CLASSICI
Alfredo Ronci
La lingua rimpastata di Aldo Palazzeschi: I fratelli Cuccoli.
Da quando Antonio Baldini, dalle colonne della Nuova Antologia, annunciava al pubblico e alla critica l’imminente uscita di questo romanzo, sono passati molti anni. Anni di terribili avventure per tutti, durante i quali Palazzeschi maturava questo tenue e profondissimo romanzo, che per lui doveva essere come un’evasione della vita quotidiana.
E’ la storia di un vecchio signore e di quattro giovinetti suoi figli adottivi; storia drammatica e cordiale, un continuo giro di delicatezze e di accenti che fanno di questo romanzo un’opera che oseremmo dire persino superiore alle Sorelle Materassi.
Così parlava l’edizione Vallecchi del 1948, l’anno esatto dell’uscita del romanzo, con uno stile ed una verve che lasciava presagire cose ottime se non sovrumane per Palazzeschi e la sua opera omnia. Eh sì, dico omnia perché dimenticando gli esordi più o meno futuristi, il riferimento al suo romanzo più popolare e grandioso inculcava nel lettore, o in chiunque avesse fatto un passo verso l’autore, un’adesione quasi mistica ed immortale al suo talento e alla sua visione romantica della vita.
In realtà le cose non furono così: non sappiamo esattamente cosa capitò al Palazzeschi e al suo modo irriverente di affrontare le cose (oddio, c’era stata una guerra, e che guerra, e c’erano state ombre sulle manifestazioni culturali), ma tra i due romanzi, Sorelle Materassi appunto e questo I fratelli Cuccoli, vi è una discontinuità che nemmeno l’ampiezza evocativa di un omaggio poteva rendere accettabile.
Sorelle Materassi era, permettetemi di dirlo, un dono di Dio, una bellezza linguistica che trovava un perfetto assemblaggio tra il fare e il contendere. Ma soprattutto era un quadro ossessivo e dinamico prima della tragedia. L'anno è il 1934, presto arriveranno le sanzioni della Società delle Nazioni, dopo l'aggressione del regime all'Etiopia, poi le leggi razziali, poi lo scellerato patto con Hitler e infine... il pandemonio. Ma il romanzo era un coacervo di risate. Risate nello stesso tempo argentine ed amare, cristalline perché Palazzeschi ridicolizza tutto un mondo borghese immobile ed ipocrita (in alcuni passi del romanzo ci si diverte proprio di cuore) attraverso una verve 'toscaneggiante' d'immediato impatto, ma nello stesso tempo risate penose nella disgraziata conclusione di una vicenda piena di inganni e di false promesse.
I fratelli Cuccoli è tutt’altro: è un discreto percorso tra la piccola borghesia italiana (per nulla ostentata, come nelle Sorelle Materassi, ma quasi osannata nella sua dinamicità vivifica) che nulla crea e nulla distrugge pur nelle vicende storiche che la sovrastano.
Celestino Cuccoli è un signore di mezza età che alla morte della sua adorata moglie decide di riversare il proprio amore su dei figli adottivi. Ne adotta quattro, presi in un ambiente religioso di cui manterrà sempre una predisposizione affettiva.
I ragazzi crescono, ovviamente diversi l’uno dall’altro, ma mentre il più giovane, Luigi, manterrà un’indole riservata e appena laureato occuperà una cattedra a Messina, ben lontano dal padre, gli altri tre tenteranno strade ben più diverse e improvvisate. Se Sergio e Osvaldo troveranno la propria destinazione in una ditta di trasporti, Renzo, ben più delineato nelle sue scelte di vita, (sarà accusato, quando ancora in casa, di aver tentato di uccidere il padre con due colpi di pistola) troverà la morte in guerra durante un volo in terra africana (potrebbe sembrare una vendetta del Palazzeschi tentare la via del riscatto, in realtà è soltanto l’evoluzione di un plot ben composto e delicato).
Il romanzo termina col matrimonio dello stesso Celestino, ormai settantenne, con una ventenne innamorata del suo spirito umanitario e della morte dello stesso nell’atto di riversare il proprio amore e la propria stima di fronte ad una famiglia raccolta e allargata.
Cosa c’è dunque in questo romanzo che ancor oggi seduce e ce lo fa trattare come fosse tomo da tenere in considerazione? Crediamo che sia per la lingua rimpastata dello stesso Palazzeschi e per il suo modo corretto e romantico di affrontare la vita e quello che poi sarebbe avvenuto nella sua esistenza (l’avvicinamento al cattolicesimo).
Lo ripetiamo: ne I fratelli Cuccoli non c’è davvero nulla che possa ricordare precedenti esperienze, non c’è nulla che possa far pensare ad un modo continuo e perfetto di ridicolizzare il senso stesso dell’esistenza. Ma c’è un senso assoluto delle cose che lo consegna perfetto ed indovinato. Come per esempio nella scena in cui il giovanissimo Luigi incontra quella che poi diverrà sua moglie e della consanguineità tra i due prima del passo ulteriore. Un atto di rispetto e se vogliamo di dolore che premia il coraggio dei ragazzi, ma anche e soprattutto quello dei lettori.
