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RECENSIONI

Hara Tamiki

L'ultima estate di Hiroshima

L'ancora del mediterraneo, Pag. 121 Euro 13,50
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La Storia (con la esse maiuscola) è maestra di vita, la sua rappresentazione spesso no. Vivendo in un'epoca di immagini e sollecitazioni sensoriali spesso apprendiamo notizie del tempo che fu dalla tv e non dai libri di testo. Non che sia un errore di fondo, ma nemmeno prassi da consolidare e trasmettere alle future generazioni. Recentemente mi è capitato di assistere ad un programma dove si parlava dello sgancio dell'atomica sulla città di Hiroshima e sono venuto a sapere che non era quella la città destinata al massacro, ma un'altra. Ma siccome quest'ultima (perdonatemi, ma non ricordo il nome), nel preciso istante in cui l'Enola gay sorvolava i suoi cieli, era coperta da un'ampia velatura che impediva un'osservazione corretta, costrinse gli americani a virare e a dirigersi verso Hiroshima. Che subì la bomba in una tranquilla e calda giornata di agosto.

Naturalmente non fu così.

Dice Oe Kenzaburo, premio nobel della letteratura nel 1994: Hara Tamiki è stato uno scrittore eccellente e il più bravo, tra gli scrittori giapponesi contemporanei, a descrivere l'esperienza dell'atomica. Sono convinto che la sua prosa sia tra le più belle della letteratura contemporanea e che i giovani lettori dovrebbero avere l'occasione di conoscerla. Hara Tamiki era a Hiroshima il 6 agosto 1945, quando sulla città fu sganciata la bomba atomica. Da quel momento in poi, ha posto il disastro atomico alla base del suo discorso letterario e della sua stessa vita.

Dunque Tamiki fu spettatore diretto del massacro e ci racconta cose diverse rispetto ai 'racconti televisivi' e probabilmente ad una diffusa e corrente storiografia ed anche iconografia. Ecco quello che scrive a pag. 47: Saprete sicuramente che in questo momento a Hiroshima si stanno riversando flussi continui di sfollati provenienti da Tokio, Nagoya, Osaka, Kobe. Insomma, da ogni parte del paese. Cos'è che queste persone raccontano ai nostro concittadini? Gli dicono: "Che paura i bombardamenti, che paura! Non c'è altro da fare, se non scappare!

Dunque Hiroshima non viene colpita in una tranquilla giornata di agosto del 1945, ma sta subendo già da mesi le incursioni americane e si vede riversare in città un fiume di gente che scappa da città ancor più martoriate.

L'ultima estate di Hiroshima racconta in tre momenti diversi (ed esattamente: preludio alla devastazione, fiori d'estate, dalle rovine) il prima, il durante e il poi dell'immane tragedia. E paradossalmente la parte che colpisce di più è proprio la prima: mentre la seconda, quando si avverte il boato dello scoppio e la terza dove il comune mortale si trova davanti alla devastazione più totale a cui abbia mai assistito, ci raccontano una realtà che, anche se del tutto parzialmente, abbiamo creduto di immaginare, la prima, nell'attesa angosciosa di qualcosa che si teme tremenda, trasporta il lettore in una sorta di sospensione quasi metafisica. E capiamo che quel che ci hanno rivelato finora le immagini terrificanti dei filmati storici non conteneva una bava di verità.

Dice bene Oe Kenzaburo quando sottolinea che dal momento dello scoppio Tamiki porrà alla base del suo discorso letterario e di vita il disastro atomico. Ce lo avrebbe confermato sicuramente un altro grande scrittore: Primo Levi. L'esperienza della detenzione nel campo di concentramento di Auschwitz pose fine ad una sua visione della vita: sostituita da un'altra che forse non aveva granché di vivo.

L'ultima estate di Hiroshima è una fortissima testimonianza. Uno spaccato di non-vita. Una foto scattata sul momento (altro che filmato d'epoca!).



di Alfredo Ronci


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