CLASSICI
Alfredo Ronci
L’intellettuale poco “servito”: Piero Santi e”Il sapore della menta”.
Qualcuno si chiederà: ma chi era Piero Santi? Sembra uno scherzo ma, in alcuni tomi della letteratura italiana, dei soggetto in questione non vi è traccia.
Lasciamo stare la sua attività di insegnante di latino e greco; lasciamo stare il suo lavoro come critico cinematografico per il “Giornale del mattino”; lasciamo stare il suo impegno, appena dopo la guerra, per la rivista Cabalà, che fondò e portò avanti per molti anni, ma non si può davvero ignorare la sua opera letteraria che seppur non invadente, ha lasciato traccia importante in certi ambienti letterari intorno alla metà del secolo scorso.
Santi, ahinoi, passa per uno scrittore omosessuale: perché ahinoi? Perché di questi tempi andrebbe a cecio perfettamente la definizione di una persona seria come Aldo Busi che schifa giustamente il termine omosessuale a favore di una letteratura a tutto tondo, scevra da ipocrisie e categorie diffamatorie.
Eppure di questo si parla quando si vogliono tracciare segni e cultura della letteratura di Santi, a tal punto che le sue prime prove narrative, a tutt’oggi, hanno un richiamo economico di non poco conto (anzi, consiglierei ai lettori appassionati ma squattrinati, di tentare altre strade).
Il sapore della menta è un’opera più avanti negli anni, ma non capisco perché certi critici o saputi della letteratura italiana (quei pochissimi) la definiscano un’opera trascurabile, anche se non da buttar vita. Francamente è un giudizio in assoluto non condivisibile, anzi, il romanzo in questione offre un’immagine di certi ambienti e di certe relazioni fuori da qualsiasi aspetto glorificante.
E’ la storia di Marco, fiorentino di nascita, ma italiano d’adozione, che attraverso le sue miserie e i suoi fallimenti, disegna una sorta di consuntivo critico di un mondo che non sempre si adegua alle nuove realtà. Un mondo che, tranne leggeri appunti e considerazioni, si mostra altro rispetto ad una riconoscibilità gaya.
Un mondo che è pieno di personaggi riconoscibili (la storia, nonostante i nomi e cognomi fasulli, è ampiamente autobiografica). Troviamo, per esempio, Carlo Emilio Gadda (Stefano nel libro) con tutte le sue problematicità (ma Stefano urlava contri i verse del poeta, a momenti avrebbe negato anche di esistere e di non avere né davanti né di dietro. Il suo corpo era d’aria e lui se ne volava come una farfalletta di fiore in fiore, tutto casto, tutto candido, tutto celestiale.
C’è Tommaso Landolfi (Alessandro) che ad un certo punto sposa una giovane, allora non maggiorenne, senza mai mostrarle l’amore che la ragazza invece pretendeva (Alessandro era giunto sulla vetta del monte, dov’era la vecchia casa diroccata. Era un paesaggio familiare, eppure il giovane freddamente si diceva: questo è il regno di Satana. La luna imbiancava le rocce, il terreno incolto e aspro).
E ci sono poi altre persone, alcuni per nulla intellettuali, che in qualche modo però completano il mondo alienato e disfatto del protagonista. Marcello, per esempio, che in qualche modo è una sorta di tentazione più mistica che fisica del Santi, e poi Marta, che perderà ville ed averi al gioco e si ridurrà a vita meschina e disadattata.
Pare che nel libro non ci sia altro: intendiamoci, non perché privo di accenni o rivelazioni, ma perché la vita di Marco (quindi del Santi), pur non concedendo nulla ai facili formalismi dell’epoca, offre un’immagine velleitaria ed inutile dell’esistenza. Non ho saputo, come tanti altri, invecchiare. Ragiono come un giovane di venticinque anni, quasi avessi davanti tutta la vita, e poi mi accorgo d’improvviso che la vita è vissuta per più di metà.
Ma alla vita Santi è legato eccome, ne testimoniano le parole lucide e piene di sofferta melancolia che segnano il titolo del romanzo: Il sapore della menta è il sapore dell’infanzia, un sapore acre, a momenti pungente, che rimane in noi, anche se non lo sappiamo, per tutta la vita.
Nonostante i servi crudeli della nostra letteratura, Santi è uno scrittore che va ricercato. Perché è uno scrittore col sentimento.
