CLASSICI
Alfredo Ronci
La fiamma del peccato: “Canne al vento” di Grazia Deledda.
Non me ne voglia nessun lettore, ma in questo breve commento che si sta facendo su una controversa scrittrice italiana, Grazia Deledda, nasce una domanda che, apparentemente, non avrebbe nemmeno senso se si considera l’anno di morte della stessa: agosto 1936. Ma la scrittrice fu antifascista?
Ripeto, considerando l’anno della sua dipartita, la domanda ci sembra un tantino esagerata e anche moralistica, ma secondo noi va fatta perché, al di là di certe questioni più strettamente letterarie, al centro dell’arte deve esserci una chiave di lettura decisamente più definitiva.
Quando il critico letterario Momigliano, nel 1933, dichiarò che la Deledda “occupa un posto a parte in tutta la nostra letteratura” indicava senza ombra di dubbio le sue innate capacità espressive ma anche la sua natura profondamente solitaria, non lontano però, crediamo, da una collocazione storica che in parte ribalta certe resistenze intellettuali dell’epoca.
Sappiamo poco delle sue frequentazioni. Ci limitiamo però a osservare la sua linea di condotta quando le venne assegnato il premio Nobel e le successive testimonianze di affetto che seguirono. Di sicuro non aveva una grande considerazione di Mussolini, perché nel momento dei saluti alla giuria del premio ringraziò il re di Svezia e il re d’Italia, ma non fece nessun accenno al duce. Non solo, quando tornò in Italia, dovette adempiere a certi obblighi istituzionali, tra cui l’incontro sempre con Mussolini. Le fu domandato infatti di scrivere “qualcosa per il Regno”, ma lei rispose molto garbatamente che “l’arte non ha politica”.
Fu l’editore Treves, in seguito, a rivelare alla Deledda che da quel momento i maggiori librai avevano ricevuto il consiglio di non esporre in vetrina i suoi libri, ciò per non dare ulteriore rilievo alla scrittrice che non si era allineata.
Dunque, allora la Deledda fu una scrittrice antifascista? Nonostante questi episodi possiamo dire di no, anche se ben lontana da posizioni di regime. Ma serve a noi per considerarla in modo più lineare e doveroso, lontano anche da certe acerrime considerazioni di colleghi e critici.
Canne a vento è un romanzo del 1913 in cui, come disse il critico Baldacci, “non fa riscontro nessuna idea positiva del bene” e dove l’unica possibilità di riscatto, se proprio vogliamo chiamarla così, e l’adesione all’insegnamento religioso e biblico. Aggiungiamo poi l’elemento fantastico del vivere che si accompagna ad una visione notturna delle cose: “Tutti son laggiù; anche i miei nipotini, Nostra Signora li aiuti. Ah tutti son laggiù e han fresco, perché vedono il mare… - E perché non siete andata anche voi? – E la casa, missignoria? Per quanto povera, una casa non deve esser mai abbandonata del tutto: altrimenti ci si installa il folletto. I vecchi rimangono, il giovani vanno!”
Al centro del romanzo, nonostante ci siano personaggi di assoluta presenza, come le tre sorelle Ruth, Ester e Noemi, il nipote Giacinto, figlio della quarta sorella precocemente morta, vi è la figura del servo Efix. Costui, resosi responsabile della morte di Zame Pintor, che lo accusava, a ragione, di aver favorito la fuga della figlia Lia, è una sorta di catalizzatore degli eventi.
Persino quando Efix si reca da Noemi, su cui pesano le speranze di salvezza della famiglia, per presentarle la proposta di matrimonio del cugino Predu e ne riceve, sgomento, il rifiuto, si mette a posto la bisaccia e fa per uscire: sugli scalini del portone, scrive la Deledda “scosse i piedi uno dopo l’altro per non portar via la polvere della casa che abbandonava” chiaro riferimento ad un rimando biblico, esattamente al Vangelo di Matteo, dove Gesù esorta i discepoli ad abbandonare la casa di chi non ascolta, non senza aver prima scosso la polvere dai piedi.
Dunque, nell’arte della Deledda il rifiuto dell’idea positiva del bene fa binario con un profondo sentimento biblico, di assoluto castigatore degli avvenimenti. Non solo, descrive un pezzo della Sardegna, più precisamente la parte più infima di Nuoro, come fuori dal tempo (ecco perché non era antifascista), fuori dalla cultura italiana: così difficile da penetrare e tale da generare diffidenza e incomprensione tra gli stessi lettori italiani.
Soltanto Salvatore Satta, autore de Il giorno del giudizio, uno dei grandi libri del novecento, ma apparso nel 1979, ha scritto delle vicende viste dal punto di vista della morte e del nulla e di radicale annullamento di tutte le Sardegne (e quindi Nuoro) del passato, del presente e del futuro.
