CLASSICI
Alfredo Ronci
L’eterno futurista: “Stefanino” di Aldo Palazzeschi.
“A complemento di quanto dichiarato dalla signora debbo aggiungere che il caso da lei esposto è capitato anche a me e a proposito di uomini più di una volta, dei quali ovunque si diceva che quello che agli occhi di comuni osservatori pareva una testa, agli occhi di un osservatore più sagace risultava una cosa molto diversa, quella precisamente che lo stesso Stefanino tiene al posto della testa. E chi parlava con loro fissando decisamente lo sguardo su questa, nel volgere del discorso vedeva con sempre maggiore chiarezza apparire l’altra. Né sono mai riuscito a spiegarmi il perché anche fra le parti del corpo umano debba esistere tanto disprezzo e tanta inimicizia, una lotta spietata che le fa vivere in continua guerra.”
All’età di ottantaquattro anni Palazzeschi scriveva, e lo dico senza presunzione o quanto meno imbarazzo, di un mostro che era una vera e propria testa di cazzo.
E’ chiaro che qui ci si diverte a dare a Stefanino degli attributi volutamente esagerati, ma lo scrittore, ormai romano di adozione, pur non citando mai le parti fisiche in modo e chiaro e lampante, ne offre un quadro divertente ( e divertito) e soprattutto foriero di importanti sviluppi.
Veniamo alla storia. Nella nebbia di una rigida alba d’inverno un involucro è depositato da mani ignote sui gradini del Palazzo comunale, e un altissimo strillo rompe il silenzio di quell’ora non proprio consueta; la naturale pigrizia fà sì che non un solo cittadino si affaccia a vedere cosa accade, e l’evento rimane misterioso ed eccitante. A poco a poco la verità comincia a filtrare attraverso la criticatissima reticenza dell’Autorità. In quel fagotto rosa è avvolto un neonato dalla voce robusta, con accanto un poppatoio di latte e un elegante biglietto ove è scritto in oro il nome di STEFANINO.
Chi è dunque Stefanino? E’ una specie di mostro con alcune parti fisiche invertite. Al posto della testa ha l’apparato genitale e le gambe e al posto di queste ultime la testa. E dunque cosa ci si può fare con un individuo, se individuo si può chiamare, costruito in tale maniera?
Stefanino, soprattutto in età adulta, è il contrario di tutto, non solo nel suo aspetto fisico (anche se ha una bellissima voce ed anche un ottimo portamento) ma nelle sue intenzioni politiche-filosofiche. Dice ad un Onorevole Sindaco, piuttosto contrito: E tu sei venuto a seppellirmi sotto le tue carezze e i tuoi sorrisi in questa sepoltura e a recitare una ennesima commedia per giungere a patti con me, per stabilire uno degli infiniti compromessi che regolano la tua esistenza senza provarne un minimo di vergogna. Io ti rispondo che non sono uomo da compromesso né personaggio da commedia. E ancora: Io non pretendo né ho mai preteso nulla, sono gli altri che pretendono da me, e mi creano giorno per giorno per loro uso e consumo alla loro stregue e suilla loro misura…
Palazzeschi mantiene, alla veneranda età di ottantaquattro anni, uno spirito e una indole spiccatamente futurista, ma i tempi e i modi della letteratura (e pensiamo anche della Storia) sono profondamente cambiati. Rispetto per esempio ad un Perelà (opera che l’autore scrisse nel 1911) la cui contestazione della società era metafisica e si proiettava nella perfezione di una libertà assoluta, quella di Stefanino è per così dire più attualizzata e nello stesso tempo più pericolosa.
L’anno di uscita di Stefanino è il 1969: anno duro per gli italiani, e non solo , ma soprattutto un periodo in cui si cerca una risposta ragionata, ma nello stesso tempo improvvisata, della società e del modo di vivere. E questo mostro, dotato però di indubbie capacità fascinatorie, può costituire un vessillo alla lotta contro l’autoritarismo del presente o addirittura una generale contestazione dell’ordine costituito? Dunque un progressista coscienzioso o un audace e veritiero anarchico?
Preferiamo non rispondere. La critica letteraria ha sempre collocato Stefanino e altre opere del Palazzeschi (pensiamo a Il doge a Storia di un’amicizia e soprattutto a Roma) in un contesto minore rispetto ad alcuni capolavori. E su questo possiamo essere tutti d’accordo. Ma nulla vieta di pensare che certe smanie disarticolate, certi drappeggi ironici e divertiti e certe interpretazioni indipendenti costituiscano una interezza letteraria che ha avuto pochi precedenti nella nostra cultura.
