RECENSIONI
Augusto De Angelis
L'impronta del gatto
Sellerio, Pag. 250 Euro 11,00
De Vincenzi vide il cadavere, vide Cristiana e vide l'orchidea. Ai cadaveri e alle donne era abituato alle orchidee un po' meno, per quanto invece le amasse assai di più. Così il suo sguardo si arrestò più lungamente e con compiacenza sul fiore. Mostruoso fiore fatto di carne, nato dal limo in putrefazione, cresciuto in una atmosfera da tropico.
Piccola scorrettezza: la citazione non appartiene al libro in questione, ma ad un altro, precisamente a Il mistero delle tre orchidee. Ma mi serviva per suggerirvi: si può rimanere indifferenti di fronte ad una suggestione del genere?
Così lavorava De Angelis, scrittore di gialli in pieno regime, apparentemente al di sopra delle umane sofferenze e della tragedia incombente.
Ma quando penso allo scrittore non posso fare a meno di pensare alla sua tragica fine: debilitato per una detenzione di alcuni mesi nel carcere di Como per sospetto antifascismo tornò nella sua Bellagio provato e stanco. Poco tempo dopo incontrò la donna che lo aveva denunciato, che vedendolo in quelle condizione tentò di scusarsi; lo scrittore, che a stento si reggeva in piedi, disse più volte che ormai non aveva importanza, che lasciasse perdere. Ma il dialogo tra i due fu interpretato come diverbio dall'uomo della donna, noto fascista, che, prima minacciò lo scrittore con un pugno, poi lo finì con calci. Dopo alcuni giorni di agonia De Angelis morì. Era il 16 luglio 1944.
Letterato di razza, giornalista di punta tra le due guerre, pur sottostando a regole precise che il regime imponeva, il capostipite del giallo italiano riuscì ad evitare la mortificante imitazione dei modelli stranieri e ad offrire invece un substrato indigeno convincente e d'atmosfera. I suoi polizieschi, leggo nel risvolto della seconda di copertina, sono un saggio, una testimonianza, dei rapporti tra il fascismo e la cultura, tra sudditanza obbligata e indipendenza inevitabile, tra occhiuto controllo e margini di libertà. E i margini di libertà sono quelli per cui la società italiana del tempo è sana e vitale e tale deve essere rappresentata: il delinquere appartiene ad altre razze, ad altre latitudini. Il morto de L'albergo delle Tre Rose era un inglese. Il cadavere de Il candeliere a sette fiamme era di incerta nazionalità (ma, incredibile, in piena campagna antisemita del regime, gli ebrei di De Angelis sono "buoni"), la Casa di Mode dove avvengono più omicidi ne Il mistero delle tre orchidee appartiene a tale Cristiana O'Brian, di natali ovviamente non italici. La famiglia sgarrupata de L'impronta del gatto è venezuelana.
Insomma l'arte del delitto non si confà alla natura patriottica-domestica-religiosa del popolo nostrano. Ma De Angelis nicchia, insinua, suggerisce, allude, s'incunea. Cito (e stavolta proprio dal libro in questione: E poi Milano non è Chicago. I pericoli che una ragazza può correre laggiù non sono quelli che la minacciano qui... A Milano, non si inciampa nei cadaveri, signor Tabor! Paolo ebbe un sorriso sinistro. – Leggenda, commissario! Le vie di Chicago non sono lastricate di cadaveri. (pag.111).
Ma il nostro era il paese dove i treni andavano in orario e si potevano lasciare le chiavi alle porte. Peccato che a fine guerra oltre alle porte non c'erano più nemmeno le case!
L'impronta del gatto è romanzo godibile e leggero, ma l'opera di De Angelis va letta in toto, per suggestione, per fascinazione, perché no, per l'interpretazione della materia poliziesca, e perché costituisce un atto di coraggio di un uomo che ci piace pensare abbia trovato la morte sì per i suoi ideali, ma anche per non tradire la natura scettica e saggia della sua creatura letteraria: l'ispettore De Vincenzi.
di Alfredo Ronci
Piccola scorrettezza: la citazione non appartiene al libro in questione, ma ad un altro, precisamente a Il mistero delle tre orchidee. Ma mi serviva per suggerirvi: si può rimanere indifferenti di fronte ad una suggestione del genere?
Così lavorava De Angelis, scrittore di gialli in pieno regime, apparentemente al di sopra delle umane sofferenze e della tragedia incombente.
Ma quando penso allo scrittore non posso fare a meno di pensare alla sua tragica fine: debilitato per una detenzione di alcuni mesi nel carcere di Como per sospetto antifascismo tornò nella sua Bellagio provato e stanco. Poco tempo dopo incontrò la donna che lo aveva denunciato, che vedendolo in quelle condizione tentò di scusarsi; lo scrittore, che a stento si reggeva in piedi, disse più volte che ormai non aveva importanza, che lasciasse perdere. Ma il dialogo tra i due fu interpretato come diverbio dall'uomo della donna, noto fascista, che, prima minacciò lo scrittore con un pugno, poi lo finì con calci. Dopo alcuni giorni di agonia De Angelis morì. Era il 16 luglio 1944.
Letterato di razza, giornalista di punta tra le due guerre, pur sottostando a regole precise che il regime imponeva, il capostipite del giallo italiano riuscì ad evitare la mortificante imitazione dei modelli stranieri e ad offrire invece un substrato indigeno convincente e d'atmosfera. I suoi polizieschi, leggo nel risvolto della seconda di copertina, sono un saggio, una testimonianza, dei rapporti tra il fascismo e la cultura, tra sudditanza obbligata e indipendenza inevitabile, tra occhiuto controllo e margini di libertà. E i margini di libertà sono quelli per cui la società italiana del tempo è sana e vitale e tale deve essere rappresentata: il delinquere appartiene ad altre razze, ad altre latitudini. Il morto de L'albergo delle Tre Rose era un inglese. Il cadavere de Il candeliere a sette fiamme era di incerta nazionalità (ma, incredibile, in piena campagna antisemita del regime, gli ebrei di De Angelis sono "buoni"), la Casa di Mode dove avvengono più omicidi ne Il mistero delle tre orchidee appartiene a tale Cristiana O'Brian, di natali ovviamente non italici. La famiglia sgarrupata de L'impronta del gatto è venezuelana.
Insomma l'arte del delitto non si confà alla natura patriottica-domestica-religiosa del popolo nostrano. Ma De Angelis nicchia, insinua, suggerisce, allude, s'incunea. Cito (e stavolta proprio dal libro in questione: E poi Milano non è Chicago. I pericoli che una ragazza può correre laggiù non sono quelli che la minacciano qui... A Milano, non si inciampa nei cadaveri, signor Tabor! Paolo ebbe un sorriso sinistro. – Leggenda, commissario! Le vie di Chicago non sono lastricate di cadaveri. (pag.111).
Ma il nostro era il paese dove i treni andavano in orario e si potevano lasciare le chiavi alle porte. Peccato che a fine guerra oltre alle porte non c'erano più nemmeno le case!
L'impronta del gatto è romanzo godibile e leggero, ma l'opera di De Angelis va letta in toto, per suggestione, per fascinazione, perché no, per l'interpretazione della materia poliziesca, e perché costituisce un atto di coraggio di un uomo che ci piace pensare abbia trovato la morte sì per i suoi ideali, ma anche per non tradire la natura scettica e saggia della sua creatura letteraria: l'ispettore De Vincenzi.
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