Poi c’è il romanzo più posato e adeguato: basta e avanza per capire dove va Palazzeschi e le sue scelte politiche ed emotive.
L’edizione da noi considerata è:
Aldo Palazzeschi
I fratelli Cuccoli
Vallecchi - 1948
E’ la storia di un vecchio signore e di quattro giovinetti suoi figli adottivi; storia drammatica e cordiale, un continuo giro di delicatezze e di accenti che fanno di questo romanzo un’opera che oseremmo dire persino superiore alle Sorelle Materassi.
Così parlava l’edizione Vallecchi del 1948, l’anno esatto dell’uscita del romanzo, con uno stile ed una verve che lasciava presagire cose ottime se non sovrumane per Palazzeschi e la sua opera omnia. Eh sì, dico omnia perché dimenticando gli esordi più o meno futuristi, il riferimento al suo romanzo più popolare e grandioso inculcava nel lettore, o in chiunque avesse fatto un passo verso l’autore, un’adesione quasi mistica ed immortale al suo talento e alla sua visione romantica della vita.
In realtà le cose non furono così: non sappiamo esattamente cosa capitò al Palazzeschi e al suo modo irriverente di affrontare le cose (oddio, c’era stata una guerra, e che guerra, e c’erano state ombre sulle manifestazioni culturali), ma tra i due romanzi, Sorelle Materassi appunto e questo I fratelli Cuccoli, vi è una discontinuità che nemmeno l’ampiezza evocativa di un omaggio poteva rendere accettabile.
Sorelle Materassi era, permettetemi di dirlo, un dono di Dio, una bellezza linguistica che trovava un perfetto assemblaggio tra il fare e il contendere. Ma soprattutto era un quadro ossessivo e dinamico prima della tragedia. L'anno è il 1934, presto arriveranno le sanzioni della Società delle Nazioni, dopo l'aggressione del regime all'Etiopia, poi le leggi razziali, poi lo scellerato patto con Hitler e infine... il pandemonio. Ma il romanzo era un coacervo di risate. Risate nello stesso tempo argentine ed amare, cristalline perché Palazzeschi ridicolizza tutto un mondo borghese immobile ed ipocrita (in alcuni passi del romanzo ci si diverte proprio di cuore) attraverso una verve 'toscaneggiante' d'immediato impatto, ma nello stesso tempo risate penose nella disgraziata conclusione di una vicenda piena di inganni e di false promesse.
I fratelli Cuccoli è tutt’altro: è un discreto percorso tra la piccola borghesia italiana (per nulla ostentata, come nelle Sorelle Materassi, ma quasi osannata nella sua dinamicità vivifica) che nulla crea e nulla distrugge pur nelle vicende storiche che la sovrastano.
Celestino Cuccoli è un signore di mezza età che alla morte della sua adorata moglie decide di riversare il proprio amore su dei figli adottivi. Ne adotta quattro, presi in un ambiente religioso di cui manterrà sempre una predisposizione affettiva.
I ragazzi crescono, ovviamente diversi l’uno dall’altro, ma mentre il più giovane, Luigi, manterrà un’indole riservata e appena laureato occuperà una cattedra a Messina, ben lontano dal padre, gli altri tre tenteranno strade ben più diverse e improvvisate. Se Sergio e Osvaldo troveranno la propria destinazione in una ditta di trasporti, Renzo, ben più delineato nelle sue scelte di vita, (sarà accusato, quando ancora in casa, di aver tentato di uccidere il padre con due colpi di pistola) troverà la morte in guerra durante un volo in terra africana (potrebbe sembrare una vendetta del Palazzeschi tentare la via del riscatto, in realtà è soltanto l’evoluzione di un plot ben composto e delicato).
Il romanzo termina col matrimonio dello stesso Celestino, ormai settantenne, con una ventenne innamorata del suo spirito umanitario e della morte dello stesso nell’atto di riversare il proprio amore e la propria stima di fronte ad una famiglia raccolta e allargata.
Cosa c’è dunque in questo romanzo che ancor oggi seduce e ce lo fa trattare come fosse tomo da tenere in considerazione? Crediamo che sia per la lingua rimpastata dello stesso Palazzeschi e per il suo modo corretto e romantico di affrontare la vita e quello che poi sarebbe avvenuto nella sua esistenza (l’avvicinamento al cattolicesimo).
Lo ripetiamo: ne I fratelli Cuccoli non c’è davvero nulla che possa ricordare precedenti esperienze, non c’è nulla che possa far pensare ad un modo continuo e perfetto di ridicolizzare il senso stesso dell’esistenza. Ma c’è un senso assoluto delle cose che lo consegna perfetto ed indovinato. Come per esempio nella scena in cui il giovanissimo Luigi incontra quella che poi diverrà sua moglie e della consanguineità tra i due prima del passo ulteriore. Un atto di rispetto e se vogliamo di dolore che premia il coraggio dei ragazzi, ma anche e soprattutto quello dei lettori.
Poi c’è il romanzo più posato e adeguato: basta e avanza per capire dove va Palazzeschi e le sue scelte politiche ed emotive.
L’edizione da noi considerata è:
Aldo Palazzeschi
I fratelli Cuccoli
Vallecchi - 1948
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