CLASSICI
Alfredo Ronci
L’improbabile diventa possibile: “Ernesto” di Umberto Saba.
Il piccolo romanzo nasce nella clinica romana Villa Electra, dove Saba si trovava nella primavera-estate del 1953. Sin dalle prime battute il testo si preannuncia doloroso. Scrive alla moglie Lina: Mia Lina, tutta la settimana volevo scriverti; ma ero preso da un lavoro del quale ti parlerò a voce. Ne ho terminato il primo episodio; che potrebbe anche stare a sé. Tutte le persone alle quali l’ho letto, Linuccia, Carlolevi, Bollea e un giovane qui ricoverato, dicono che è la più bella cosa che abbia scritto (…) Riporta avvenimenti lontani nel tempo (è la storia di un ragazzo, che aveva 16 anni a Trieste, nel 1898. Ed ancora… Il racconto è tutto impregnato di maternità: io stesso ho avuto, mentre lo scrivevo, la netta impressione di essere incinta.
E’ melanconico Saba nel raccontare le fasi di questo romanzo, quasi scostante, quando invece letterariamente ha assolutamente chiare le dinamiche degli eventi. Basta scorgere i primi dialoghi tra Ernesto e l’uomo con cui ha i primi rapporti: “E lei che roba el volessi far?” “Nol se ricorda più de quel che gavemo parlà ieri? Che el me gà quasi promesso? Nol sa quel che piaseria tanto farghe?” “Mettermelo in culo” disse con tranquilla innocenza, Ernesto.
Per non parlare poi dei momenti successivi quando tra i due c’è una scena di sodomia tra le più precise e indovinate, considerando gli anni in cui fu scritta, 1953, di tutta la letteratura italiana del novecento.
Ma come dice sempre Saba in una lettera a Bruno Pincherle (in realtà, lo scrittore, quasi risolutivo, alimenta la sua storia con suggerimenti e considerazioni che riguardano decine e decine di amici e confidenti) … Ernesto non aveva inibizioni, o poche poche, e in forma più graziosa che angosciosa. (Non era un decadente, era un primitivo).
Dunque questo mancato decadente, ma primitivo sessualmente cosa fa? Nonostante voglia farlo apparire grazioso, ricalca in mille modi e in mille situazione la sua condizione di omosessuale, come per esempio nella scena della fontana dell’acqua… Le donne si scostarono pronte, ed Ernesto, dopo ringraziata le vecchia, si avvicinò alla fontana. Dovette, per bere a garganella, piegare in due le persona: Quell’atto suscitò in lui, per la posizione del corpo, un ricordo importuno. In quel punto, udì intorno a sé delle risa.
Però diciamocelo, si capiscono le necessità metodologiche di alcuni critici, anche la necessità di un “lascito” linguistico (ci si riferisce soprattutto all’uso che Saba fa del dialetto triestino), ma per una volta lasciamo perdere queste impellenze intellettuali e soffermiamoci sul miracoloso equilibrio di questo piccolo capolavoro, che è appunto miracoloso equilibrio solo nella stesura, non nel sentire quotidiano dello scrittore. Che potremmo definire piccolo capolavoro psicanalitico tante ed illuminanti sono le intuizioni a riguardo (è solo un caso che Saba fosse accanito lettore di Freud?).
Penso alla “naturale” scoperta di sé e dei mezzi di piacere sessuale (anche la frusta!). Alla netta percezione della mancanza di una figura paterna, all’identificazione di ogni donna con la donna-prostituta e alla precisa cognizione che Ilio (il successivo ragazzo che prenderà il posto dell’uomo, per certi versi ingombrante) non sia l’uomo della sua vita, per quanto bello ma l’uomo che Ernesto voleva essere (anche se qui tornano evidenti le resistenze di Saba persona, non scrittore).
Traversie di salute e ben noti problemi psicologici affliggono Saba negli ultimi anni di vita. Ma Ernesto non sarà mai accantonato. La sua realizzazione e il suo venir fuori all’improvviso lo consuma fino a fargli dire che probabilmente il romanzo non vedrà mai la luce, almeno fino a che lui sarà vivo.
Scrive alla moglie poco prima di morire: Senti, Linuccia, io sto così male come forse nessuno può immaginare. In queste condizioni mi seccherebbe assai lasciare in giro cose incompiute, che dovrebbero essere tutte riviste, terminate ecc. e che così come stanno non hanno senso. Né io avrei mai più la forza, né l’animo di terminare quel romanzetto incompiuto che ho lasciato da lui (Carlo Levi) con l’obbligo preciso di bruciarlo appena ne avesse avuto da me l’ordine. Ti prego di passargli l’ordine, senza fare ostruzione: e poi subito telegrafare “eseguito”.
