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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Luigi Rocca

L'uomo-scoglio

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Non erano le onde a spaventarlo, si era abituato presto a resistere alla loro potenza, reggersi con le dita alle scanalature della roccia o piegarsi di lato quando venivano quelle più forti. Opporre resistenza o accompagnare il loro movimento ormai gli veniva naturale, niente di divertente perché il pericolo era sempre in agguato e sarebbe bastato un minimo errore, una distrazione dei polpastrelli per vedersi scaraventare lontano, in luoghi da cui sarebbe stato impossibile tornare indietro (non che questo pensiero non gli fosse mai venuto in mente, tutte le volte che si sentiva troppo stanco di quella vita da granchio: meglio farla finita, pensava in quei momenti, piuttosto che restare per sempre abbarbicato a quello scoglio). Senza dimenticare che erano proprio le onde più violente a gettargli addosso pesci tramortiti indispensabili per la sua sopravvivenza. Aveva sviluppato un’abilità tutta sua per non lasciarseli sfuggire, quando arrivavano a sbattergli fra i piedi. Quello era forse anche il momento più pericoloso, perché l’equilibrio tendeva a vacillare tra l’impeto delle onde e la necessità di staccarsi per pochi istanti alla ricerca del dono inviato dal mare. Così, lo chiamava: il dono del mare. Non gli restava che aspettare la fine della burrasca, per cominciare a morderlo con la soddisfazione che solo la fame sa procurare. Il dono del mare. No, ormai le onde non gli facevano più paura. Era la marea a creargli i maggiori problemi. Capiva benissimo che con l’alta marea sarebbe bastata un minimo di corrente per allontanarlo dallo scoglio e non farglielo più ritrovare. Ora, se abbandonarsi all’impeto dell’onda in alcuni momenti gli sembrava una scelta non peggiore di quello che stava vivendo, l’idea di non sentire più lo scoglio a sorreggergli la pianta dei piedi dopo una marea lo riempiva di terrore. Anche nei suoi sogni brevi e disturbati appariva con una certa costanza fra le immagini di un passato che stentava a ricostruire: la marea che torna ad abbassarsi e i suoi piedi che si muovono invano alla ricerca del suo fidato sostegno.
E sono proprio i suoi sogni ad introdurci in una nuova pagina della storia perché, come è stato detto, in questi sogni tornavano a comparire frammenti dimenticati di una vita lontana dallo scoglio, non sempre dunque la sua vita si era svolta lì sopra, solitaria e insensata. Cosa c’era stato, prima? E come si era ridotto a vivere in quella condizione al limite dell’immaginabile? Subito aveva pensato ad un naufragio, una grande nave da crociera che affonda per le cause più strane (ma possono veramente affondare quelle architetture galleggianti che sembrano sfidare ogni legge della fisica umana?). Lui, unico superstite, si salva con la forza delle sue braccia fino ad approdare al suo scoglio disperso in chissà quale oceano. Gli piace questo pensiero perché aggiunge eroismo e avventura alla sua condizione disperata. Oppure, meglio, un assalto dei pirati. Quella pirateria che sembrava appartenere ad un tempo lontano, quasi mitico, fatto di uomini con bende e uncini, era rinata negli ultimi tempi, con modalità diverse, ma neanche troppo, in fondo. Potevano ben esser stati questi nuovi briganti del mare a raggiungere il bastimento e abbandonare lui lì, magari per punizione: l’unico ad aver tentato una resistenza alla forza violenta del sopruso. Questo pensava, quando il mare glielo permetteva, mentre cercava negli anfratti della roccia qualche granchio che poi si rifiutava di mangiare, considerandolo quasi un fratello. Il fatto è che non si ricordava di aver mai navigato. Non era stato capitano né marinaio né, per quanto la memoria lo aiutasse, passeggero su una nave da crociera. Anzi le navi, nella sua mente, non gli risvegliavano proprio nessun ricordo. E allora? Come poteva essere finito lì? Quale altra soluzione era possibile al suo enigma?
C’erano in verità altre due possibilità, però il nostro uomo non riusciva ad accettare completamente. La prima è che lui in verità non si trovasse su quello scoglio, ma da tutt’altra parte, sulla terraferma, probabilmente in una stanza lontana dal mare, asciutta e con le pareti bianche, mentre tutto quello che vedeva intorno fosse soltanto all’interno della sua testa. Che fosse impazzito, insomma, e fosse solo la sua mente a creargli intorno quella realtà illusoria, con i momenti di inquietudine che si alternavano alla calma farmacologica delle punture di calmanti. Più ci pensava, più gli pareva una spiegazione razionale alla sua vicenda. E si sa che i pazzi talvolta sanno essere molto razionali.
La seconda possibilità era quella del sogno: simile alla prima, ma non del tutto, questa idea lo faceva pensare di vivere in un sogno molto lungo, destinato prima o poi a finire. Non si chiedeva chi fosse il sognatore: lui o un altro, non aveva importanza. Bisognava solo aspettare il momento del risveglio, tutto qui. Nel frattempo le sue dita graffiate dovevano star bene attente a non staccarsi dallo scoglio e, durante i periodi di alta marea, le punte dei piedi non dovevano perdere il contatto, prima o poi la faccenda si sarebbe risolta da sola. Oppure, al contrario, lasciarsi andare, perdersi tra i flutti cercando un annegamento che, se l’ipotesi si fosse rivelata esatta, sarebbe stato solo immaginario. Più di una volta gli era venuta questa idea. Ma il rischio era pur sempre grande: se quella che stava vivendo fosse semplicemente stata tutta la realtà che gli rimaneva? Nel dubbio era meglio continuare a resistere. Un finale prima o poi sarebbe pur arrivato.



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