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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Rebecca West

La famiglia Aubrey

Mattioli 1885, Pag.430 Euro 20,00
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Nel romanzo della West vi è, come avrebbe detto la sua amica Virgina Woolf (che la definì un incrocio tra una donna di servizio e una zingara, ma più tenace di un terrier), una strana brama di sentirsi impauriti.

Sì perché nonostante il lento e chiotto scorrere degli avvenimenti (a volte non succede davvero nulla se non sterili diatribe sull'arte in genere e sulla musica in particolare) la vicenda della famiglia Aubrey trascina con sé ed attira, al di là di coordinate tipiche del bildungsroman ottocentesco, una mole infinita di riferimenti e generi anche da brivido.

Che la West fosse ossessionata da questo progetto ce lo fa capire la bella postfazione di Francesca Frigerio: un libro partito come uno scritto breve e poi divenuto, per una sorta di continuità storica, quasi una creatura con un'esistenza parallela al vissuto della scrittrice inglese.

Ma non è sul parallelismo vita-arte (probabilmente non voluto, ma inconscio) che vorremmo soffermarci, ma sulla sua struttura.

Se proprio un doppio dobbiamo evocare allora sia: I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe.

Erano altri tempi, la prima edizione del ponderoso romanzo gotico risale al 1794, eppure in esso, per improvvisa magia, si collazionano una serie di segmenti che solo molti anni dopo s'intuiranno archetipi di un mondo letterario anche distante a venire. Da I mistery di Udolpho nascerà il genere horror, il giallo, il mistery, combinati con categorie già affermate: il romanzo rosa, il cappa e spada.

Incredibile, ma come si diceva poc'anzi, ne La famiglia Aubrey avviene proprio questo: l'indolente, quasi svogliato, procedere della narrazione non impedisce alla scrittrice, con audacia e maestria, d'incappare in situazioni soprannaturali (divertente l'episodio della casa infestata da presenze che scompaiono quando il legame affettivo tra i proprietari e i parenti in visita richiama armonie profonde... "Oh no!" sussurrò Rosamund, vicina al disgusto come mai l'avevo vista. "Zia Jean era molto assennata, perché dovrebbe avere un fantasma?" ), in situazioni da manuale giallo (il presunto omicidio di Queenie ai danni del marito, il relativo processo e la contrapposizione, di sicuro richiamo carrolliano, tra la "regina" del male appunto e un giudice pazzo) e in situazioni da melodramma sentimentale (il misterioso abbandono della famiglia da parte del padre...Dire che un essere umano assomiglia a un cavallo non è considerato un complimento; ma qualche volta negli occhi di un cavallo di razza risplende una stella, che racconta della sua capacità di correre veloce, del suo spirito indomabile, e quella stessa luce era negli occhi di mio padre).

Chi dovesse leggere il romanzo non si lasci confondere dalla snervante attesa di un guizzo o addirittura di un terremoto che segni le pagine e quindi la storia: le estenuanti discussioni sul talento musicale di Cordelia, la meno dotata delle tre sorelle, le ripetute analisi sul comportamento dubbio del capo famiglia e i suoi rapporti con personaggi ambigui che sembrano essere usciti da un'opera di Dickens non sono altro che prodromi di momenti di vero e proprio stacco.

L'abilità della West consiste nel far sì che questi momenti non appaiono tali e che apparentemente tutto fili liscio: ci si guardi attorno, come fosse un treno che deraglia di botto, La famiglia Aubrey lascia dietro sé feriti ed ammmaccature. Nonostante i pochi lamenti.



di Alfredo Ronci


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