Non sappiamo perché la moglie Lina non abbia eseguito l’ordine del marito. Sappiamo, e questo è certo, che Saba abbia voluto raccontare con Ernesto non solo degli episodi di fine ottocento, ma una visione di vita personale fino ad allora sconosciuta.
Che fortunatamente da altri è stata ripresa.
L’edizione da noi considerata è:
Umberto Saba
Ernesto
Einaudi
E’ melanconico Saba nel raccontare le fasi di questo romanzo, quasi scostante, quando invece letterariamente ha assolutamente chiare le dinamiche degli eventi. Basta scorgere i primi dialoghi tra Ernesto e l’uomo con cui ha i primi rapporti: “E lei che roba el volessi far?” “Nol se ricorda più de quel che gavemo parlà ieri? Che el me gà quasi promesso? Nol sa quel che piaseria tanto farghe?” “Mettermelo in culo” disse con tranquilla innocenza, Ernesto.
Per non parlare poi dei momenti successivi quando tra i due c’è una scena di sodomia tra le più precise e indovinate, considerando gli anni in cui fu scritta, 1953, di tutta la letteratura italiana del novecento.
Ma come dice sempre Saba in una lettera a Bruno Pincherle (in realtà, lo scrittore, quasi risolutivo, alimenta la sua storia con suggerimenti e considerazioni che riguardano decine e decine di amici e confidenti) … Ernesto non aveva inibizioni, o poche poche, e in forma più graziosa che angosciosa. (Non era un decadente, era un primitivo).
Dunque questo mancato decadente, ma primitivo sessualmente cosa fa? Nonostante voglia farlo apparire grazioso, ricalca in mille modi e in mille situazione la sua condizione di omosessuale, come per esempio nella scena della fontana dell’acqua… Le donne si scostarono pronte, ed Ernesto, dopo ringraziata le vecchia, si avvicinò alla fontana. Dovette, per bere a garganella, piegare in due le persona: Quell’atto suscitò in lui, per la posizione del corpo, un ricordo importuno. In quel punto, udì intorno a sé delle risa.
Però diciamocelo, si capiscono le necessità metodologiche di alcuni critici, anche la necessità di un “lascito” linguistico (ci si riferisce soprattutto all’uso che Saba fa del dialetto triestino), ma per una volta lasciamo perdere queste impellenze intellettuali e soffermiamoci sul miracoloso equilibrio di questo piccolo capolavoro, che è appunto miracoloso equilibrio solo nella stesura, non nel sentire quotidiano dello scrittore. Che potremmo definire piccolo capolavoro psicanalitico tante ed illuminanti sono le intuizioni a riguardo (è solo un caso che Saba fosse accanito lettore di Freud?).
Penso alla “naturale” scoperta di sé e dei mezzi di piacere sessuale (anche la frusta!). Alla netta percezione della mancanza di una figura paterna, all’identificazione di ogni donna con la donna-prostituta e alla precisa cognizione che Ilio (il successivo ragazzo che prenderà il posto dell’uomo, per certi versi ingombrante) non sia l’uomo della sua vita, per quanto bello ma l’uomo che Ernesto voleva essere (anche se qui tornano evidenti le resistenze di Saba persona, non scrittore).
Traversie di salute e ben noti problemi psicologici affliggono Saba negli ultimi anni di vita. Ma Ernesto non sarà mai accantonato. La sua realizzazione e il suo venir fuori all’improvviso lo consuma fino a fargli dire che probabilmente il romanzo non vedrà mai la luce, almeno fino a che lui sarà vivo.
Scrive alla moglie poco prima di morire: Senti, Linuccia, io sto così male come forse nessuno può immaginare. In queste condizioni mi seccherebbe assai lasciare in giro cose incompiute, che dovrebbero essere tutte riviste, terminate ecc. e che così come stanno non hanno senso. Né io avrei mai più la forza, né l’animo di terminare quel romanzetto incompiuto che ho lasciato da lui (Carlo Levi) con l’obbligo preciso di bruciarlo appena ne avesse avuto da me l’ordine. Ti prego di passargli l’ordine, senza fare ostruzione: e poi subito telegrafare “eseguito”.
Non sappiamo perché la moglie Lina non abbia eseguito l’ordine del marito. Sappiamo, e questo è certo, che Saba abbia voluto raccontare con Ernesto non solo degli episodi di fine ottocento, ma una visione di vita personale fino ad allora sconosciuta.
Che fortunatamente da altri è stata ripresa.
L’edizione da noi considerata è:
Umberto Saba
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