La fantasia di Palazzeschi ha sempre prodotto perle indiscusse ma se, in questo romanzo, alcune inventive lasciano un po’ l’amaro in bocca, altre, anche se apparentemente futili, in realtà costituiscono prova dello straordinario talento dello scrittore. Una su tutte: “Perché mio marito, quando vuol fare l’amore, mi dice sempre: ‘vieni, mostro’”.
L’edizione da noi considerata è:
Aldo Palazzeschi
Stefanino
Mondadori editore
All’età di ottantaquattro anni Palazzeschi scriveva, e lo dico senza presunzione o quanto meno imbarazzo, di un mostro che era una vera e propria testa di cazzo.
E’ chiaro che qui ci si diverte a dare a Stefanino degli attributi volutamente esagerati, ma lo scrittore, ormai romano di adozione, pur non citando mai le parti fisiche in modo e chiaro e lampante, ne offre un quadro divertente ( e divertito) e soprattutto foriero di importanti sviluppi.
Veniamo alla storia. Nella nebbia di una rigida alba d’inverno un involucro è depositato da mani ignote sui gradini del Palazzo comunale, e un altissimo strillo rompe il silenzio di quell’ora non proprio consueta; la naturale pigrizia fà sì che non un solo cittadino si affaccia a vedere cosa accade, e l’evento rimane misterioso ed eccitante. A poco a poco la verità comincia a filtrare attraverso la criticatissima reticenza dell’Autorità. In quel fagotto rosa è avvolto un neonato dalla voce robusta, con accanto un poppatoio di latte e un elegante biglietto ove è scritto in oro il nome di STEFANINO.
Chi è dunque Stefanino? E’ una specie di mostro con alcune parti fisiche invertite. Al posto della testa ha l’apparato genitale e le gambe e al posto di queste ultime la testa. E dunque cosa ci si può fare con un individuo, se individuo si può chiamare, costruito in tale maniera?
Stefanino, soprattutto in età adulta, è il contrario di tutto, non solo nel suo aspetto fisico (anche se ha una bellissima voce ed anche un ottimo portamento) ma nelle sue intenzioni politiche-filosofiche. Dice ad un Onorevole Sindaco, piuttosto contrito: E tu sei venuto a seppellirmi sotto le tue carezze e i tuoi sorrisi in questa sepoltura e a recitare una ennesima commedia per giungere a patti con me, per stabilire uno degli infiniti compromessi che regolano la tua esistenza senza provarne un minimo di vergogna. Io ti rispondo che non sono uomo da compromesso né personaggio da commedia. E ancora: Io non pretendo né ho mai preteso nulla, sono gli altri che pretendono da me, e mi creano giorno per giorno per loro uso e consumo alla loro stregue e suilla loro misura…
Palazzeschi mantiene, alla veneranda età di ottantaquattro anni, uno spirito e una indole spiccatamente futurista, ma i tempi e i modi della letteratura (e pensiamo anche della Storia) sono profondamente cambiati. Rispetto per esempio ad un Perelà (opera che l’autore scrisse nel 1911) la cui contestazione della società era metafisica e si proiettava nella perfezione di una libertà assoluta, quella di Stefanino è per così dire più attualizzata e nello stesso tempo più pericolosa.
L’anno di uscita di Stefanino è il 1969: anno duro per gli italiani, e non solo , ma soprattutto un periodo in cui si cerca una risposta ragionata, ma nello stesso tempo improvvisata, della società e del modo di vivere. E questo mostro, dotato però di indubbie capacità fascinatorie, può costituire un vessillo alla lotta contro l’autoritarismo del presente o addirittura una generale contestazione dell’ordine costituito? Dunque un progressista coscienzioso o un audace e veritiero anarchico?
Preferiamo non rispondere. La critica letteraria ha sempre collocato Stefanino e altre opere del Palazzeschi (pensiamo a Il doge a Storia di un’amicizia e soprattutto a Roma) in un contesto minore rispetto ad alcuni capolavori. E su questo possiamo essere tutti d’accordo. Ma nulla vieta di pensare che certe smanie disarticolate, certi drappeggi ironici e divertiti e certe interpretazioni indipendenti costituiscano una interezza letteraria che ha avuto pochi precedenti nella nostra cultura.
La fantasia di Palazzeschi ha sempre prodotto perle indiscusse ma se, in questo romanzo, alcune inventive lasciano un po’ l’amaro in bocca, altre, anche se apparentemente futili, in realtà costituiscono prova dello straordinario talento dello scrittore. Una su tutte: “Perché mio marito, quando vuol fare l’amore, mi dice sempre: ‘vieni, mostro’”.
L’edizione da noi considerata è:
Aldo Palazzeschi
Stefanino
Mondadori editore
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