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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Simone Matteo Tiraboschi

La mazza

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Vivo vicino al locale dove bevo. Devo percorrere una L , prima il lato lungo in salita, poi giro a sinistra e sono arrivato: totale quattrocento metri.

La salita non mi disturba, costeggia un canale sporco ma con una discreta corrente che lo rende meno noioso di altri panorami, quando la strada si alza lui si inabissa in un cunicolo fognario.

Incrocio due marocchini, sono su una bici e girano in una stradina prima del mio locale, hanno fretta, spariscono nel buio lasciandomi il cigolio dei pedali.

Curvo a sinistra con una piroetta, sono a cinquanta metri dal mio pub incasellato sulla destra: l' insegna verde al neon con qualche buco che ha smesso di lampeggiare, una E diventa una C quadrata.

"sono andati qui dietro!" una moto è accesa e un'altra si accende

"aspettate, cazzo!" partono in quattro, due per moto.

Il grosso proprietario del locale esce con in mano una mazza da cricket che solitamente è appesa ad una delle pareti nella sala fumatori.

"che succede" schiaccio la sigaretta con il piede

"due marocchini non hanno pagato le birre"

"e la mazza?"

"adesso li becchiamo e gli facciamo vedere"

"con la mazza?"

"una bella lezione"

"ti sembra il caso, io non ho pagato molte birre"

Sorride, la faccia buona e la mazza da cricket, imbocca la via di fronte al pub dove sono sparite le moto.

La U che disegna la strada è frastagliata di stradine buie che portano ad altrettante villette con muri bassi, cancelli con targhe di ceramica, nomi di famiglie e facce di cani con scritte in latino.

Le moto sono parcheggiate contro un muro, il silenzio è rotto dai dodici piedi che occupano la strada misurandola come segugi.

Un tipo alto e storto con i capelli lunghi e un paio di occhiali da vista neri, il cui soprannome scommetto essere "smilzo" o qualcosa di simile, brandisce una sbarra di ferro spessa, lunga circa un metro.

"dove cazzo siete stronzi negri!" secondo me dovrebbe intonarla come una domanda, magari rispondono.

"sono lì li vedo muoversi"

I quattro s'assiepano all'imbocco di una strada sterrata, la luce del lampione segna la fine dell'asfalto e l'inizio dello sterrato: sono tutti e quattro fermi ad un metro circa dal buio, uno con una pietra, l'altro con la sbarra e due disarmati, dietro qualche metro l'omone con la mazza ed io.

"venite qui figli di troia"

"vi squarto!"

"dovete tornarvene a casa vostra a rubare"

"morite nascosti come i topi" Ridono e si controllano a vicenda.

"puzzate di merda fin da qui"

Nessuno oltrepassa la macchia gialla del lampione: non vogliono fare una falsa partenza, aspettano lo sparo dello starter.

Si sente grattare in fondo al viottolo, un fruscio di un paio di secondi, contemporaneamente arretriamo: muti di qua e di là, la vista tenta di carpire il più possibile attorno, cerco un riparo, una via di fuga, lo sparo è arrivato.

Lo Smilzo alza la sbarra con la destra, guarda dentro quella parete oscura: non si vede nulla se non se stessa e il suo misero mistero, un milione di nemici ancestrali in agguato in quella stradina senza un fondo reale, quel cemento più duro delle case che lo delimitano.

Lancia la sbarra ruggendo, uno spasmo feroce parte dai piedi e si vibra nel braccio percorrendo il corpo come una scarica elettrica: imprime nell'arma la sua angoscia e questa si perde sferragliando tra muro e suolo, sorda, non sembra colpire nessuno.

Si china, svuotato, un grugnito e degli sputi gli colano dalla bocca.

Gli altri ridono come si ride di un bullo che picchia un amico sfigato, il sasso viene inghiottito poco dopo ma con meno forza.

"non siete niente" Lo smilzo sibila la frase in un respiro catarroso.

Le ombre blu della volante di polizia, sta girando dentro la strada: i quattro scappano, lentamente ci affianca un'Alfa blu .

"qualcosa non va?" senza guardare il poliziotto ci fissiamo, l'omone sembra trattenere il respiro, il suo viso è per metà giallo e per metà blu.

"penso una rissa, sono uscito a dare un'occhiata"

"con una mazza?" il poliziotto sembra deriderlo.

"non si sa mai, è molto tardi" ora guarda il poliziotto, sorride cordiale, un bambinone che ammette l'imprudenza.

"facciamo un giro, torni a lavorare"

L'auto ci sfila lenta, i lampeggianti esitano sulle persiane abbassate, sui muri illuminati per metà dai lampioni: lui non mi considera, mi accendo una sigaretta e fisso la mazza che pende come un enorme dito attaccato al suo robusto braccio peloso. Cammina lento verso la sua insegna senza significato, ora che mancano dei pezzi, il suo passo è fiacco, la schiena curva.

Avevo chiamato la polizia dieci minuti prima: aumento leggermente il passo e lo raggiungo anche se non ho niente da aggiungere.









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