“ – Sì – egli disse allora – siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento”.
L’edizione da noi considerata è:
Grazia Deledda
Canne al vento
Oscar Mondadori
Ripeto, considerando l’anno della sua dipartita, la domanda ci sembra un tantino esagerata e anche moralistica, ma secondo noi va fatta perché, al di là di certe questioni più strettamente letterarie, al centro dell’arte deve esserci una chiave di lettura decisamente più definitiva.
Quando il critico letterario Momigliano, nel 1933, dichiarò che la Deledda “occupa un posto a parte in tutta la nostra letteratura” indicava senza ombra di dubbio le sue innate capacità espressive ma anche la sua natura profondamente solitaria, non lontano però, crediamo, da una collocazione storica che in parte ribalta certe resistenze intellettuali dell’epoca.
Sappiamo poco delle sue frequentazioni. Ci limitiamo però a osservare la sua linea di condotta quando le venne assegnato il premio Nobel e le successive testimonianze di affetto che seguirono. Di sicuro non aveva una grande considerazione di Mussolini, perché nel momento dei saluti alla giuria del premio ringraziò il re di Svezia e il re d’Italia, ma non fece nessun accenno al duce. Non solo, quando tornò in Italia, dovette adempiere a certi obblighi istituzionali, tra cui l’incontro sempre con Mussolini. Le fu domandato infatti di scrivere “qualcosa per il Regno”, ma lei rispose molto garbatamente che “l’arte non ha politica”.
Fu l’editore Treves, in seguito, a rivelare alla Deledda che da quel momento i maggiori librai avevano ricevuto il consiglio di non esporre in vetrina i suoi libri, ciò per non dare ulteriore rilievo alla scrittrice che non si era allineata.
Dunque, allora la Deledda fu una scrittrice antifascista? Nonostante questi episodi possiamo dire di no, anche se ben lontana da posizioni di regime. Ma serve a noi per considerarla in modo più lineare e doveroso, lontano anche da certe acerrime considerazioni di colleghi e critici.
Canne a vento è un romanzo del 1913 in cui, come disse il critico Baldacci, “non fa riscontro nessuna idea positiva del bene” e dove l’unica possibilità di riscatto, se proprio vogliamo chiamarla così, e l’adesione all’insegnamento religioso e biblico. Aggiungiamo poi l’elemento fantastico del vivere che si accompagna ad una visione notturna delle cose: “Tutti son laggiù; anche i miei nipotini, Nostra Signora li aiuti. Ah tutti son laggiù e han fresco, perché vedono il mare… - E perché non siete andata anche voi? – E la casa, missignoria? Per quanto povera, una casa non deve esser mai abbandonata del tutto: altrimenti ci si installa il folletto. I vecchi rimangono, il giovani vanno!”
Al centro del romanzo, nonostante ci siano personaggi di assoluta presenza, come le tre sorelle Ruth, Ester e Noemi, il nipote Giacinto, figlio della quarta sorella precocemente morta, vi è la figura del servo Efix. Costui, resosi responsabile della morte di Zame Pintor, che lo accusava, a ragione, di aver favorito la fuga della figlia Lia, è una sorta di catalizzatore degli eventi.
Persino quando Efix si reca da Noemi, su cui pesano le speranze di salvezza della famiglia, per presentarle la proposta di matrimonio del cugino Predu e ne riceve, sgomento, il rifiuto, si mette a posto la bisaccia e fa per uscire: sugli scalini del portone, scrive la Deledda “scosse i piedi uno dopo l’altro per non portar via la polvere della casa che abbandonava” chiaro riferimento ad un rimando biblico, esattamente al Vangelo di Matteo, dove Gesù esorta i discepoli ad abbandonare la casa di chi non ascolta, non senza aver prima scosso la polvere dai piedi.
Dunque, nell’arte della Deledda il rifiuto dell’idea positiva del bene fa binario con un profondo sentimento biblico, di assoluto castigatore degli avvenimenti. Non solo, descrive un pezzo della Sardegna, più precisamente la parte più infima di Nuoro, come fuori dal tempo (ecco perché non era antifascista), fuori dalla cultura italiana: così difficile da penetrare e tale da generare diffidenza e incomprensione tra gli stessi lettori italiani.
Soltanto Salvatore Satta, autore de Il giorno del giudizio, uno dei grandi libri del novecento, ma apparso nel 1979, ha scritto delle vicende viste dal punto di vista della morte e del nulla e di radicale annullamento di tutte le Sardegne (e quindi Nuoro) del passato, del presente e del futuro.
“ – Sì – egli disse allora – siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento”.
L’edizione da noi considerata è:
Grazia Deledda
Canne al vento
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