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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

W. Somerset Maugham

La lettera

Adelphi, Biblioteca minima, Pag. 28 Euro 5,50
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Un qualche tempo si vede pure che era passato dai cuori di tenebra di Conrad e la Società Internazione per la soppressione delle Usanze Selvagge aveva trionfato; e nel migliore dei modi: unendosi al nemico.

Siamo a Singapore, in un apocalisse ora e subito di fiumi di macchine, camion e bus, auto private e taxi, tutti a suonare il clacson; tutti ad ansimare e urlare in una visione che profetizza con apprezzabile audacia la Tiburtina ora, o meglio all'ora di punta di un qualsiasi giorno settimanale.

E, dai tempi di Conrad, si vede che era passata parecchia acqua sotto i ponti pure sulla questione delle donne: basta con la storia di cui cianciava l'allucinato secco Marlow che alle donne non bisogna dire la verità, che le donne non potevano capire ma dovevano, al contrario, vivere tranquille, esili, eleganti, a lavorare presso il camino il merletto a tombolo; basta con la storia della fidanzata di Kurtz.

Ora, certo, è più chiaro che Kurtz, nel fare quello che fece, rispondeva alla più profonde esigenze proprio della sua fidanzata; o è chiaro a chi legge La lettera di W. Somerset Maugham , dove è detto con sperticata franchezza che, ad un certo stato avanzato dei progressi della nostra civiltà, le donne andavano a colonizzare i posti selvatici solo dopo avere letto almeno Les liaisones dangereuses e avere perfezionato la tecnica del sembrare esili e tutti il resto.

E, infatti, in questa storia qui torbida, calore e sudore, c'è una tale signora Crosbie esilissima, elegantissima, e anche lavoratrice del merletto al tombolo. Computa, pare non avere mai avuto aspirazione a provare passione alcuna. Per questo motivo, più allucinati di Marlow, suo marito e il suo legale, il signor Joyce, sono convinti che verrà assolta con grande facilità dall'accusa di essere un'assassina: la sua era solo legittima difesa, anzi un atto di giustizia: uccidere un essere pericoloso, lo stupratore che aveva attentato ai suoi beni più intimi e quotati.

La Crosbie è intoccabile; anche se, per un momento, dovrà capitarle di tremare: compare una lettera. E sulla lettera, ovvio, c'è tutta la verità sui fatti: tutta la verità sulle donne, sulla colonizzazione del selvatico, sulla via del progresso, sulla luce risplendente ed unica della civiltà.

Ed è qui che W. Somerset Maugham per dare un senso al suo nome (Somerset) fa fare un bel salto mortale, una capriola magistrale, all'apologo: se gli uomini hanno una verità che le donne non devono sapere; e le donne un'altra (o la medesima) che gli uomini non devono sapere, questa verità a cosa dovrebbe servire?

La risposta si trova già nella fonte di questo racconto, ossia la storia di un'altra lettera, quella che Ulisse ingegnò a danno di Palamede.

Ricordate? Ulisse non vuole andare alla guerra perché è l'unico a cui non piace Elena. Fingendosi pazzo, si mette ad arare la sabbia. Palamede ficca sotto l'aratro il piccolo Telemaco, al che Ulisse si arresta, dimostrando la verità, cioè che non è pazzo. Si va alla guerra e Palamede si è fatto gli affari suoi perché il tarchiato itacese ha un certo ingegno con cui intignarsi. Infatti userà lo stesso trucco di Palamede, la verità, per smascherare Achille rifugiato in uno strepitoso collegio femminile, affinché il Pelide gli faccia vincere la guerra e gli fornisca in ostaggio un nemico troiano a cui dare una falsa lettera di Priamo da consegnare a Palamede. Ulisse, allora, ti uccide il troiano per farlo ritrovare come casualmente, con la lettera e tutto, e , nel frattempo, nasconde dell'oro sotto il letto di Palamede che, alla fine di tutta questa storia, viene lapidato dagli altri achei.

Morale: la verità serve solo a spuntare se stessa. La verità serve solo a spuntare se stessa: come il male. E allora, ecco questa modernissima figura di eroe positivo, questo buono e rubicondo signor Crosbie che compra e fa sparire la lettera, la verità, in un lieto fine all'americana dove trionfa il bene: la menzogna.

Un racconto, se non inganno, imperdibile.



di Pier Paolo Di Mino


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