo noi) e loro (che sono loro), non saremo...
... o San Remo, con Pippo, Mara, Giletti...
... erobbiuìllia...
1) Un articolo di Giudo Barlozzetti (E-polis del dieci aprile 2007) dà notizia della sua scomparsa a settantasei anni;
2) infatti, erano i primi anni Settanta;
3) pizza guarnita con peperoni, salsiccia e mozzarella (a richiesta, sostituita da provola e aggiunta di pecorino: ma così si va fuori dal budget di nove euro). La chiaretta è un boccale piccolo di birra alla spina, "lager";
4) icona di paucità d'armi priapee;
5) chiedo al Lettore un poco di pazienza: in un giornaletto zozzo della mia tarda (bràdipa!) adolescenza, c'era una coppietta di checche in scena. Dopo una sana incularella, càpita a uno dei due "manfrodìti" di scoreggiare. E l'altro, estasiato, profferisce una frase come "oh, questa tua dichiarazione d'amore mi commuove!"Al che, ci si domanda: una rapresentazione tanto becera non può essere rivolta ai gay. Sarà dunque rivolta agli etero. Ma perchè degli etero dovrebbero seguire scopo eccitamento (non altro ce n'è in un pornazzo) le (mis)fatte di due bucaiole?;
6) potrebbe essere un doppio senso - e però vale ricordare che i "ditalini" erano capsule di minimo detonante, riunite su un rotolo di carta rossastra, che alimentavano le mitragliatrici e le maschinenpistolen di latta dei nostri giochi di guerra molto kitsch ma non cheap né così camp.
di Marco Lanzòl
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Capisci a mme: in pratica smembramento di un corpo.
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