L'edizione da noi considerata è:
Piero Santi
Il sapore della menta
Vallecchi editore
Lasciamo stare la sua attività di insegnante di latino e greco; lasciamo stare il suo lavoro come critico cinematografico per il “Giornale del mattino”; lasciamo stare il suo impegno, appena dopo la guerra, per la rivista Cabalà, che fondò e portò avanti per molti anni, ma non si può davvero ignorare la sua opera letteraria che seppur non invadente, ha lasciato traccia importante in certi ambienti letterari intorno alla metà del secolo scorso.
Santi, ahinoi, passa per uno scrittore omosessuale: perché ahinoi? Perché di questi tempi andrebbe a cecio perfettamente la definizione di una persona seria come Aldo Busi che schifa giustamente il termine omosessuale a favore di una letteratura a tutto tondo, scevra da ipocrisie e categorie diffamatorie.
Eppure di questo si parla quando si vogliono tracciare segni e cultura della letteratura di Santi, a tal punto che le sue prime prove narrative, a tutt’oggi, hanno un richiamo economico di non poco conto (anzi, consiglierei ai lettori appassionati ma squattrinati, di tentare altre strade).
Il sapore della menta è un’opera più avanti negli anni, ma non capisco perché certi critici o saputi della letteratura italiana (quei pochissimi) la definiscano un’opera trascurabile, anche se non da buttar vita. Francamente è un giudizio in assoluto non condivisibile, anzi, il romanzo in questione offre un’immagine di certi ambienti e di certe relazioni fuori da qualsiasi aspetto glorificante.
E’ la storia di Marco, fiorentino di nascita, ma italiano d’adozione, che attraverso le sue miserie e i suoi fallimenti, disegna una sorta di consuntivo critico di un mondo che non sempre si adegua alle nuove realtà. Un mondo che, tranne leggeri appunti e considerazioni, si mostra altro rispetto ad una riconoscibilità gaya.
Un mondo che è pieno di personaggi riconoscibili (la storia, nonostante i nomi e cognomi fasulli, è ampiamente autobiografica). Troviamo, per esempio, Carlo Emilio Gadda (Stefano nel libro) con tutte le sue problematicità (ma Stefano urlava contri i verse del poeta, a momenti avrebbe negato anche di esistere e di non avere né davanti né di dietro. Il suo corpo era d’aria e lui se ne volava come una farfalletta di fiore in fiore, tutto casto, tutto candido, tutto celestiale.
C’è Tommaso Landolfi (Alessandro) che ad un certo punto sposa una giovane, allora non maggiorenne, senza mai mostrarle l’amore che la ragazza invece pretendeva (Alessandro era giunto sulla vetta del monte, dov’era la vecchia casa diroccata. Era un paesaggio familiare, eppure il giovane freddamente si diceva: questo è il regno di Satana. La luna imbiancava le rocce, il terreno incolto e aspro).
E ci sono poi altre persone, alcuni per nulla intellettuali, che in qualche modo però completano il mondo alienato e disfatto del protagonista. Marcello, per esempio, che in qualche modo è una sorta di tentazione più mistica che fisica del Santi, e poi Marta, che perderà ville ed averi al gioco e si ridurrà a vita meschina e disadattata.
Pare che nel libro non ci sia altro: intendiamoci, non perché privo di accenni o rivelazioni, ma perché la vita di Marco (quindi del Santi), pur non concedendo nulla ai facili formalismi dell’epoca, offre un’immagine velleitaria ed inutile dell’esistenza. Non ho saputo, come tanti altri, invecchiare. Ragiono come un giovane di venticinque anni, quasi avessi davanti tutta la vita, e poi mi accorgo d’improvviso che la vita è vissuta per più di metà.
Ma alla vita Santi è legato eccome, ne testimoniano le parole lucide e piene di sofferta melancolia che segnano il titolo del romanzo: Il sapore della menta è il sapore dell’infanzia, un sapore acre, a momenti pungente, che rimane in noi, anche se non lo sappiamo, per tutta la vita.
Nonostante i servi crudeli della nostra letteratura, Santi è uno scrittore che va ricercato. Perché è uno scrittore col sentimento.
L'edizione da noi considerata è:
Piero Santi
Il sapore della menta
Vallecchi editore
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